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Vitalità ed attualità della scolastica
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Definizione della scolastica

La scolastica è quella filosofia che ha prodotto una concezione sistematica del mondo e dell’uomo in accordo con la Rivelazione divina.

Essa è chiamata in maniera più precisa “prima scolastica” ed inizia con la fine della patristica ed è continuata - malgrado il nominalismo, l’umanesimo e il rinascimento - sino ai giorni nostri con la seconda e terza scolastica, delle ultime quali ho già scritto su questo sito. Nel presente articolo tratto solo della prima scolastica per metterne a fuoco la natura e la sua perenne vitalità e attualità soprattutto ai giorni nostri.

La scolastica accoglie e sublima tutte le branche dello scibile umano coltivate dall’antichità classica greco/romana e le orienta verso la concezione trascendente della verità. Quindi essa ha preparato una sempre maggiore penetrazione della verità teologica grazie all’armonia tra fede e ragione, natura e grazia[1].

Il metodo della scolastica è caratterizzato da una diretta adesione alla realtà saggiata e verificata dall’esperienza umana sensibile e dall’esercizio della riflessione speculativa, che aiuta la teologia a formulare più precisamente i dogmi e a difenderli da chi li contraddice.

Il rapporto tra ragione e fede, per la scolastica, è positivo. Infatti da una parte la ragione porta alle soglie della fede, ossia dimostra che credere non è contraddittorio né contro la sana ragione, ma è oltre la ragione; dall’altra parte la fede aiuta la ragione a non cadere in errore come un paracarro aiuta un’autovettura a non uscire fuori strada. Questa reciprocità positiva tra ragione e fede è stata realizzata pienamente dalla scolastica, mentre la patristica l’aveva solo iniziata. Particolarmente la scolastica tomistica ha difeso la consistenza ontologica e metafisica dell’ente finito, dell’intelligenza e della libertà umana pur essendo consapevole dei loro limiti creaturali.

La caratteristica peculiare della filosofia scolastica è l’armonizzazione dell’ordine naturale e soprannaturale, preparata in maniera non ancora sistematica dalla patristica e portata a termine dalla scolastica. Quindi lungi dal contrapporre patristica e scolastica è doveroso vederle come due momenti complementari e continui del medesimo cammino della cultura cristiana, la quale ha come punto di arrivo il sapere teologico, secondo cui la filosofia è la serva della teologia.

L’armonia tra natura/grazia, ragione/fede trovata e portata a perfezione dalla scolastica viene incrinata e rotta con il nominalismo, l’umanesimo, il rinascimento, poi viene contrastata e osteggiata dalla modernità idealista e infine “distrutta” dalla post-modernità nichilista.

Il rigore logico/scientifico della filosofia scolastica le viene da Aristotele, che le ha fornito anche le basi della metafisica e dell’etica naturale. Dal canto suo la teologia scolastica grazie al progresso della filosofia perenne tende a presentarsi e ad assumere una forma scientifica secondo una distribuzione logicamente stabilita e coordinata in vari trattati (De Deo Uno, De Deo Trino…), seguendo un procedimento razionale e dimostrativo in forma sillogistica.

La filosofia moderna assorbe la Rivelazione e la fede nella ragione e nella filosofia. Hegel conosce il cristianesimo, ma lo interpreta soggettivamente e lo stravolge dentro il proprio pensiero, il proprio Io e la propria Idea assoluta, rendendo la Rivelazione e la fede uno stadio imperfetto rispetto alla filosofia naturale idealistica, in cui è l’Io assoluto che crea la realtà e cerca di rimpiazzare Dio, per cui Hegel è uno dei filosofi che più parlano di Dio, ma non crede nel Dio oggettivo, reale, trascendente e personale.

L’idealismo moderno è l’antitesi fondamentale ed esplicita della scolastica per la dissoluzione che fa dell’infinito, che è solo la totalità dello sviluppo dialettico del finito (panteismo evoluzionista), che comporta la dissoluzione del trascendente, alle soglie del quale la scolastica porta la ragione per dimostrarle la credibilità della Rivelazione divina. Invece per l’idealismo la teologia, la fede e la Rivelazione sono uno stadio preliminare e imperfetto, proprio del volgo, del Pensiero assoluto, in cui la sola ragione naturale domina sovrana e usurpa il posto di Dio.

Attuazione della scolastica

Nel secolo XIII, specialmente con San Tommaso d’Aquino, la sintesi di ragione e fede raggiunge la sua forma compiuta. Nella prima metà del Duecento entrano in Europa le traduzioni latine di Aristotele, fatte da filosofi arabi (Avicenna e Averroè) e si conosce soprattutto la metafisica della sostanza di Aristotele, che servirà da base per quella tomistica, ancor più perfetta, dell’essere come atto ultimo di ogni essenza e sostanza[2]. Si può affermare tranquillamente che proprio l’entrata di Aristotele in Europa ha provocato il più grande sviluppo della scolastica della Cristianità medievale europea.

L’Aquinate ha prodotto una sintesi tra platonismo e aristotelismo, con una prevalenza di quest’ultimo, ma in cui la nozione platonica di partecipazione è la chiave per risolvere i problemi della creazione ex nihilo, della causalità, dell’analogia e della composizione dell’ente finito essenzialmente distinto e infinitamente inferiore alla Causa prima, ossia a Dio. Grazie alla nozione platonica di partecipazione l’Angelico è riuscito a perfezionare Aristotele e a produrre una sua filosofia specifica che non è un puro commento di Aristotele, ma è la metafisica dell’essere come atto ultimo e perfezione di ogni perfezione, la quale sorpassa anche la metafisica di Aristotele che si era fermato solo alla sostanza, che viene completata dall’essere al quale Aristotele non era risalito.

Crisi della prima scolastica

Nel Trecento con Occam[3] la scolastica entrò in crisi: non si capì la gravità dell’errore nominalista, ci si rinchiuse in una moltitudine di questioni non molto utili affrontate con eccessive sottigliezze logiche ed infine ci fu la divisione di molteplici scuole che battagliarono per circa un secolo su questioni, spesso, di scarso rilievo dottrinale.

Fu così che “la scolastica prima non s’accorse della rivoluzione che veniva proclamata dalla filosofia moderna e poi, esausta com’era, non fu in grado di comprenderla e di contenerne l’impeto” (C. Fabro, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1953, vol. XI, col. 125, voce Scolastica).

Il nominalismo segna il predominio della soggettività e dell’individualismo contro l’oggettività della conoscenza umana, in cui l’individuo deve conformarsi alla realtà oggettiva (realismo moderato aristotelico/tomistico), e apre così la porta al “cogito” cartesiano e all’idealismo (iniziale) di Kant e (assoluto) di Hegel.

Padre Gabriele Roschini scrive: «l’età moderna, iniziatasi con l’umanesimo, è una marcia verso la conquista dell’io, che il Medio Evo aveva mortificato in omaggio a Dio. Per riconquistare quest’io, mortificato da Dio, l’uomo si mise a percorrere freneticamente le vie dell’emancipazione. Venne Lutero col Protestantesimo, e si ebbe l’emancipazione dell’io dall’autorità religiosa. Venne Cartesio e col suo famoso metodo filosofico segnò l’emancipazione dell’io dalla filosofia tradizionale, ossia dalla filosofia perenne che è l’unica vera; emancipazione filosofica poi agli ultimi termini da Kant, da Hegel, ecc. Venne Rousseau e con i suoi princìpi sociali rivoluzionari segnò l’emancipazione dell’io dall’autorità civile. Questa continua, progressiva emancipazione dell’io è poi culminata nella divinizzazione dell'io medesimo e nella conseguente umanizzazione, o meglio, distruzione di Dio. Si è avuta così l’uccisione nicciana di Dio in omaggio all’io. Dio è luce, amore, letizia, ha cantato il Poeta: “luce intellettual, piena d’amore; / amore di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogni dolzore” (Paradiso, XXX, 40-42). Tolto di mezzo Dio, si son tolti di mezzo la luce, l’amore e la letizia; e si è avuto tutto l’opposto, vale a dire: tenebre, odio, tristezza. Si è avuto, così, l’uomo finito, ossia un cadavere ambulante, cui quadra a pennello l’epitaffio che aveva preparato il Papini per sé stesso, prima che fosse risollevato dalla fede di Cristo: “L’ascensione metafisica di me stesso è fallita. Sono una cosa e non un uomo. Toccatemi! Sono freddo come una pietra, freddo come un sepolcro. Qui è sotterrato un uomo che non poté diventare Dio”. La conquista si è mutata in disfatta»[4].

La riscossa della scolastica

Occorre attendere il Quattrocento per incontrare un tomista di alto livello, Giovanni Capreolo di Tolosa con le sue monumentali Defensiones theologicae Divi Thomae Aquinatis, il quale non solo conosce perfettamente tutte le opere dell’Angelico, ma è provvisto di una grande vis polemica per affrontare i nemici della scolastica tomistica con profondità, acume e rigore. Egli apre la strada alla seconda scolastica del Cinquecento di cui già ho scritto in questo sito.

Conclusione

Se si rifiuta la scolastica si nega anche la morale naturale perché la morale indipendente dalla metafisica scolastica è molto simile alla morale atea. Infatti 1°) alcuni rifiutano la metafisica per paura di doverne trarre conclusioni etiche che li disturbano e preferiscono ignorare per non vivere bene. “Gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce perché le loro opere erano malvagie” (Gv., III, 19). Costoro sono praticamente atei e non vogliono essere neppure psicologicamente onesti e pronti ad ascoltare la voce della coscienza, anzi hanno scelto la via anti-scolastica proprio per non ascoltarla e soffocarla (“noluit intellegere ut bene ageret / non ha voluto conoscere per non dover agire moralmente bene”) come Pinocchio schiacciò contro il muro il grillo parlante. Tuttavia vi sono anche 2°) coloro che vorrebbero dare alla morale una base più solida dell’essere, dell’essenza e della metafisica. Secondo costoro la filosofia è astrusa e si fonda su puntelli deboli. Ma facendo così aggravano la situazione, poiché si privano dell’unica base stabile ed immutabile su cui possa poggiare la morale: l’essere per partecipazione e l’Essere per essenza, cioè Dio creatore dell’essere finito o per partecipazione. Gli scolastici insegnano: “agere sequitur esse / prima si esiste e poi si agisce”. Perciò se si toglie l’essere, l’essenza e la metafisica o filosofia scolastica perenne, allora la morale oggettiva, universale ed immutabile crolla e tutto diviene soggettivo, mutevole e campato in aria o fondato sul nulla. Infatti come si può agire se non si esiste? Abbandonare la metafisica scolastica per paura di costruire sulla sabbia equivale a voler costruire sulle nuvole o peggio ancora sul nulla, ma appoggiandosi sul nulla e sulle nuvole tutto crolla e affonda. Se si studiano i surrogati della metafisica su cui si vorrebbe costruire la morale: la sociologia, la psicologia, la fisiologia, il benessere, la ricchezza, il piacere, l’onor del mondo, la solidarietà, il sentimentalismo, l’estetica, si vede quanto siano deboli e inconsistenti rispetto alla filosofia perenne dell’essere, che risponde e risolve i grandi interrogativi che l’uomo si pone: chi sono? donde vengo? per quale scopo? Perché c’è il male?

La prima spinta a far filosofia viene all’uomo proprio dalla natura che lo circonda. Infatti essa fa nascere in lui, secondo Aristotele, il desiderio di sapere, di conoscere il perché degli eventi naturali che osserviamo, di scoprire la natura intima o l’essenza delle cose sensibili e materiali e di leggervi dentro (“intus legere”): l’uomo, “animale razionale”, non si accontenta di osservare i fenomeni come le bestie, ma vuol conoscere la loro natura.

Inoltre l’uomo è spinto a conoscere anche da motivi pratici o morali, ossia sapere per quale scopo viviamo e come dobbiamo fare per raggiungerlo. Insomma la filosofia (speculativa e pratica) dà una risposta a tutti gli interrogativi che si pone l’animo umano e ci aiuta ad agire correttamente per giungere al porto della nostra esistenza.

Nessun uomo di sana ragione può ignorare che il mondo esiste, che egli è un soggetto capace di conoscere e volere e che dunque deve fare il bene ed evitare il male. Cicerone chiamava la filosofia Dux vitae poiché il volere e l’agire presuppongono princìpi e leggi. La morale non può essere soggettiva, atea, a-filosofica, ma deve essere una conclusione pratica della filosofia teoretica e della metafisica. Senza l’essere non c’è l’agire, senza princìpi e regole non vi è una retta pratica.

Tutta la vita normalmente vissuta di ogni uomo rigetta l’agnosticismo o lo scetticismo come assurdità. Infatti l’uomo normale sa che le cose reali esistono fuori del suo pensiero e indipendentemente da esso e che le conosce come sono in sé stesse e non applicando loro una propria forma soggettiva (come vorrebbe Kant).

Ciò vale per gli stessi filosofi o i moralisti soggettivisti e idealisti almeno nella vita pratica. Essi in teoria propugnano l’idealismo o il soggettivismo della conoscenza e dell’etica, ma in pratica agiscono, e quindi pensano, da realisti.

Conoscere significa apprendere qualcosa come un oggetto il quale sta davanti a me indipendentemente dal mio pensiero (ob-jacet). Non sono io che produco col mio pensiero questo oggetto che giace (jacet) davanti (ob) a me. Ora “l’azione segue l’essere e il modo di agire segue il modo d’essere”. Quindi conosco e agisco in base ad una realtà e leggi oggettive.

Ogni uomo normale si rende conto che non è il suo pensiero a produrre la realtà e la morale, ma si tratta di una realtà e di una regola morale già costituita in sé stessa prima che egli la conosca.

Purtroppo la nostra epoca è caratterizzata da una specie di fobia per la scolastica tomistica, la quale si incentra sull’essere per essenza e per partecipazione e dalla creatura risale al Creatore, il quale trascende sia lo Stato che l’uomo. Quindi la modernità si preclude la possibilità di giungere alla nozione di diritto naturale, il quale, «muovendo dall’antichità veterotestamentaria e greco-romana, è arrivato sino a noi attraverso la tradizione della scolastica, della filosofia perenne, che riduce il diritto naturale a pochi, sommi princìpi, che non possono mai essere violati, ma son suscettibili di diverse applicazioni storiche nei casi particolari, e bisognosi di essere determinati nei contenuti, integrati nelle istituzioni, fatti rispettare anche con congegni più positivi»[5].

Dalla restaurazione della metafisica scolastica e del realismo della conoscenza, dipende anche la restaurazione della morale naturale, la quale ci aiuta ad essere veramente uomini, intelligenti e liberi, e ci impedisce di farci travolgere dalla marea montante della sovversione nichilistica animalesca, la quale rende l’uomo simile al bruto, schiavo e determinato dai suoi istinti più bassi.

«Se Dio non esiste, tutto è permesso. Nulla è più proibito, non c’è più limite, non c’è nulla che non si possa tentare, che non si debba tentare perché se tutto ciò che è stato vero un tempo lo è stato partendo dall’ipotesi che Dio esisteva, ora che Dio non esiste, nulla di ciò che era vero allora è adesso vero, nulla di ciò che era bene è bene; dobbiamo ricreare tutto. Ma, prima di ricreare, bisogna cominciare col distruggere» (E. Gilson, in “Se Dio non esiste tutto è permesso, né “Il nostro tempo”, 24 novembre 1960).

L’uomo è capace di conoscere la realtà e dunque la verità, che è la conformità dell’intelletto con la realtà. Egli ha un’anima spirituale fornita di intelletto per conoscere la verità e di volontà per amare il bene, può quindi giungere a dimostrare l’esistenza di Dio, che è l’Essere e la Verità per sé sussistente, e ad amare il Bene sommo per tutta l’eternità poiché la sua anima è incorruttibile in quanto è spirituale. Inoltre l’uomo è un animale socievole e vive in relazione con gli altri. Ebbene le azioni umane e le relazioni dell’uomo con Dio e col prossimo sono regolate dalla morale. Agire significa tendere ad un fine, perché nessuno agisce a vuoto. Ora l’uomo tende al fine non meccanicamente, ma in maniera cosciente e libera, mediante atti umani, che nascono dalla intelligenza e dalla libera volontà; essi sono moralmente buoni se tendono al bene e moralmente cattivi se tendono al male. La regola della moralità o bontà degli atti umani è la loro conformità con la legge naturale, la natura umana e il suo fine. Quindi tale regola non è soggettiva, indipendente da un oggetto o autonoma, ma è oggettiva. L’uomo sente il dovere di fare il bene e fuggire il male ed il fondamento di quest’obbligo morale sta al di fuori e al di sopra dell’uomo. È Dio che, avendoci creati intelligenti e liberi, vuole che agiamo secondo la nostra natura aderendo alla verità e al bene. Solo così potremo raggiungere il nostro fine. Ora tutte le cose finite e caduche non possono essere il fine ultimo dell’uomo, che avendo un’anima spirituale è aperto a tutta la realtà, alla pienezza, all’eternità. Perciò solo Dio può essere il vero fine dell’uomo, cui la morale oggettiva naturale e divina ci aiuta a pervenire.

d. Curzio Nitoglia



1] S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 1, a. 8, ad 2: “gratia non tollit naturam sed perficit eam / la grazia non distrugge la natura ma la perfeziona”.

2]L’essere è la realtà più perfetta, […] l’attualità di tutte le cose e delle forme stesse” (S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 4, a. 1, ad 3). “L’essere è atto di ogni atto e perfezione di ogni perfezione” (De potentia, q. 7, a. 2, ad 9). “L’essenza non sarebbe nulla se l’essere non la rendesse tale” (De Pot., q. 3, a. 5, ad 2). L’essere è “l’atto ultimo e la perfezione di ogni essenza” (Contra Gent., l. I, cc., 38, 52-54; S. Th., I, q. 50, aa. 2-3; De ente et essentia, c. 5). “Tra tutte le cose l’essere è la più perfetta (esse est inter omnia perfectissimum). […]. L’essere è l’attualità di ogni atto e quindi la perfezione di ogni perfezione” (De pot., q. 7, a. 2, ad 9). “L’essere è l’atto ultimo o perfettivo, che è partecipabile da tutti, mentre l’essere non partecipa ad alcunché. L’essere è partecipato e non partecipante (Ipsum esse est actus ultimus, qui partecipabilis est ab omnibus; ipsum esse autem nihil participat)” (De anima, q. 6, a. 2); “L’essere è la più perfetta di tutte le cose, poiché è l’atto di ogni ente e di ogni forma o essenza. Quindi l’essere sta all’ente come il ricevuto o partecipato al recipiente o partecipante” (S. Th., I, q. 4, a. 1, ad 3).  La metafisica tomistica poggia su tre pilastri: 1°) l’essere come atto ultimo di ogni atto, di ogni sostanza e come perfezione di ogni perfezione, letto alla luce dell’analogia; 2°) il principio di partecipazione letto alla luce della causalità efficiente creatrice; 3°) l’ente come essenza che riceve l’essere e lo limita. In breve l’ente o colui che è ed esiste è un’essenza (atto 1° o formale) più l’essere (atto ultimo). L’essere attua e ultima l’essenza che in sé è atto primo, ma è in potenza rispetto all’essere o atto ultimo; l’essenza ricevendo l’essere  esce fuori dal nulla e dalle sue cause ed esiste (“existentia”: da “ex” – “sistere”: uscire fuori da).

3] Il nominalismo occamista ritiene che i concetti universali e la natura o essenza reale non hanno nessuna realtà oggettiva fuori della mente pensante; l’unica realtà extra-mentale è la cosa singolare, l’individuo. “Nihil est praeter individuum” è l’assioma che riassume e definisce il nominalismo. In breve gli universali logici (nomi) e ontologici (essenze o nature) sono soltanto “pure voci o nomi”, senza consistenza ontologica né logica, di cui ci serviamo per indicare gli individui reali che si assomigliano. Per quanto riguarda il sensismo settecentesco britannico padre Carlo Giacon scrive: “leggendo il Leviatano di Tommaso Hobbes e il Saggio sulla conoscenza umana di Locke, si riscontrano facilmente le ispirazioni al nominalismo di Occam. […]. Hume non fece che condurre sino alle ultime conseguenze i princìpi nominalistici elaborati da Hobbes e da Locke […] sicché la filosofia moderna poggia sulle stesse basi su cui era poggiato il nominalismo occamistico” (Occam, Brescia, La Scuola, II ed., 1945, p. 137). L’empirismo di Hobbes, Locke e Hume è un sistema filosofico che riduce tutta la realtà al fatto sperimentabile proprio dei sensi ed è per questo che si chiama anche sensismo. Quindi la sensazione è l’unico modo di conoscenza e il fenomeno sensibile è l’unica realtà. Da esso derivano il positivismo, il materialismo e il pragmatismo. “Evidentemente l’empirismo rende impossibile la costruzione di una metafisica e toglie ogni valore alla realtà che trascende i sensi o l’esperienza sensibile. Pertanto esso è avverso alla sana filosofia e alla religione” (P. Parente, voce “Empirismo” in Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 136).

4] G. Roschini, La Santa Messa. Breve esposizione dogmatica, II ed., Frigento (AV), CME, 2010, p. 11-13.

5] R. Pizzorni, Diritto naturale e diritto positivo in S. Tommaso d’Aquino, Bologna, ESD, 1999, p. 14.

 
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