Sarkozy, le civilisateur
18 Gennaio 2008
Dall’8 gennaio, Sarkozy ha lanciato «la politique de civilization».
«La politica di civilizzazione è la politica necessaria quando bisogna ricostruire i punti di riferimento, le norme, le regole, i criteri», ha detto: «E’ la politica della vita. E’ la politica dell’uomo, come ha detto Edgard Morin».
Ha aggiunto: «Non è la prima volta che questa necessità s’impone. Si è imposta ogni volta che un grande contraccolpo politico, economico, tecnologico, scientifico è venuto a scuotere le certezze morali, intellettuali, le istituzioni e i modi di vita… E’ avvenuto col Rinascimento… Con i Lumi… Con la rivoluzione industriale».
E ancora: «Edgar Morin ha detto che gli imperativi oggi di una politica di civiltà sono la solidarietà, il radicamento identitario, la convivialità, la moralizzazione, che egli oppone ai mali del nostro tempo che sono l’isolamento, la chiusura, l’anonimato, il degrado della qualità della vita, l’irresponsabilità. Quei obbiettivi, li faccio miei».
«Vaste programme», come diceva De Gaulle a quello che gridò «Morte ai cretini».
Ma tuttavia, degno di plauso.
Sarko è il solo politico del mondo che mostri consapevolezza che questi non sono tempi da normale amministrazione, che si richiede una rifondazione della civiltà europea.
Ma naturalmente, il dubbio immediato è se Sarko può davvero essere il civilizzatore, se appena presidente si è trasformato volontariamente in personaggio da rotocalco, ometto troppo contento di sé, l’alluzzato da Carla Bruni, vacanze sul Nilo e in yacht, il centro dei gossip e delle rivelazioni della moglie abbandonata: tirchio, rozzo…
Tutto Eva Express.
E tutto così mediocremente borghesuccio, «cheap».
Da ebreuccio risalito, che ancora non sa darsi conto della sua fortuna.
Mah.
Temo che questo dubbio ci accompagnerà per tutto il suo mandato.
Il piccoletto ha luci ed ombre.
Fra le luci, il sito Dedefensa (spesso citato qui) mette la disinvoltura sacrilega con cui Sarko ha l’aria di infischiarsi del dogma economico corrente, del liberismo globale, del Washington consensus.
In vari discorsi, ha ridefinito il liberismo come difesa degli interessi nazionali, ha riaffermato la «preferenza europea» come fondamento necessario della costruzione europea, e s’è preso gioco dell’ «Europa anglosassone» (gli eurocrati servi di Bruxelles): «Tutti i Paesi, anche i più liberisti», ha detto, «quando si tratta di difendere i loro interessi, lo fanno accanitamente, e fanno bene. Se gli americani non difendono i loro interessi, chi lo farà? E noi avremo l’aria ridicola di essere meno liberisti degli altri, e anche di difendere meno i nostri interessi. Si può essere perfettamente liberisti, credere all’economia di mercato e dire: le nostre imprese, le difendiamo».
«Si può essere perfettamente europeisti e mettere l’Europa al servizio della protezione [eresia!]. Se si è fatta l’Europa, è appunto per la preferenza comunitaria [ossia per barriere doganali verso le merci extra-europee], se no non valeva la pena.
Bastava fare l’Europa anglosassone, quella del mercato globale, ma voler fare l’Europa politica e vietarsi di pronunciare la parola ‘protezionismo’ non ha alcun senso.I popoli d’Europa, saggi, l’hanno capito.L’Europa deve proteggere, non renderci più vulnerabili.
L’Europa deve permetterci di agire, l’Europa non deve subire…».
Naturalmente c’è il dubbio che tutto questo non sia che pubblicità.
Per Dedefensa, c’è il sospetto che egli «faccia questo con vera incoscienza dell’importanza dei temi che affronta, e delle conseguenze, ma con una formidabile soddisfazione dell’effetto che produce». Insomma, che il personaggio sia uno di quei politici post-moderni così comuni, ormai (penso a Veltroni) che ritengono che enunciare principi sia già «fare», e lo sostituisca.
Le nonne sapevano cosa si stende tra il dire e il fare, i contemporanei in genere no.
Politici realizzatori non ne vediamo in giro, e da molto tempo.
Le frequenti vacanze e Carla Bruni non sono proprio il lasciapassare giusto per chi si accinge a rifondare la civiltà.
Mah.
L'opinione pubblica francese, che l'aveva votato fiduciosamente, dà ogni giorno meno fiducia al baldanzoso ometto.
Che ne abbia capito l’inconsistenza?
Ma va subito detto che Sarko ha suscitato «inquietudini» (così Le Monde) in un settore molto preciso della Francia: il laicismo.
Quello potente, storico, istituzionale, massonico.
Anzitutto per quel che Sarkozy ha detto incontrando il Papa il 20 dicembre: «La Francia ha bisogno dei cattolici», e poi ha fustigato un laicismo che «tenta di troncare la - Francia dalle sue radici cristiane» (1).
«Con tali dichiarazioni Sarkozy ha trasgredito una frontiera», dice un «sociologo della laicità» (sic) subito intervistato dall’allarmatissimo Le Monde, tale Jean Bauberot: «Assume un’opzione filosofica e personale, che non fa parte del ruolo del presidente della repubblica».
Il presidente della Repubblica è il nume della laicité erede della rivoluzione giacobina.
Ma Sarko l’ha rifatto.
Il 14 gennaio, invitato a parlare davanti all’assemblea consultiva dell’Arabia Saudita
(il fantasmatico parlamento di quei despoti), ha detto fra l'altro: «Io non conosco Paese la cui eredità, la ci cultura, la cui civiltà non abbiano radici religiose. La politica di civiltà, è ciò che fanno tutti coloro che nel seno stesso dell’Islam, come delle altre religioni, lottano contro il fanatismo e contro il terrorismo, quelli che si appellano ai valori fondamentali dell’Islam per combattere l’integrismo» (2).
Ciò ha «sconvolto» il gran maestro del Grand Orient de France, Jean-Michel Quillardet.
«Sarkozy mette al centro della società una dimensione religiosa che non è condivisa da tutti».
Il socialista Jean-Marie Le Guen ha giudicato «pericolose» le frasi ai sauditi del presidente, perché «rinforzano la legittimità di coloro che predicano la fede più radicale».
Ancor peggio è stata giudicata la seguente frase: «Dio è nel cuore di ogni uomo».
Frase che ogni persona di fede trova giustissima.
Ma che Dio sia nel cuore di Sarkozy, al momento, pare da escludere.
Mentre parlava col Papa, Carla Bruni era in giro per Roma a fare shopping.
E i sauditi non hanno dato il visto alla concubina presidenziale; non entrano donne nubili in Arabia Saudita, e anche gli uomini (è successo a chi scrive) hanno il visto solo se esibiscono il certificato di matrimonio religioso, cattolico.
E ovviamente, uno che ha Dio nel cuore non diventa così freneticamente un personaggio di Novella Duemila.
Penso alla naturale austerità di De Gaulle, gran cattolico.
Evidentemente Sarkozy non pensa nemmeno un momento di vivere personalmente la fede, per la salvezza della sua anima.
La pensa come un utile ingrediente della sua «politica di civiltà».
E’ questo è il vero scopo, e l’aveva rivelato con perfetta incoscienza parlando al Papa: «Un uomo che crede è un uomo che spera… L’interesse della Repubblica è che ci siano molti uomini e donne che sperano. Io aspiro all’avvento di una laicità positiva, ossia di una laicità che, pur vegliando sulla libertà di pensiero e quella di credere o non credere, non consideri la religione come un pericolo, ma come un attivo».
«L’interesse della Repubblica è che ci siano molti che sperano»: perché chi spera sopporta di più, si rassegna di più, è onesto, contribuisce all’ordine.
Sarko intuisce - e non è poco, coi tempi che corrono - che l’esito terminale della laicità è questa corruzione generale, questa insubordinazione molecolare dei cittadini contro il potere «legale» ma non sentito più come legittimo, il rifiuto d’obbedienza ad autorità solo formali ed opache o tecnocratiche o losche, la pretesa di mille «opinioni» e di capricci individuali a porsi come «diritti», la società frammentata in mille dissociazioni l’una contro l’altra ostili, che ci assedia da ogni lato e causa l’ingovernabilità, la perdizione della politica realizzatrice.
Ma pensa anche come Marx: che, essendo la religione oppio dei popoli, convenga cominciare a somministrarne un po’ come sedativo.
Tanto, non è «un pericolo», com’era per i laicisti ottocenteschi.
E’ ridotta a tali estremi nella società secolarizzata, che può essere incoraggiata come modica quantità.
Dà speranza, allevia i dolori della modernità.
E la politica, che speranze non ne dà più, finalmente legalizza la religione come surrogato.
Ciò in fondo è persino divertente, e nulla ci vieta di approvare le frasi di Sarko, e magari - se oltre al dire farà qualcosa - essere con lui nella «politique de civilization».
Ma con la coscienza che l’uomo è troppo «leggero» per avere coscienza dell’importanza della religione, della sua centralità.
La speranza di chi crede, è una virtù teologale.
E la speranza in Cristo il crocifisso, e questa è la notizia che non andrà mai su Eva Express.
Note
1) Stéphanie Le Bars, «Inquiétudes sur le rôle conféré aux religions par Nicolas Sarkozy», Le Monde, 17 gennaio 2008.
2) Ecco i passi salienti del discorso: «Sans doute musulmans, juifs et chrétiens ne croient-ils pas en Dieu de la même façon. Mais au fond, qui pourrait contester que c’est bien le même Dieu auquel s’adressent leurs prières? Dieu transcendant qui est dans la pensée et dans le coeur de chaque homme. Dieu qui n’asservit pas l’homme mais qui le libère (...). Ce n’est pas le sentiment religieux qui est dangereux. C’est son utilisation à des fins politiques régressives au service d’une nouvelle barbarie. (...) Le sentiment religieux n’est pas plus condamnable à cause du fanatisme que le sentiment national ne l’est à cause du nationalisme. Je respecte ceux qui croient au Ciel autant que ceux qui n’y croient pas. J’ai le devoir de faire en sorte que chacun, qu’il soit juif, catholique, protestant, musulman, athée, franc-maçon ou rationaliste, se sente heureux de vivre en France. Mais j’ai le devoir aussi de préserver l’héritage d’une longue histoire, d’une culture et, j’ose le mot, d’une civilisation. Et je ne connais pas de pays dont l’héritage, dont la culture, dont la civilisation n’aient pas de racines religieuses. (...) La politique de civilisation, c’est ce que font tous ceux qui au sein même de l’islam - comme des autres religions - luttent contre le fanatisme et contre le terrorisme, ceux qui en appellent aux valeurs fondamentales de l’islam pour combattre l’intégrisme (...). Je respecte ceux qui croient au Ciel autant que ceux qui n’y croient pas. J’ai le devoir de faire en sorte que chacun, qu’il soit juif, catholique, protestant, musulman, athée, franc-maçon ou rationaliste, se sente heureux de vivre en France. Mais j’ai le devoir aussi de préserver l’héritage d’une longue histoire, d’une culture et, j’ose le mot, d’une civilisation. Et je ne connais pas de pays dont l’héritage, dont la culture, dont la civilisation n’aient pas de racines religieuses. (...) La politique de civilisation, c’est ce que font tous ceux qui au sein même de l’islam - comme des autres religions - luttent contre le fanatisme et contre le terrorisme, ceux qui en appellent aux valeurs fondamentales de l’islam pour combattre l’intégrisme (...)». Alla basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, aveva detto: «Les racines de la France sont essentiellement chrétiennes (...). Nous devons tenir ensemble les deux bouts de la chaîn: assumer les racines chrétiennes de la France et même les valoriser, tout en défendant la laïcité parvenue à maturité. (...) Un homme qui croit est un homme qui espère. L’intérêt de la République, c’est qu’il y ait beaucoup d’hommes et de femmes qui espèrent. (...) J’appelle de mes voeux l’avènement d’une laïcité positive, c’est-à-dire une laïcité qui, tout en veillant à la liberté de penser, à celle de croire et de ne pas croire, ne considère pas les religions comme un danger, mais comme un atout».
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