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Occhio all’euro-putsch
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Appena rigettato dall’elettorato italiano, la prima cosa che ha fatto Mario Monti è stata di precipitarsi a Bruxelles dai suoi parigrado. I media italiani hanno praticamente taciuto questa trasferta (il che non stupisce); dalle poche notizie, ricavate dal belga Le Soir, anche lui laconico, sembra che Monti sia andato a lamentarsi di essere il solo ad applicare l’austerità con tutto il rigore che gli era stato ordinato, mentre altri Paesi «hanno ottenuto di poter rimandare gli obiettivi di riduzione del deficit».

«Quando ho preso le mie funzioni», ha detto, «io non mi sono proposto di chiedere un arrangiamento per rimandare al 2014» la drastica riduzione del deficit pubblico italiano, «nonostante le condizioni molto, molto difficili»; e poi ha dovuto scoprire che nella UE «si è ceduto a una tendenza recente» a strappare accordi di procrastinazione. «Non biasimo nessuno», ha concluso il Trilateral-Bilderberg a noi assegnato, «né a livello dell’Unione né degli Stati membri, ma è evidente che la credibilità della politica condotta in un Paese può soffrire se altri chiedono rimandi e li ottengono». Secondo il giornale belga, era «una velata critica a Spagna, Portogallo, Francia o anche ai Paesi Bassi».

Questa è la parte pubblica. Ma quali incontri ha avuto Monti in privato? Si sa solo che il successo che gli italiani gli hanno negato, gliel’anno tributato i suoi colleghi Commissari europei: una standing ovation. Specie quando ha proclamato che l’austerità è la risposta giusta alla crisi, e che continua ad essere giusta. Poi il nostro s’è chiuso con Barroso (il presidente della Commissione) e Van Rompuy «per discutere della situazione italiana». All’uscita, capi eurocratici hanno esplicitamente dichiarato di aspettarsi che «qualunque nuovo governo continui le riforme di Monti». Immediatamente sono seguite truci intimazioni dello stesso genere dai tedeschi. Guido Westerwelle, ministro degli esteri: «Le persone politicamente responsabili a Roma riconoscano che l’Italia ha bisogno di continuare la politica di riforme e di consolidamento che guadagni la fiducia dei mercati». Philipp Roesler, dell’economia: «Non c’è alternativa alla via già adottata di riforme strutturali». Olli Rehn ha fatto simili dichiarazioni insultanti. Giorgio Napolitano era in visita in a Berlino (visita «prevista da tempo», come no?) ad assicurare chi di dovere.

Richard Wagner
  Lisbona, 2 marzo
I più attenti cronisti (stranieri) presenti alla parte pubblica degli incontri hanno notato un certo panico dietro queste minacce e questo ordini dati agli italiani. L’Italia ha rotto il fronte. Lo sappiano o no, il 60% degli elettori hanno votato contro l’Europa, la Merkel , e l’euro. Sembrava un fidato e solido mastio nel sistema euro, con devoti serventi. Gli eurocrati, che avevano fatto cadere il Cavaliere e ci avevano installato il loro Monti, erano certi che avremmo accettato il governo Bersani-Monti, ossia dosi continue della stessa cura. Invece abbiamo «rifatto Caporetto», rompendo il fronte per cedimento e ponendoci su una china che (secondo chi scrive) porterà inevitabilmente all’uscita dall’euro e al default. E subito, dal Portogallo alla Bulgaria, si sono prodotte affollate manifestazioni contro la corruzione, l’austerità e la povertà e al grido: «Il potere ai cittadini». A Lisbona una marea umana.

A Londra, il partito di Nigel Farage (UKIP) è dato in impetuosa rimonta elettorale, ed è stato il secondo partito in una votazione ad Eastleigh, lasciando indietro i Tories. In Belgio riprendono forza i partiti «populisti» che vogliono la secessione delle Fiandre dalla Vallonia. In Olanda ha rialzato la testa Geert Wilders, che sta per lanciare un «giro di resistenza» in tutto il Paese.

«Dove Wilders tragga ispirazione, visto che coniuga posizioni di estrema destra anti-immigrati con posizioni sociali di sinistra, è facile capire: da Roma», ha scritto Ian Traynor del Guardian. In Francia sempre più ad alta voce ci si domanda se Hollande sia «il nostro Papandreu» per la sua fedeltà servile al sistema eurocratico; e persino Le Monde, il massonico e dunque ultra-monnetiano eurocratico Le Monde, pubblica — èd è la prima volta in assoluto — un commento critico sull’Unione Europea: una sua firma si domanda «se bisognava firmare il trattato di Maastricht che sta portando al disastro. Dopo averlo tanto difeso, si finisce per dubitarne». Titolo: «Sogno tedesco, incubo europeo»: una vera requisitoria contro l’arroganza germanica che approfitta dell’euro e non contribuisce ai suoi costi. (Rêve allemand, cauchemar européen)

Il rifiuto tedesco di rifinanziare il salvataggio delle banche irlandesi, martellato da Wolfgang Schauble, non migliora certo le situazioni: significa che i tedeschi rifiutano la minima mutualizzazione del debito, anche a favore dei più «virtuosi». A questo punto c’è da chiedersi se Berlino in realtà voglia l’implosione della moneta unica, ma cerchi che siano altri a produrla.

Ma attenzione: è possibile che il Sistema accetti questa «aggressione» ai suoi principi per confuse volontà popolari (che ovviamente bolla di «populismo») senza un contrattacco? Quella è gente che, come ha scritto un anno fa il giornalista Leigh Phillips, «per usare la parole del presidente dell’Eurogruppo nonché primo ministro del Lussemburgo Jean-Claude Juncker, crede che le politiche di bilancio (ossia tutte le azioni dei governi nelle spese che riguardano i loro cittadini) sono “troppo importanti” per lasciare che gli elettori ci mettano bocca; e che sarebbe meglio aggiustarle – sempre per usare parole sue – in “dibattiti segreti ed oscuri”. (The junta of experts tells us: ‘Vote how you like, but policies cannot change’)

È gente che Simon Jenkins, il corrispondente da Bruxelles per il Guardian, «coi suoi banchieri dietro, proclama che l’austerità è la punizione necessaria da infliggere alla gente in Europa per aver permesso che i suoi governo si indebitassero al di là dei loro messi. Il messaggio è: prendete la medicina, anche se è veleno». Jenkins paragona Monti e i tecnocrati a «sacerdoti aztechi all’altare: se il sacrificio di sangue non riesce a far venire la pioggia, bisogna versare più sangue (...). Nessuna nuova idea intaccherà mai la convinzione di questi dogmatici». (Le «buffonate» di un Grillo possono scuotere l’intero sistema europeo?)

Ciò, detto da due giornalisti permanenti a Bruxelles, che conoscono bene questi Aztechi: sanno che sono tipi pericolosi.

Per farla breve, il sito belga Dedefensa (che ha buoni agganci nei servizi, nella UE e nella Nato) si domanda come mai il Sistema non abbia ancora fatto «nulla di decisivo: nessun colonnello ha ancora preso il potere, nessuna seria “strategia della tensione” s’è sviluppata, non è questione nemmeno di quegli “anni di piombo” che i manipolatori dei diversi servizi seppero sviluppare in modo così perfetto negli anni ‘70». Eppure «sono quattro anni che il Sistema ha preso il potere in Europa» e «Goldman Sasch accumula miliardi (...) Stiamo ancora attendendo l’operazione decisiva del Sistema, ed ogni colpo di forza che sembra prepararlo è seguito da un arretramento...».

Già. Chissà che non si facciano vive «le nuove Brigate Rosse», o mettano le bombe «i SAM, Squadre d’Azione Mussolini» di antica memoria. O magari ci colpisca «il terrorismo islamico», con attentati che la stampa attribuirà ad «Hezbollah» o ad «Ahmadinejad», dato che Beppe Grillo è sospetto di simpatie sciite... (1)

Ogni proroga del governo Monti in una forma di «governo del presidente», o di qualunque altro tecnico «super partes», naturalmente lascia nelle mani degli Aztechi gli strumenti statali di repressione e controllo, oltre quelli fiscali, senza parlare dei centri di potere sovrannazionali in mano loro: BCE, Commissione, Goldman Sachs... mentre per noi la stretta creditizia delle banche si è fatta totale, il credito al consumo s’è azzerato, 38 miliardi sono stati fatti mancare a famiglie ed aziende (mentre il governo Monti ha pagato 60 miliardi nostri delle nostre tasse al salvataggio delle banche altrui), e i licenziamenti si susseguono a ritmo sempre più inarrestabile.

A pensarci bene, forse la strategia della tensione è proprio questa. Forse non occorrono «nuove Brigate Rosse» né «attentati fascisti» per farci rinunciare alla democrazia (quel che ne resta), sospendere elezioni ed invocare i poteri forti sovrannazionali come salvatori. Vale sempre il programma che Mario Monti rivelò nel discorso alla Luiss del 22 febbraio 2011:

«Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi, e di crisi gravi, per fare dei passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali al livello comunitario… è chiaro che (...) i cittadini possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo di farle, perché c’è una crisi grave, conclamata».






1) Tanto per fare un esempio. Chavez è morto di cancro a 58 anni, e il suo secondo, Maduro, accusa gli Stati Uniti di averlo infettato o avvelenato «come Arafat», che pare proprio sia stato avvelenato col Polonio (ma non se ne parla più). Naturalmente i media deridono queste uscite complottiste. È un esempio di strategia della tensione? Impossibile. Anche se, bisogna dire, da Chavez ha generato, da quando ha guidato il Venezuela, un ritorno del 681% a Goldman Sachs Asset Management (l’affare è gestito da Sam Finkelstein di Goldman) e ad Oppenheimer Funds, al ritmo del 14% annuo. Come? La sue politiche hanno fatto fuggire gli «investitori esteri», tranne quelli che si degnavano di prestargli i fondi al 12%, ossia un buon 4% in più che alle altre nazioni sottosviluppate. «Chavez non ha mai mancato un pagamento», assicura Finkelstein. Il perché lo ha spiegato Simon Nocera, ex del Fondo Monetario, oggi capo finanziere della Lumen Advisors LLC: «se smetteva di pagare i creditori avrebbero fatto sequestrare i carichi di greggio venezuelano sulle petroliere, e la vendita del greggio costituisce la metà dell’introito dello stato venezuelano. Sa che se ristruttura il debito, non riesce a vendere il solo prodotto che lo tiene a galla». Sopprimere la gallina dalle uova d’oro? Nient’affatto: gli affari continueranno anche col successore. Ci sono rivoluzionari spendibili, anche se fanno guadagnare. A meno che non ci sia il progetto di prendere direttamente le fonti. Come hanno fatto in Iraq, dopotutto. (How The Glorious Socialist Revolution Generated A 681% Return For Goldman Sachs)


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