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Ma vi interessa il bosone di Higgs?
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Siete felici, come contribuenti, di sborsare 5 miliardi di euro per conoscere le proprietà del «bosone di Higgs»? Magari non sapete cos’è, il bosone di Higgs. Siete in buona compagnia. Probabilmente nel mondo solo un centinaio di fisici sub-atomici sanno cos’è.

Anzi, meglio: nemmeno loro sanno cos’è, e nemmeno se esiste. Solo che la teoria loro «predice» che il bosone di Higgs è qualcosa «che dà la massa alle cose»; ammesso che ci sia, s’intende (1). Sono intenzionati a scoprirlo. Coi soldi nostri.

Ancora non ha cominciato a funzionare, presso il CERN, il Large Hadron Collider (LHC) con cui vogliono scoprire se il bosone esiste, che già pensano alla macchina che dovrà succedergli entro il 2025. Perchè già sanno che il LHC non basterà. A malapena riuscirà a dir loro che il bosone di Higgs esiste; ma per studiarne le proprietà, bisognerà dotarsi di un’altra macchina, appunto da 5 miliardi di euro.

Notate, prego, che nemmeno il Large Hadron Collider (LHC) già costruito non è un bruscolino economico: è un anello di 27 chilometri di circonferenza circondato da potentissimi apparati magnetici e, quando quest’estate lo metteranno in funzione, sparerà ogni volta 14 mila miliardi di elettronvolt; un bel consumo di energia, con quel che costa il barile di questi tempi. Ma i fisici sono incontentabili.

La traiettoria delle particelle che studiano, quando è circolare, provoca un irraggiamento parassita che disperde energia e disturba gli esperimenti che a loro piacciono tanto. Così, per il 2025, come regalo, vogliono un acceleratore diritto: un cannone magnetico che spara particelle con più colossale potenza.

Sono indecisi fra due cannoni che hanno progettato: uno, ILC (International Linear Collider), lo vogliono lungo 31 chilometri, estensibile a 50. L’altro, il CLIC (Compact Linear Collider), lo vogliono di 42 chilometri. In compenso, i nuoi apparecchi consumeranno un po’ meno energia: mille miliardi di elettrovolt il primo, 3 mila miliardi il secondo.

Il fatto è che l’appena terminato LHC riesce a spaccare soltanto dei protoni, che - ci assicurano i fisici, e bisogna crederli sulla parola - sono molto più grossi delle particelle elementari che i fisici cercano in base alle loro teorie. Sicchè hanno bisogno di «salire sempre più in alto in energia» e concentrarla di più.

La lobby dei fisici è molto potente; da quando ha inventato la bomba atomica, visti i benefici che essa ha dato all’umanità, i politici sono ai suoi piedi. Quello che chiede la lobby, i politici glielo danno, anche se del bosone di Higgs, capiscono anche meno di voi.

Macchine sempre più costose. Energie sempre più spaventose (e care). Il tutto, ci viene spiegato, è per «conoscere l’intima struttura della materia», arrivare alla «teoria unificante», per farci scoprire le ultime «verità», per l’avanzamento del «sapere».

Tutte balle. Anche se scoprissero il bosone di Higgs e le sue proprietà, non sperate che si degneranno di spiegarlo a voi, contribuenti che gli avete pagato il giocattolo. Vi mostreranno una formula matematica con molte lettere greche; si rifiuteranno di farvela intuire con parole, perchè il mondo che studiano è da tempo al di là di ogni esperienza e intuizione umana; questa scienza non è volgarizzabile, si glorieranno. Alla fin fine, al massimo, potranno mostrarvi un dato su uno dei loro strumenti.

Perchè a questo si riduce la scienza postmoderna, come ha scritto Giuseppe Sermonti (2): ad «appropriarsi la realtà assoggettandola ai propri strumenti». Se gli chiedete cos’è il calore, vi dà il termometro. Se volete sapere perchè vi fa male un rene, vi fa la TAC (e il numero di diagnosi sbagliate non pare diminuito). Il colore della scienza non ha colore, perchè è una lunghezza d’onda.

Per la biologia molecolare, la «vita» è un concetto preciso, «una struttura che si autoriproduce»; se obiettate che «la vita per l’uomo comune è altra cosa, in essa c’è la coscienza, la prospettiva del futuro, il problema dell’eterno», aspettatevi solo il sorrisetto di scherno del primo Odifreddi che passa.

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La realtà è che la scienza cerca solo quello che sa trovare: trova quello per cui ha preordinato i suoi strumenti, e la vita nel senso che interessa all’uomo, non sa trovarla in quanto non rilevabile. Ma il peggio è che pretende da noi che ci adattiamo alla sua visione: «Se la biologia non sa darci un’anima e il libero arbitrio, l’uomo impari a farne a meno!». Infatti lo facciamo, ci sforziamo, ci stiamo arrivando.

Strano però: appena abbiamo ridotto la nostra vita a «struttura che si autoriproduce», noi occidentali abbiamo persino smesso di auto-riprodurci.

No, non è strano. La sterilità è l’effetto collaterale maggiore della riduzione della realtà alla scienza. «E’ sconcertante vedere quanto poco rilievo abbia avuto tutto questo lavoro - i progressi della genetica molecolare - agli effetti della medicina», disse sir Mac Farlane Burnet. Tutte le ricerche colossali e i mostruosi investimenti non hanno dato finora nulla di paragonabile a quel che ci hanno dato, con i loro pochi mezzi e strumenti imprecisi, Pasteur, Jenner e Fleming, quello che «scoprì» la penicillina perchè una sua cultura batterica s’era infettata da un fungo. Così in fisica.

Questi di oggi vogliono macchine sempre più grandi, potenti e costose, per spaccare particelle sempre più piccole; ma non si sono nemmeno approssimati al genere di scoperte che Newton trovò vedendo cadere una mela, o Einstein facendo esperimenti mentali all’ufficio brevettti di Zurigo. C’era una fisica che è avanzata con carta e penna, più di quella che ha bisogno del sincrotrone da 5 miliardi di euro.

Questa sterilità non è casuale. C’è il dubbio che quei fisici che cercano cose di cui non sanno parlarci, stiano correndo all’interno di concezioni - di una filosofia della «materia», di una ideologia  che non si riconosce tale - che portano a un vicolo cieco. E se i filoni della ricerca che richiedono acceleratori titanici fossero sbagliati?

Vietato fare la domanda: la scienza pretende di darsi da sè i proprio fini, in assoluta insindacabile autonomia. Anche se paghiamo noi.

E’ diventata quello che è l’arte astratta: che si è resa «astratta» e informale (senza forme riconoscibili) perchè non voleva essere ausiliaria di qualcosa di estraneo all’arte stessa, non voleva Madonne e santi  immagini per le chiese e nemmeno paesaggi per le case dei borghesi; ha finito per non servire a nulla. Accade così anche alla scienza?

Non è sempre stato così. Ma «Galileo e Leonardo inventarono i loro apparecchi perchè servivano per indagare la realtà»; la scienza postmoderna «istituisce la realtà in modo da adoperare i propri strumenti», scrive ancora Sermonti. S’è verificato un rovesciamento fatale.

Con ricadute fatali nella realtà: voliamo alla velocità del suono non perchè ne abbiamo bisogno, ma perchè quello è un problema che la scienza ha saputo risolvere. I nostri veri problemi  vitali - fra cui il degrado della civiltà generale, l’aumento della irresponsabilità, se ci sia o no l’aldilà - resteranno senza soluzioni, perchè la scienza non sa come impostarli. E il peggio è che ci ingiunge di credere che quelli che non sa risolvere sono «falsi problemi», di tipo «religioso», ossia oscurantista.

«La scienza investe... dove strumenti, metodi e teorie hanno già creato zone privilegiate, mentre dedica ai territori di ardua esplorazione poco più di qualche elemosina» (Sermonti).

E’ ovvio che i fisici del CERN troveranno il bosone: l’enorme strumento che si sono fatti pagare è fatto per quello, precisamente per trovarlo. E non saprebbe trovare altro. Ci avvicinerà  alla verità?

«I fatti scientifici e a fortiori le leggi», ha sancito Poincarè, «sono l’opera artificiale dello scienziato; la scienza non può farci apprendere nulla della verità; può servirci soltanto di regola d’azione».

Eh sì, perchè i «concetti scientifici» sono tutt’altra cosa dai concetti come li immaginarono Socrate, dalle idee secondo Platone o San Tommaso. Il concetto scientifico è «operativo», ossia «è sinonimo del gruppo di operazioni che lo determinano». La distanza, per esempio, è l’insieme delle operazioni che si compiono per stabilire la posizione relativa tra due oggetti.

Ci darà, il collider da 5 miliardi, «benefiche» ricadute nella nostra vita di ogni giorno, come il telefonino? La fisica terminale schifa le «applicazioni». Al massimo, come effetto collaterale non voluto, ci darà un’atomica più devastante; al minimo, darà a un qualunque Odifreddi il modo di sbertucciare padre Pio e i suoi miracoli di carità, perché «il bosone di Higgs ha dimostrato definitivamente che...». Che cosa precisamente? «Non è un argomento che si possa dire in un talk show, e poi non sapete abbastanza matematica».

Ebbene, forse è il momento di spogliarci dei nostri complessi d’inferiorità, e dire a questi scienziati cher vadano a farsi friggere. Che cinque miliardi di euro per il loro giocattolo, se lo possono sognare: perchè, alla fin fine, sono soldi nostri, con cui potremmo risolvere qualche problema di maggior interesse generale, più comunicabile e più incidente sulla realtà.

Potremmo ingiungere ai politici, che ci spellano vivi di tasse, di non gettare miliardi in quelle cose; che i fisici tornino a lavorare con carta, penna o personal computer per immaginare i loro mondi per pochissimi. Il loro collider da 31 chilometri che consuma energia come una metropoli, non ci serve. Del loro bosone, non sappiamo che farci; certo non per mettere insieme il pranzo con la cena, nè per allevare figli come brave persone anzichè bulletti masturbatori e pornografi a dieci anni.

Diciamo di più: abbiamo il sospetto che tutta la loro scienza avanzatissima sia una enorme bufala. Bando ai complessi d’inferiorità: possiamo citare persino Werner Heisenberg, che in fondo era uno di loro. Lo scienziato moderno, disse, «è nella posizione del capitano la cui nave è stata costruita così saldamente in ferro e acciaio, che l’ago della bussola non indica il nord, ma solo la massa di ferro della nave. Con una nave del genere non è possibile raggiungere nessuna destinazione».
Ci sbatteranno in faccia tutti i «benefici che dobbiamo alla scienza», telefonini, Hiroshima, TV, uranio impoverito, sonde su Marte, antibiotici... non ci facciamo intimidire da questo «discorso» della scienza (è ben capace di volgarizzare, quando le fa comodo).

«Proprio l’imponenza dei suoi effetti», scrive Sermonti che è anche (ma non solo) uno scienziato, «ci impone di affrontare criticamente i suoi significati e i suoi valori, ed è mera viltà inchinarsi alla sua potenza solo perchè è smisurata». 




1) Pierre Le Hir, «Deux collisionneurs sont déjà à l’étude pour succéder au LHC vers 2025»,
Le Monde, 4 luglio 2008.
2) Giuseppe Sermonti, «Il crepuscolo dello scientismo», Nova Scripta, 2002. Tute le citazioni che seguono sono tratte da questo saggio.


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