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Il Conclave del 1922
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La morte di Benedetto XV e l’elezione di papa Achille Ratti

Nel presente articolo affronto il periodo finale del pontificato di papa Giacomo Della Chiesa e l’elezione del cardinale Achille Ratti (6 febbraio 1922), che prese il nome di Pio XI.

Alcuni asseriscono che, oltre Benedetto XV, anche Pio XI era inficiato di liberalismo e modernismo. Ora se ci si limita a vedere ciò che, praticamente, ha dovuto battagliare papa Ratti, durante tutto il suo Pontificato[1], si deve costatare oggettivamente che la sua politica di governo ecclesiastico fu diametralmente contrapposta alla prassi dello spirito soggettivista e relativista del liberalismo, anche se essa si discostava dallo stretto intransigentismo di San Pio X e continuava piuttosto quella di Benedetto XV.

La teologia di papa Ratti

Per quanto riguarda il presunto liberalismo dell’insegnamento dottrinale di Pio XI riassumo, brevemente, quanto ne ha scritto Francesco Margiotta Broglio (Enciclopedia dei Papi, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2000, vol. III, pp. 617–632, voce “Pio XI”): «Ratti viene nominato nel giugno del 1919 nunzio apostolico a Varsavia. […]. Non del tutto apprezzabili, in quel contesto, le considerazioni del nunzio sulla presenza ebraica: “Fattore di divisione e confusione per il popolo polacco”, i numerosissimi ebrei sono “il più malfido elemento della vita polacca, un pericoloso fattore antinazionale, una massa che infesta la vita pubblica”, l’elemento” più nefasto e più demoralizzante che si possa immaginare: provocatore e sfruttatore immanchevole di disordini” (p. 620). […].  Per quanto riguarda le prime due encicliche di Pio XI (Ubi arcano Dei, 23 dicembre 1922; Quas primas, 11 dicembre 1925) Luigi Salvatorelli parlò di una sorta di nuova Unam Sanctam di Bonifacio VIII nel Novecento; la storiografia più recente ha notato che con le sue dottrine Pio XI arroccava la Chiesa “su posizioni di assoluta intransigenza religiosa e la presentava come una società in contrasto, in alternativa globale alla civiltà moderna” (G. Verrucci), rilanciando le tesi ierocratiche di una nuova cristianità (R. Aubert). […]. L’atteggiamento conservatore nel campo biblico mostra la ferma intransigenza di Ratti. D’altra parte Pio XI non esitò a usare la persecuzione contro gli epigoni del movimento modernista […] e l’inserimento nell’Indice dei libri proibiti di autori come Giovanni Gentile e Benedetto Croce e ciò dà la misura dell’intransigenza di papa Ratti (pp. 622–623). […]. Ben note sono le posizioni vaticane sul mandato britannico per la Palestina: si temevano (S. Minerbi, S. Ferrari) i grandi poteri conferiti a un’amministrazione che “sarà giudaica o filogiudica” e la creazione della “national home” per gli ebrei (p. 623). Le coincidenze d’interessi tra la Chiesa di Pio XI e Stati autoritari quali la Germania, l’Italia e la Spagna consistevano essenzialmente nel considerarli reciprocamente alleati contro i comuni nemici: il liberalismo, il razionalismo, l’ateismo e soprattutto il socialcomunismo; inoltre Pio XI era assai preoccupato per il comunismo che si era alleato con la massoneria e con il giudaismo (p. 625). […]. L’11 febbraio 1932 Pio XI ricevette Mussolini e gli disse (A. Corsetti): “Sotto la sovversione antireligiosa in Messico, Spagna e Russia c’è l’avversione anticristiana del giudaismo. Quando ero a Varsavia vidi che, in tutti i reggimenti bolscevichi, il commissario civile o la commisssaria erano ebrei. […]. Ciò non impedì la violenta reazione contro le leggi razziali e l’antisemitismo”. […]. Certo la sua idea di Chiesa non era aggiornata con i profondi mutamenti del mondo e la “nuova cristianità” di papa Ratti, fondata sulla centralizzazione autoritaria di Roma e sulla tesi teologica della Regalità sociale di Cristo che sarà travolta dalla shoah, non aveva alcuna concreta possibilità di fronteggiare le statolatrie (p. 630)».

Non mi sembra che questa mentalità possa essere qualificata come liberale né come modernizzante.

Non tratto lungamente, tuttavia, il pontificato di Pio XI, avendone già scritto e non avendo nuovi documenti su questo tema che mi possano dare maggiori lumi, come invece è successo (almeno per me) con il pontificato di Benedetto XV, sul quale i contributi dati recentemente da Alberto Melloni[2] e dai suoi collaboratori hanno fornito delle nuove indicazioni che hanno reso opportuno un ritorno sulla figura di papa Giacomo Della Chiesa.

Tuttavia mi soffermerò sulle figure, non troppo conosciute, dei cardinali La Fontaine, Maffi e soprattutto Gasparri che hanno caratterizzato i pontificati di Benedetto XV e Pio XI e che ci aiuteranno a far maggior luce su di essi.

La malattia e la morte di Benedetto XV

Papa Della Chiesa morì quasi all’improvviso il 22 gennaio del 1922, all’età di 67 anni, vittima di un’influenza invernale che si era abbattuta, come ogni anno circa, su Roma. Non si era ammalato seriamente prima di morire, ma a partire dal 1920 manifestava qualche segno di debolezza. Il 13 gennaio accusò i sintomi del “mal di stagione”, ma non si allettò e non interruppe neppure la sua grande attività, sino al 19 gennaio quando la situazione si fece più grave e il Pontefice dovette allettarsi e interrompere il suo lavoro (Edouard Coquet, La morte del papa nel XX secolo, tra rottura e continuità: l’esempio di Benedetto XV, in Alberto Melloni – diretto da – Benedetto XV. Papa Giacomo Della Chiesa nel mondo dell’inutile strage, Bologna, Il Mulino, 2017, 2° vol., p. 1039; A. Scottà, Papa Benedetto XV, Roma, 2009, p. 401 ss.).

Il 20 gennaio papa Benedetto XV ricevette il viatico in maniera solenne, a differenza di San Pio X che essendosi aggravato repentinamente non poté avere la solennità della cerimonia processionale, che accompagnava il viatico del Papa, ma dovette accontentarsi del viatico dato in maniera ordinaria.

Il Conclave (2 – 6 febbraio)

Il Conclave del 1922 fu il più lungo di tutto il Novecento, essendo durato cinque giorni. Dopo ben 14 scrutini, con 4 votazioni al giorno a partire dal venerdì 3 febbraio, si arrivò il lunedì 6 febbraio nella mattinata all’elezione del nuovo Pontefice, il cardinale arcivescovo di Milano Achille Ratti, che prese il nome di Pio XI. Alla sua morte il Conclave del 1939 (da cui uscì Papa il cardinal Eugenio Pacelli col nome di Pio XII) durò solo due giorni con soli tre scrutini e fu il Conclave più breve del XX secolo, mentre nel 1958 (quando venne eletto Giovanni XXIII) ci vollero 4 giorni e 11 scrutini (Lorenza Lullini, Il conclave del 1922 e il ritorno del papa Pio, in , in Alberto Melloni – diretto da – Benedetto XV, cit., 2° vol., p. 1051).

Come mai il Conclave del 1922 fu così lungo? Gli storici rispondono che durante esso vi erano come al solito, ma forse in forma più accentuata, due schieramenti: da una parte 1°) i fautori della continuità con l’azione di governo di Benedetto XV, considerato più tollerante di quello di papa Sarto, il candidato di questo primo schieramento erano il cardinale Pietro Maffi[3], Arcivescovo di Pisa e il Segretario di Stato cardinal Pietro Gasparri; dall’altra 2°) coloro che auspicavano un Pontificato più intransigente sullo stile di San Pio X, il candidato di questo gruppo intransigente era il cardinal Merry del Val[4], il Segretario di Stato di Pio X, che però – non bisogna dimenticarlo – aveva diretto il S. Uffizio (ossia la Suprema Congregazione) sotto Benedetto XV; tuttavia svanita la sua candidatura egli venne rimpiazzato dal cardinale Pietro La Fontaine[5], arcivescovo e patriarca di Venezia, considerato vicino, anche se non in maniera stretta, al partito degli intransigenti. Si riproduceva nel 1922 la medesima situazione che aveva caratterizzato il conclave del 1914, quando si fronteggiavano Merry del Val “contro” Gasparri e Maffi (Lorenza Lullini, Il conclave del 1922 e il ritorno del papa Pio, cit., p. 1051).

La scelta dei cardinali cadde su Achille Ratti, che sembrava la persona adatta a mantenere gli equilibri tra i due schieramenti. Inoltre solo pochi cardinali (29 su 70) partecipanti al conclave del 1922 erano stati creati tali da Benedetto XV. Quindi nel 1922 il partito degli intransigenti era ancora abbastanza forte e numeroso e controllava circa il 31% dei votanti[6].

Il primo giorno delle votazione (il 3 febbraio 1922) Merry del Val ottenne 17 voti, mentre Gasparri soltanto 13[7].

Invece già al secondo giorno i due candidati emergenti furono Gasparri con 24 voti (cfr. R. Aubert, Dictionnaire d’histoire  et de geographie ecclésiastique, Parigi, 1981, vol. XIX, col. 1370) e La Fontaine. Tuttavia al terzo turno La Fontaine perse molti voti.

Il cambio di passo si registrò tra la sera del sabato 4 e la mattina della domenica 5 febbraio. Infatti, durante le votazioni domenicali, si fronteggiarono Ratti e La Fontaine, mentre Gasparri e Maffi sostenevano Ratti.

Tuttavia, fu “decisivo l’intervento di Gaetano De Lai, che essendo ostile a Gasparri e rendendosi conto che Merry del Val non avrebbe ottenuto voti a sufficienza, si decise a incontrare Ratti per promettergli i voti del suo gruppo, a condizione di non confermare Gasparri come Segretario di Stato. La mossa pare confermata dai diari di Gasparri[8]. […]. Ovviamente le cose andarono diversamente perché, quando Ratti verrà eletto, Gasparri verrà confermato come Segretario di Stato e sopravviverà di due anni a Pio XI” (Lorenza Lullini, Il conclave del 1922 e il ritorno del papa Pio, cit., p. 1055).

Il 6 febbraio 1922 verso mezzogiorno venne eletto, anche con l’appoggio dei cardinali intransigenti, Ratti (con 49 voti contro i 9 di La Fontaine), il quale decise di interrompere una pratica che durava dal 20 settembre del 1870 e volle impartire la benedizione direttamente dalla loggia esterna della basilica di San Pietro, chiusa dal giorno della breccia di Porta Pia in segno di protesta, per dimostrare che egli aveva la ferma volontà di risolvere la questione romana, cosa che avverrà sette anni dopo, l’11 febbraio 1929 con la firma dei Patti Lateranensi.

Vediamo ora i profili dei cardinali in lizza durante il conclave del 1922: Pietro La Fontaine, Pietro Gasparri e Antonio Maffi.

Cardinale Pietro Gasparri (1852–1934)

Nacque il 5 maggio 1852 a Capovallazza in provincia di Macerata nelle Marche, ma in diocesi di Norcia nell’Umbria, da una famiglia di proprietari di terre e di bestiame. Egli entrò nel seminario di Nepi, sotto la guida del fratello di sua madre, monsignor Pietro Silj, arciprete di Nepi. Da Nepi si trasferì a Roma (il 18 settembre del 1870, due giorni prima della breccia di Porta Pia) ove frequentò gli studi presso il seminario dell’Apollinare. Qui ricevette un’ottima formazione filosofica, teologica, giuridica e soprattutto canonica; infatti ebbe come professori due eminenze del diritto canonico (F. De Angeli e F. Santi). Si laureò prima in filosofia nel 1872, poi in teologia nel 1876, quindi venne ordinato sacerdote il 31 marzo 1877 nella basilica di San Giovanni in Laterano. Infine si addottorò col massimo dei voti in utroque jure nel 1879. Nel frattempo era stato nominato nel 1878 professore sostituto di teologia sacramentaria e di storia ecclesiastica nel seminario dell’Apollinare, l’anno successivo fu chiamato a insegnare teologia dogmatica nel Pontificio Collegio Urbaniano. Nel 1880 fu chiamato dal cardinale Langénieux, arcivescovo di Reims, a insegnare diritto canonico presso l’Istituto Cattolico di Parigi ove rimase sino al 1897, seguendo la scuola giuridico/canonistica “fortemente tridentina, che escludeva ogni contaminazione storica” (C. Fantappié, “Gasparri, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1999, vol. 52, p. 501).

Nel 1892 venne chiamato a collaborare alla commissione incaricata da Leone XIII di studiare la questione della validità delle Ordinazioni anglicane, da cui scaturì la bolla Apostolicae curae, del 13 settembre 1896, in cui il Papa definiva invalide tali Ordinazioni.

Il Gasparri godeva grande stima presso Leone XIII e nel 1894 fu inviato come consigliere della delegazione cattolica a Washington, poi nel 1897 in America latina, ma siccome era impegnato a Parigi nell’insegnamento del diritto canonico e nella stesura di alcuni manuali (De Matrimonio, 1891; De sacra Ordinatione, 1893; De sanctissima Eucharistia, 1897) riuscì a non partire per poter completare i suoi corsi e i suoi libri. Tuttavia nel 1898, avendo terminato le pubblicazioni, fu consacrato vescovo a Parigi e venne nominato delegato apostolico nell’Ecuador, Perù e Bolivia, restando soprattutto a Lima sino al 1901. Fu allora che si sviluppò la sua “preferenza per la politica concordataria quale strumento propizio per garantire l’azione spirituale della Chiesa e per contenere le pretese degli Stati” (Ibidem, p. 502). I suoi successi riportati in America latina gli valsero nel 1901 la promozione a segretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, deputata a curare i rapporti tra la Chiesa e gli Stati.

Durante il nuovo pontificato di San Pio X venne incaricato, nel 1904, di preparare uno studio da pubblicare in occasione di una futura eventuale legge di separazione tra Stato e Chiesa, che si affacciava minacciosamente all’orizzonte in Francia e che avvenne poi realmente il 5 dicembre 1905. Gasparri vi lavorò durante tutta l’estate del 1905 coll’aiuto del giovane monsignore Eugenio Pacelli, alla fine dell’estate essi poterono presentare al cardinale Segretario di Stato (Merry del Val) un libretto intitolato La séparation de l’Eglise et de l’Etat en France, che venne illustrato il 30 novembre 1905,  in una conferenza, da Merry del Val a ministri e ambasciatori. Per rapporto al caso francese (1905–1908) si riscontra una certa differenza tra l’indirizzo di Gasparri, aperto alla politica concordataria, secondo la scuola di Leone XIII, e di Rampolla e quello più intransigente assunto dal nuovo Pontefice, Pio X seguìto dal suo Segretario di Stato Merry del Val, che sfociò nella ferma condanna di ogni conciliazione col governo francese nell’Enciclica Vehementer (21 febbraio 1906).

Il Fantappié asserisce pure che non solo con Merry del Val ma anche rispetto a Pio X “Gasparri ebbe una diversità di atteggiamento nei confronti dei modernisti, di cui non condivise le idee ma contro i quali evitò una repressione cieca” (cit., p. 502).

Queste divergenze riguardo ai modernisti fecero sì che Gasparri venne destinato esclusivamente all’opera di redazione del Codice di Diritto Canonico dal 1904 al 1914, ossia durante quasi tutto il pontificato di San Pio X, che tuttavia lo nominò cardinale il 16 dicembre del 1907.

Il 13 ottobre 1914 morì il cardinale Ferrata, Segretario di Stato di Benedetto XV, il quale nominò suo nuovo Segretario di Stato il Gasparri, che era stato “già suo collega di lavoro alla Segreteria di Stato sotto Pio X” [9].

Tuttavia il Fantappié, citando il diario del barone C. Monti – che è una fonte diretta sulla politica vaticana durante il pontificato di papa Della Chiesa, avendo fatto da tramite ufficioso tra il governo italiano e la S. Sede – asserisce che “i colloqui [di Benedetto XV] con il Gasparri si intensificarono solo dopo il maggio 1915, quando l’Italia entrò in guerra, segno, forse, di una iniziale diffidenza tra il Pontefice e il Gasparri. Di fatto, durante i primi mesi del pontificato, i problemi più rilevanti nei rapporti con lo Stato italiano […] furono trattati direttamente dal Papa” (cit., p. 503).

Queste presunte difficoltà di rapporto tra il Gasparri e il Papa riapparvero nel 1917, sempre secondo il diario di Monti, il quale narra che il Papa era abbastanza contrariato dal comportamento del governo italiano, mentre Gasparri consigliava il Monti di non far caso alle impressioni del Pontefice, essendo opportuno mantenere con l’Italia buoni rapporti diplomatici, restando così d’accordo di parlare tra di loro due (Gasparri e Monti) delle questioni riguardanti il governo italiano e di informarne il Papa solo per le cose più importanti, mentre durante gli anni della guerra Gasparri appariva fondamentalmente un fedele esecutore degli indirizzi di Benedetto XV (C. Fantappié, cit., p. 503).

Un altro elemento singolare è la diversità di vedute tra Gasparri e la cerchia del cardinal Rampolla, della quale egli però faceva parte. Infatti, mentre Rampolla aveva manifestato simpatie filofrancesi, ottenendo il veto da parte dell’Imperatore d’Austria al conclave del 1903 affinché non fosse eletto Papa, Gasparri aveva piuttosto simpatia per l’Austria/Ungheria e la Germania (C. Fantappié, cit., p. 503).

Gasparri rappresentava, già sotto Benedetto XV, soprattutto la linea diplomatico/politica che prediligeva la scelta concordataria come strumento per integrare il cattolicesimo nelle società nazionali.

Con l’elezione di Pio XI, Gasparri venne riconfermato Segretario di Stato “alla morte di Benedetto XV, con cui aveva condiviso le responsabilità di governo e l’ispirazione dei più grandi atti di quel pontificato, così proficuo soprattutto per la ripresa delle relazioni diplomatiche di molte nazioni”[10] e continuò, pertanto, la politica concordataria verso gli Stati non confessionali.

Egli inoltre voleva risolvere specialmente la questione romana e privilegiò il rapporto con i politici italiani non legati alla causa cattolica antirisorgimentale, in quanto riteneva che essi potessero essere più utili alla Santa Sede in vista di una futura riconciliazione tra Chiesa e Stato italiano. Iniziò, perciò, ad avere contatti con Mussolini a partire dal 1923 e a distanziarsi dal Partito Popolare Italiano, che pur aveva sostenuto nel suo nascere, poiché avrebbe potuto guastare i rapporti con il nuovo regime istauratosi in Italia a partire dal 1922. Gasparri era anche ostile a ogni ingerenza degli Episcopati nazionali nelle questioni concordatarie tra Santa Sede e singole nazioni (C. Fantappié, cit., p. 505).

Gli ultimi anni della sua attività di Segretario di Stato, che cessò l’11 febbraio 1930, furono caratterizzati dalle trattative che portarono ai Patti lateranensi, seguite direttamente da Pio XI.

Gasparri lasciò la Segreteria di Stato non senza qualche amarezza, come mostra la lettera che inviò a Pio XI il 17 settembre 1929, nella quale concordava le modalità della sua sostituzione nell’incarico [assegnato a Eugenio Pacelli, ndr]. Il cardinale Pietro Palazzini precisa: “Per divergenze personali cessò dalla sua carica di Segretario di Stato”[11], ma non ci è dato sapere su cosa vertessero queste divergenze.

Egli dedicò gli ultimi anni della sua vita alla codificazione del Diritto Canonico orientale. Gasparri avrebbe desiderato un Codice unico per la Chiesa d’Oriente e d’Occidente. “Tuttavia questa impostazione non fu approvata da Pio XI che impose per la Chiesa orientale un Codice specifico, di cui la commissione presieduta da Gasparri cominciò a pubblicare le fonti” (C. Fantappié, cit., p. 506).

Nel 1932 uscì il suo Catechismo cattolico, un’opera totalmente ortodossa, molto bella e teologicamente precisa che non sfigura rispetto al Catechismo di San Pio X e alla quale Gasparri aveva iniziato a lavorare sin dal 1924 durante il suo tempo libero. La produzione scientifica perfettamente collimante con la dottrina cattolica di Gasparri e la stesura del suo Catechismo cattolico mi sembra che rendano difficile poterlo definire un cattolico/liberale o addirittura un modernista, certamente la sua maniera di agire nella pratica politico/diplomatica fu molto meno intransigente di quella di Pio X e di Merry del Val, ma ciò non lo rende né liberale né modernista nel senso stretto del termine.

Gasparri morì a Roma il 18 novembre 1934.

I giudizi su di lui sono molto disparati. Comunemente si ammette la sua abilità politica e la sua perizia giuridica. Per il cardinale Tardini fu l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto. Roger Aubert lo ritiene molto abile politicamente, abbastanza elastico, ma non geniale né profondamente innovatore. Infine Spadolini lo ritiene un uomo che riuscì a conciliare una certa condiscendenza nell’azione politica con i più intransigenti pregiudizi dottrinali (C. Fantappié, cit., p. 507), invece alcuni altri lo ritengono un modernista, tuttavia non mi sembra che questa tesi sia molto fondata. Come si vede tot capita tot sententia

Cardinale Pietro Maffi (1858–1931)

Pietro Maffi nacque a Corteolona, presso Pavia, il 12 ottobre 1858. Nel 1873 entrò nel seminario di Pavia e fu nominato, non ancora sacerdote, professore di fisica e storia naturale nel medesimo seminario, ove insegnò sino al 1901. Venne ordinato sacerdote nel 1881 a Pavia dal vescovo Riboldi, che aveva una “netta posizione intransigente […] ed era fedele alle esigenze neotomiste manifestate nell’Enciclica Aeterni patris del 1879” (F. Sani, “Maffi, Pietro”, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 2006, vol. 67, p. 272).

Pietro Maffi si specializzò in studi di astronomia e di meteorologia, nel 1904 venne nominato presidente della specola vaticana ed entrò in grande amicizia con Toniolo, esponente del cattolicesimo sociale intransigente.

Nel frattempo (15 aprile 1901) monsignor Riboldi fu nominato arcivescovo di Ravenna e portò con sé don Maffi, nominandolo vicario episcopale. Il 25 aprile 1902 Riboldi morì e Maffi fu nominato amministratore apostolico della diocesi di Ravenna. L’11 giugno 1902 Leone XIII lo consacrò vescovo e lo nominò ausiliare di Ravenna, quindi il 25 giugno del 1903 fu designato arcivescovo di Pisa.

Anche San Pio X apprezzava la figura di monsignor Maffi e lo nominò cardinale nel 1907. Tuttavia egli rimase a Pisa poiché i fedeli pisani con Giuseppe Toniolo chiesero a Pio X di non chiamare a Roma il loro arcivescovo.

“Su un piano strettamente politico, il Maffi cercò sempre di mediare con le posizioni murriane, senza mai prestare loro il proprio consenso. A quest’opera di mediazione fu obbligato dal notevole ascendente che Romolo Murri aveva sulle opinioni dei giovani toscani. […]. In realtà, nonostante l’opera di mediazione, alla quale il suo ruolo pastorale lo vincolava, il Maffi fu sempre convinto della necessità di un’alleanza tra i cattolici con i liberali e con i monarchici. Proprio con la monarchia, il Maffi avviò, nel corso degli anni, una costante opera di riavvicinamento” (F. Sani, cit., p. 273).

Durante la guerra di Libia, il Maffi si allineò pubblicamente alle posizioni filo–nazionalistiche, che gli crearono una certa tensione con il Papa nel 1912. Inoltre durante la Prima Guerra mondiale Maffi si schierò a fianco degli interventisti nazionalisti, allontanandosi dalle posizioni di Benedetto XV. Dal 1924 si adoperò per la soluzione della questione romana assieme a Gasparri “sfruttando i legami personali che aveva da lunga data  con P. Mattei Gentili, sottosegretario al ministero della Giustizia e con altri esponenti del movimento cattolico filofascista Centro Nazionale Italiano” (F. Sani, cit., p. 273). Certamente non può essere definito un intransigente.

Il cardinal Pietro Maffi morì a Pisa il 17 marzo 1931.

Cardinale Pietro La Fontaine (1860–1935)

Pietro La Fontaine nacque a Viterbo il 29 novembre 1860, suo padre era di origine ginevrina ed era un ex soldato dello Stato pontificio. Ben presto entrò nel seminario di Viterbo. Fu ordinato sacerdote il 22 dicembre 1883. Poi fu nominato professore nel seminario viterbese. Il 6 dicembre 1906 Pio X lo nominò vescovo di Cassano Jonio in Calabria.

“Tra il 1907 e il 1909, negli anni resi particolarmente difficili dalla crisi modernistica, compì numerose visite apostoliche [come inviato del Papa, ndr] nei seminari del Beneventano, della Liguria e nella diocesi di Massa Marittima, Pisa, Volterra, Malta e Gozo, mettendo in luce, nella lotta contro i novatori, un atteggiamento misurato” (G. Vian, “La Fontaine, Pietro”, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2004, vol. 63, p. 58).

Nel 1910 fu nominato vicario del cardinale arciprete della basilica lateranense e segretario della S. Congregazione dei Riti, di modo che “prese parte alle riforme liturgiche volute da San Pio X in ambito liturgico, in particolare alla riforma del breviario” (G. Vian, cit., p. 58).

Benedetto XV nel 1915 lo nominò Patriarca di Venezia e nel 1916 lo creò cardinale.

“Al conclave del 1922 ottenne numerosi voti come candidato di compromesso, forse inizialmente proposto dai cardinali che si richiamavano a Pio X, ma certamente sostenuto anche da alcuni fautori della continuità con il governo di Benedetto XV. Il governo del suo patriarcato fu caratterizzato dall’osservanza puntuale della normativa canonica vigente e insieme da un peculiare tratto di paternità che rese singolarmente mite la gestione della disciplina ecclesiastica. Dopo l’avvento al potere del fascismo, nei cui confronti non nascose alcune simpatie, convinto che il regime mussoliniano potesse favorire un’adesione piena al cattolicesimo, il La Fontaine assunse una linea di collaborazione con le pubbliche autorità. Tuttavia non rinunciò a denunciare, in via riservata, ma con forza, i maggiori episodi di violenza fascista contro esponenti e sedi dell’associazionismo cattolico veneziano negli anni Venti. […]. Negli ultimi anni di vita il La Fontaine mostrò un graduale affiorare di crescenti perplessità nei confronti del fascismo, specie per l’indisponibilità da questo manifestata a sostenere quella evoluzione in chiave cattolica della società italiana per la quale, in sintonia con Pio XI e l’episcopato italiano, egli aveva operato costantemente” (G. Vian, cit., p. 59). La sua figura non sembra essere quella del prelato appartenente alla corrente del cattolicesimo integrale, ma piuttosto vicino a una concezione di mediazione tra le due anime (quella più integralista e quella più moderata) che allora componevano il collegio cardinalizio.

La Fontaine morì a Fietta di Paderno del Grappa, il 9 luglio 1935. Il 22 febbraio del 1960 il patriarca di Venezia G. Urbani ne ha aperto la causa di beatificazione.

Conclusione

Con questo 15° articolo chiudo la serie con cui ho affrontato il problema dei rapporti tra cattolicesimo e modernismo sotto il pontificato di Benedetto XV.

Prossimamente affronterò, in una nuova serie di articoli, la questione dei rapporti tra integrismo, modernismo e giudaismo, che iniziarono già nei primi anni del Novecento e sfociarono nella dottrina giudaizzante del Vaticano II (1965), la quale continua a essere propagata ancora sino a oggi con Benedetto XVI e Francesco (2020).

Fine Della Quindicesima E Ultima Parte

d. Curzio Nitoglia



[1] II rilancio del Tomismo contro l’Immanentismo integrale con l’Enciclica Studiorum Ducem del 1923; l’attacco frontale al Laicismo con l’Enciclica Quas primas del 1925 sul Regno sociale di Cristo; la condanna del pan/ecumenismo mondialista con la Mortalium Animos del 1928; la sfida rilanciata all’ambiente massonico/risorgimentale italiano, sotto il regno massonico dei Savoia, nel 1929 con il Concordato con l’Italia; la polemica, sempre in Italia, con alcune deviazioni del regime fascista con l’Enciclica Divini illius Magistri del 1929 e nel 1931 con Enciclica Non abbiamo bisogno; la condanna degli opposti errori economico/politico del Liberismo e Socialismo, cui opponeva la concezione cattolica del sano corporativismo dei corpi intermedi e non dello Stato assoluto hegeliano, con l’Enciclica Quadragesimo Anno del 1931; l’appoggio dato alla reazione di Francisco Franco nella guerra civile di Spagna del 1936/1939, che gli inimicò i poteri e le nazioni forti di allora; la condanna del neopaganesimo nazionalsocialista con l’Enciclica Mit brennender Sorge del 1937 quando Hitler faceva paura a tutti non solo in Europa ma nel mondo intero; la condanna del Comunismo sovietico, con l’Enciclica Divini Redemptoris sempre nel 1937, col quale la Gran Bretagna, la Francia e l’America del nord non esitarono ad allearsi nel 1939/1940 ed infine il rilancio dell’insegnamento sulla liceità del Tirannicidio riguardo alla persecuzione del Messico contro i Cristiani con l’Enciclica Nos es muy conocida nel 1937. In pratica Pio XI ha combattuto in un certo senso “da solo contro tutti”; ora accusarlo di conciliazione con la modernità è oggettivamente uno sproposito che non può non essere calunnioso.

[2] Melloni è, oggettivamente, uno storico di spirito modernista, ma fornito di nuove conoscenze dei documenti di archivio che non possono essere ignorate, anche se il giudizio che se ne può dare differisce radicalmente da quello suo.

[3] G. Cavagnini, “Per una più grande Italia”. Il cardinale Pietro Maffi e la Prima Guerra mondiale, Pisa, 2015.

[4] A. Zambarbieri, Merry del Val, Rafael, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2009, vol. 73, pp. 740–744.

[5] G. Vian, La Fontaine, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2004, vol. 63, pp. 58–60.

[6] G. Zizola, Il conclave. Storia e segreti. L’elezione papale da San Pietro a Giovanni Paolo II, Roma, 1993, p. 201.

[7] M. Liebmann, Le conclaves de Benoit XV et de Pie XI. Note du cardinal Piffl, in “La Revue Nouvelle”, 38, 7–8, 1963, p. 50.

[8] Cfr. G. Spadolini, Il cardinale Gasparri e la questione romana, Firenze, Le Monnier, 1973, p. 259.

[9] P. Palazzini, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. V, col. 1955, voce “Gasparri, Pietro”.

[10] P. Palazzini, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. V, col. 1955, voce “Gasparri, Pietro”.

[11] P. Palazzini, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. V, col. 1955, voce “Gasparri, Pietro”.


 
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George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
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