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"Un dovere riconoscere la Palestina"
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Erdogan scarica Assad: ha ucciso troppa gente, non possiamo più fidarci di lui

IL CAIRO - «Lo Stato palestinese deve essere riconosciuto. Non ci sono altre scelte. È un dovere». Così si è espresso il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, davanti ai ministri degli Esteri della Lega Araba riuniti al Cairo senza indietreggiare di un millimetro dalla linea dura anti-israeliana ampiamente sfoderata alla vigilia del suo viaggio in Egitto, Tunisia, Libia.

«Dobbiamo lavorare insieme con i nostri fratelli palestinesi. La loro causa è una questione di dignità umana», ha esordito Erdogan aggiungendo: «È tempo che la bandiera palestinese sventoli alle Nazioni Unite. Uniamo gli sforzi e facciamo che questa bandiera diventi un simbolo di pace e di giustizia in Medio Oriente». Durissimo l’affondo contro Israele, definito «un bambino viziato» che usa il terrorismo di Stato e sta determinando la rovina del suo popolo attraverso le sue politiche. L’unica via per lo Stato ebraico per uscire dalla solitudine, secondo Erdogan, «è agire in modo responsabile come uno Stato responsabile e serio». E fino a quando questo non avverrà, è l’Erdogan-pensiero, non ci sarà nessuna normalizzazione tra Turchia e Israele. Quest’ultimo deve scusarsi ufficialmente per il blitz contro la Mavi Marmara, risarcire le vittime (nel blitz del maggio 2010 morirono 7 turchi), e porre fine all’assedio della Striscia di Gaza. Condizioni che Israele rifiuta. A evidenziare ulteriormente la rottura fra Tel Aviv e Ankara, il quotidiano turco «al-Zaman» ieri rivelava che la Turchia ha cambiato un vecchio software militare destinato ai suoi caccia, navi da guerra e sottomarini. Quello nuovo non riconosce più come «amici» aerei e imbarcazioni israeliane impedendo in questo modo di colpirli.

Di fronte alla platea dei responsabili della diplomazia araba, Erdogan ha indicato la ricetta per dare il via alle riforme e al riscatto verso la modernità e lo sviluppo, quella peraltro adottata a suo tempo da Ankara: «Rispetto della libertà, della democrazia e dei diritti umani. Valori che devono costituire uno slogan unico per i nostri popoli, le cui richieste non devono essere represse con la forza e nel sangue». Un riferimento alla Siria di Assad dove da mesi è in atto una rivolta repressa nel sangue. Crisi che Erdogan non ha escluso possa sfociare in una guerra civile fra sunniti e alawiti. Ma l’intervento del leader turco è soprattutto un richiamo, se non una sonora bocciatura, ad Assad. «Vediamo - ha detto - che mentre il numero delle vittime civili aumenta, le riforme non sono state fatte e quindi non possiamo più credere in lui».

Presentandosi come leader paladino di una nuova versione moderna dell’Islam, al Cairo il premier turco ha voluto costruire un fronte contro lo Stato ebraico. Egitto e Turchia mai come ora sono stati legati da una forte tensione con il potente vicino. Non a caso ieri nei suoi colloqui con i dirigenti egiziani si è parlato della costruzione di un’alleanza strategica, politica e economica. I due Paesi si apprestano a siglare 11 accordi bilaterali. Oggi Erdogan volerà in Tunisia accompagnato dai 170 imprenditori e sei ministri e domani sarà a Tripoli, primo leader a entrate nella Libia dalla caduta di Gheddafi.

IBRAHIM REFAT

Fonte > 
Stampa.it



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