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Fanta-archeologia per Sion
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Gerusalemme ospita il luoghi santi per eccellenza, da venti secoli visitati da pellegrini cristiani; è densa di chiese armene e bizantine; vi si elevano le più antiche moschee musulmane, e le più venerate; è letteralmente racchiusa e affollata da monumenti ellenistici, romani, crociati, ottomani. Uno straordinario libro aperto della continuità storica, di segni di archeologia e mete di fedi viventi, dove si nota una vistosa mancanza: quella dell’ebraismo biblico.

Pochissimi e dubbi i reperti archeologici anteriori all’ellenismo, qualche casa, qualche resto di bagno rituale. Assolutamente, disperatamente nulla che confermi che Gerusalemme sia stata un tempo capitale del regno di David (la cui data viene fissata fin troppo precisamente fra il 1000 e il 961 avanti Cristo) come unificatore della tribù di Giuda e delle tribù d’Israele del Nord, e che giustifichi in modo visibile la pretesa dello Stato ebraico alla sua «capitale storica», che vuole per di più «indivisa», ossia tutta per sè.

Dopotutto, la cosa non è strana, dato che la presenza ebraica è stata scarsissima da duemila anni, a cominciare dalla distruzione di Tito nel 70 dopo Cristo. Ma il fatto imbarazzante è che quasi quarant’anni di frenetici e ben finanziati scavi, se hanno documentato la storia del territorio fin dal Neolitico, e scoperto significative tracce degli insediamenti cananei precedenti agli israeliti, non hanno portato alla luce nemmeno un rilievo di quel che la Bibbia descrive come il maestoso tempio di Salomone (961-922 avanti Cristo, secondo i precisi datatori) nè del suo ricchissimo regno a cui affluivano immensi tributi di oro e preziosi dei popoli conquistati e dei commerci che, a quanto racconta il sacro testo, attraeva. Non una pietra del primo Tempio, e nemmeno un muretto del secondo. E nulla nemmeno dei segni del rimpicciolito regno di Giuda che, pur privato delle tribù del Nord dalla conquista assira, avrebbe dovuto mantenersi per 400 anni (dal 922 al 587) sotto ben venti re, tutti della stirpe di Davide.

Di tracce che confermino l’esodo dall’Egitto (situato da alcuni studiosi ai tempi del Faraone Meneptah verso il 1230 avanti Cristo, da altri sotto Ramsete II nel 1250 avanti Cristo, da altri ancora nel quindicesimo secolo prima di Cristo) non è nemmeno il caso di parlare.



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«Dal decimo secolo prima dell’era volgare non c’è evidenza archeologica che a Gerusalemme abbia vissuto realmente molta gente, solo che doveva essere un qualche tipo di centro amministrativo», ha scritto la studiosa Margaret Steiner sulla Biblical Archaeological Review (luglio-agosto 1998): «Non ci resta nulla che segnali la presenza di una città durante i presunti regni (di David e Salomone)... Sembra comunque improbabile che Israele fosse la capitale di un grande Stato, di una monarchia unita come è descritta nei testi biblici». Significativo il titolo dello studio della Steiner: «It’s not there: Archaeology proves a negative».

Gandhi, nel 1917, aveva avvertito i capi sionisti che «la Palestina della concezione biblica non è un luogo geografico, è un luogo del cuore». Ma non è certo un’idea di cui si possa contentare l’Israele d’oggi, che vede nella «integralirtà del possesso della terra» la «integralità dell’ebraismo». Da qui la instancabile biblizzazione mitica dei luoghi santi.

Il più celebre e creduto «retaggio storico» dell’ebraismo, il Muro del Pianto, è in realtà il contrafforte di sostegno della spianata del tempio ampliato da Erode il Grande, nominato dai romani re di Giudea nel 37 avanti Cristo, detestato dagli ebrei del suo tempo come usurpatore e straniero (era idumeo). E’ interessante sapere che gli ebrei non sono andati a pregare e a piangere davanti a questo Muro se non nel 15mo secolo, quando i dominatori mammelucchi consentirono alla piccola comunità ebraica di allora di eseguire lì le sue cerimonie quotidiane: prima, gli ebrei pregavano sul monte degli Olivi. Nel sedicesimo secolo l’imperatore ottomano succeduto ai mammelucchi - Solimano il Magnifico - confermò con un formale editto il muro del pianto come luogo di preghiera per gli ebrei. Le formidabili mura di Gerusalemme, che la cingono come una città da Mille e una Notte, sono del resto di Solimano.

Nella città santa o città antica, il maggior simbolo della presenza giudaica è il quartiere ebraico: che gli israeliani ripulirono di palestinesi nel 1967 per ricostruirlo in stile pseudo-antico,
approfittandone per cacciare quasi 200 famiglie arabe, distruggere l’antico quartiere dei maghrebini e la moschea di al-Burak e la tomba dello sceicco al-Afdhalyyah, forse per ripagare l’antica generosità di Solimano. Ancora oggi, la popolazione ebraica in questo supposto quartiere ebraico non supera le 3 mila persone, il 9% della popolazione della Città Vecchia, meno della metà degli ebrei che vivevano dentro le mura nel diciannovesimo secolo. Gli ebrei «tornati» dal lungo esilio preferiscono andare ad abitare nei quartieri nuovi fuori le mura, verso Gerusalemme Ovest.

Naturalmente, le guide vi diranno che gli archeologi hanno appurato che il quartiere era abitato da ebrei dal tempo di Ezechiele (700 avanti Cristo) fino alla distruzione del 586 avanti Cristo, ma i reperti sono nel sottosuolo.

I sionisti hanno sopperito con la nota fantasia alla mancanza di «supporti sufficienti e verificabili alla narrativa storica» loro, applicando etichette «bibliche» a diversi noti monumenti dell’area santa.

Così i turisti più sprovveduti (la maggioranza) e i cristiani rinati USA possono gironzolare per «la cittadella di re David», i cui resti più antichi risalgono al periodo asmoneo (200 avanti Cristo) e che in ogni caso è stata completamente ricostruita dagli ottomani tra il 1537 e il 1541. Possono ammirare una «torre di re David» senza sapere che si tratta quasi certamente di una torre fatta elevare da Erode il Grande per controllare il tempio (anno 37 avanti Cristo) e che deve il suo nome attuale agli eremiti cristiani che l’abitarono nei primi secoli. C’è la «tomba di re  Davide», stranamente situata all’interno della chiesa della Dormizione (di Maria Vergine), perchè in realtà è un cenotafio crociato. Così le «stalle di Salomone» sono le potenti volte fatte costruire da Erode per estendere la spianata del Tempio. Così la Tomba di Assalonne (il figlio di re David), è un monumento greco-ellenistico del primo secolo avanti Cristo, costruito quando Assalonne era morto da otto.



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Interessante in questo senso è il «Jerusalem Archaeological Park» nella città vecchia, dove vi mostreranno ben 25 strati di scavi archeologici. E fra strutture erodiane, un pavimento ummiade, una strada romana, portali ottomani, vi additeranno i resti di una scalinata che potrebbe aver portato al tempio: quello di Erode del 37 avanti Cristo, in ogni caso. I veri e autentici retaggi della presenza ebraica è meglio vederli nel Davidson Exhibition and Virtual Recostruction Center, che - come dice il nome - offre ricostruzioni virtuali della civiltà ebraica in terra ebraica, a parte una raccolta di monete e suppellettili di pietra d’età cananea.

Una Disneyland religiosa che ha molto successo tra i visitatori americani della Congregazione Battista del Sud. Come la mostra dell’americano-ebraico «Temple Institute», che si propone di ricostruire il terzo Tempio. Questi fedeli hanno fabbricato gli abiti sacerdotali e il vasellame sacro che useranno quando sarà ricostruito il terzo Tempio. Anzi, a Midbar Sinai Street vi mostreranno tre grandi massi di granito modernissimi ma squadrati secondo le indicazioni bibliche, e già pronti per ricostruire il Terzo Tempio quando una scusa qualunque consentirà ad Israele di incorporare per sempre l’attuale «spianata delle Moschee», il luogo santo musulmano, e rimpiazzare l’attuale  moschea d’oro con il Tempio della capitale eterna e indivisa.

Sono proprio organizzazioni come il Temple Institute, riccamente dotate da millenaristi USA, che finanziano gli scavi cosiddetti archeologici per trovare antichità ebraiche. Ed ovviamente, gli archeologi finanziati riescono a trovarle. Per esempio, l’organizzazione chiamata El-Ad (sigla ebraica che sta per «città di Davide» ha trovato  la vera e autentica città di Davide a Silwan, sobborgo arabo fuori le mura dove abitano 40 mila palestinesi, almeno fino a quando i coloni giudaici, accorsi in massa a stabilirsi là «dove David ha camminato», non li cacceranno con l’aiuto del regime israeliano (1).



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Perchè la società archeologica El-Ad è anche la società dei coloni El-Ad, di cui finanzia gli insediamenti illegali. Perchè, dichiara pubblicamente nel suo sito, «intende creare una situazione irreveribile nel ‘bacino sacro’ attorno alla Città Vecchia», ossia popolarlo di giudei perchè non diventi parte di un eventuale Stato palestinese.

Ed è stato un archeologo volontario 15enne, americano, a trovare la sospirata «prova»: un coccio di vasellame su cui («in seguito», dicono le cronache archeologiche veridiche), l’archeologo Yossi Garfinkel della Hebrew Jerusalem ha scoperto cinque linee di caratteri apparentemente proto-cananei, supposti precursori dell’ebraico. Un’analisi al carbonio 14 di «resti d’ulivo bruciato nello stesso strato» hanno datato il pezzo tra il 1000 e il 975 avanti Cristo, giustappunto l’età d’oro del re biblico-fondatore (2).

Garfinkel lavora anche coi soldi di un’altra organizzazione, chiamata Foundation Stones (con ovvia allusione alla roccia del Tempio scomparso), e da allora non fa che trovare reperti «dell’epoca di re Davide». L’archeologa Rachel Hallote si stupisce della «scelta di una terminologia così poco scientifica, dato che gli archeologi per lo più non concordano nemmeno che David sia esistito».

Però, aggiunge, è ovvio che certe scoperte vengano fatte quando gli scavi sono finanziati da entità come ElAd e Foundation Stone, «che contano di rafforzare i  legami tra i popolo ebraico e la terra d’Israele»,  fra l’altro «educando all’ebraismo e presentando mappe, artefatti e luoghi in termini di identità ebraica».

«Non ci piace dirlo come archeologi, ma tutte fonti private di finanziamento hanno un’agenda politica. Anche al livello più basso, i volontari che ci aiutano negli scavi vengono da scuole e collegi religiosi (yeshivot). Quando si accetta la filantropia, come dice (l’arheologo David) Ilan, c’è un prezzo morale connesso. Alcune fondazionui sono più apertamente politiche, altre più sottili nell’imporre i loro interessi costituiti...» (3).

David Ilan è noto per aver contestato le «scoperte» della El-Ad, ed è uno dei tanti archeologi disperati perchè loro non trovano finanziatori, mentre le ricerche «archeologiche» della El-Ad possono contare su ricchissime e costanti contribuzioni di «filantropi russi e americani». Resta il fatto che la vera archeologia biblica, sotto questo impulso, fa ogni giorno passi da gigante; sempre nuove scoperte, e sempri nuovi insediamenti.

Perchè questa fanta o neo-archeologia ha uno scopo politico ben preciso, che va di pari passo con le confische e le pulizie etniche (a Deir Yasin, nel 1948, furono massacrati oltre 400 arabi, cristiani) perseguite con costanza per cancellare la presenza araba e i suoi segni storici. Sul monte degli Olivi viene restaurato con cura il cimitero ebraico, mentre il cimitero di Mamilla (islamico) è stato confiscato come proprietà abbandonata, e si conta di demolirlo per costruirci sopra un (eh sì) Museo della Tolleranza. Su una ventina di ettari arraffati a famiglie palestinesi nell’area della Gerusalemme Est araba, una ditta privata ha creato il quartiere di lusso Nof Zion, murato e sorvegliato da guardie armate come certi sobborghi di lusso USA, condomini miliardari riservati a investitori americani.

«Israele sta distruggendo il retaggio storico di Gerusalemme e soggiogandone il significato spirituale», ha scritto lo studioso Daniel Lieberman (4) «perchè è un Ppaese nuovo e piccolo, con grandi ambizioni. Vuole essere riguardato come una potenza sul piano mondiale. Per questo Israele deve avere una capitale che imponga rispetto, che contenga antiche tradizioni e sia riconosciuta come una delle più importanti del mondo. Israele compete con gli USA come centro del popolo ebraico: Gerusalemme le è necessaria per essere riconosciuta patria dell’ebraismo.

Col controllo dei luoghi santi musulmani e cristiani, costringe i capi di queste religioni a trattare, e tratta da una posizione di vantaggio». Come prova di queste ambizioni, Lieberman cita l’iscrizione che si legge (in ebraico) sul frontespizio del nuovo museo della cosiddetta «cittadella di David»:

«La terra d’Israele è il centro del mondo e Gerusalemme è il centro della terra di Israele».




1) ... Jonathan Coock, «Archeologia: Una maledizione per i palestinesi di Gerusalemme», 28 settembre 2008. «Appena fuori le mura della Città Vecchia di Gerusalemme, le semplici case in pietra e mattoni di ceneri di carbone di Silwan digradano verso sud in una valle conosciuta come il ‘Bacino Sacro’. Gli abitanti palestinesi sono abituati a vivere all’ombra della storia e della religione, data la straordinaria materialità di forme come la splendida cupola argentea della moschea di al Aqsa e la presenza incombente del Monte degli Ulivi. Eppure, di recente, la storia è diventata una maledizione per la maggioranza dei residenti di Silwan. ‘Le telecamere sono ovunque e ci osservano giorno e notte’, dice Jawad Siyam, 39 anni. ‘Le guardie armate israeliane passeggiano nei vicoli. Le aree pubbliche, i luoghi dove giocavo da bambino, sono diventate zone proibite’. La ragione è il crescente numero di coloni che si sono trasferiti a Silwan dall’inizio degli anni novanta rivendicando un diritto biblico sul territorio. Almeno cinquanta famiglie ebree, per un totale di 250 persone, hanno occupato le case palestinesi che punteggiano questa terra e le hanno trasformate in aree recintate sicure su cui sventolano le bandiere israeliane (...). L’assunzione di potere nell’area urbana è concertata e diretta da un’organizzazione oscura nota come Elad, che stranamente è stata preferita all’Autorità per i parchi e per la natura d’Israele per gestire un importante sito archeologico nel centro della cittadina. Grazie ai fondi erogati da riservati finanziatori residenti in Russia e negli Stati Uniti, Elad ha trasformato Silwan nella ‘Città di David’. Anche i segnali stradali sono ormai immemori dell’esistenza della cittadina palestinese e dei suoi diecimila abitanti. Il cuore della Città di David è un parco archeologico, che viene inesorabilmente ampliato divorando angoli urbani sempre nuovi».
2) S’intende, i Garfinkel non trovano mai nulla di imponente del favoloso regno di Davis nè del fastoso regno di Salomone. Mai fortezze, regge, capitelli o mura. Sempre solo cocci su cui, in laboratorio e «in seguito», sofisticatissime apperecchiature fanno apparire magari delle scritte,  anche in (antichissimo) inchiostro.
3) Rachel Hallote, «Arcaheology: Who pays for Excavations?», Biblical Archaeological Review, marzo-aprile 2009.
4) Daniel Lieberman, «Why Jerusalem? Israel’s hidden agenda». Online Journal, 6 luglio 2009.



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