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Renzi sotto minaccia. Per Putin
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«Renzi va da Putin: stia attento a non fare il patto col diavolo». Così il network televisivo americano CNBC. «Renzi è il primo leader europeo importante a visitare Mosca dopo l’azione russa in Crimea... farà inarcare molte sopracciglia in Europa, che ha isolato Putin». E cita «un analista» il quale dice: «Sembra che Renzi cerchi l’aiuto di Putin per tornare sulla scena nei colloqui sulla Libia. Ma se avrà successo, è da vedere... Se vuoi fare un patto col diavolo e andare contro corrente devi sapere quello che stai facendo». L’analista in questione risponde al nome di Francesco Galietti, chief executive and founder di una cosa chiamata Policy Sonar. Dalle foto, pare un ragazzotto che vanta di essere stato consulente di Giulio Tremonti, e si dichiara «Analista indipendente di rischio politico-regolatorio». CNCB non ha trovato uno di maggior peso per mandare «avvertimenti». Forse al giornalista americano è sfuggito che «avvertimenti» più minacciosi erano già arrivati da Angelo Panebianco, in una colonna del Corriere. Espressioni che si son potute leggere come una minaccia preventiva a non fare patti col diavolo.

«I simpatizzanti che Putin può annoverare in Italia – intimava Panebianco – dovrebbero porsi qualche domanda... a cominciare dalla Mogherini e dallo stesso Renzi, sempre molto comprensivi per le ‘esigenze’ russe nella crisi ucraina». I «fiancheggiatori» di Putin devono sapere che egli «ha alterato irreversibilmente i suoi rapporti con Europa ed USA». Che la rottura ha da essere «irrimediabile», sottinteso: guai a chi cerca di rimediarvi.

Fatto sta che quando i media hanno raccontato qualche giorno fa che l’elicottero di Renzi è stato costretto ad un atterraggio d’emergenza in un campo sportivo di Badia al Pino, qualche pensiero brutto c’è venuto. Rafforzato dalla coincidenza tragica del suicidio di uno dei maggiori finanziatori delle campagne renziane, Guido Ghisolfi, industriale chimico geniale, fondatore di un’impresa con oltre 2 mila dipendenti. Ma è stata la depressione, ha assicurato la famiglia. E l’elicottero, è atterrato per meteo avverso. Meglio così. Ma Renzi e la Mogherini sono stati «avvertiti», e il mandante degli avvertimenti è, come sappiamo, pericoloso.

«Dobbiamo fornire a Kiev aiuti letali. Absolutely», ha detto il Generale Martin Dempsey, il capo di Stato Maggiore USA, davanti alla Commissione Forze Armate, presieduta da John McCain. «Absolutely», ha confermato da Berlino il Generale Ben Hodges, capo delle forze armate USA in Europa, ed ha aggiunto: «Quando le madri russe cominceranno a vedere i loro figli tornare cadaveri, allora il sostegno che quello gode nei sondaggi in patria comincerà a restringersi». Quanto ad Ashton Carter, il nuovo ministro della difesa dal dal Pentagono : «io sono molto incline a dare assistenza letale».

Insomma la tregua organizzata da Merkel e Hollande ha messo gli ambienti di Washington in uno stato vicino all’idrofobia. Non fanno altro che pensare a come continuare la guerra, non riescono a pensare se non in termini letali, come essere letali. Fino a perdere l’uso della ragione.

Il Generale Dempsey, ad esempio, ha detto al Senato che il riarmo di Kiev è meglio avvenga «nel contesto NATO, perché l’obiettivo di Putin è fratturare la NATO»: in pratica, gli sembra una bella idea forzare la mano a Berlino e Parigi, e a tutti gli altri europei, a partecipare alla loro follia bellica, consegnando tutte le possibili armi letali a Kiev, con ciò accelerando precisamente la crisi del blocco occidentale che vorrebbe sventare. Il Generale Breedlove, di solito una persona prudente, Supreme Allied Commander Europe della NATO, ha raccontato ai giornalisti americani che Putin ha inviato in Ucraina «più di mille automezzi da combattimento, forze armate russe, la più sofisticata difesa aerea, battaglioni di artiglieria». Ciò ha suscitato la stupefazione della Cancelleria di Berlino, la quale, sulla base dei rapporti dell’intelligence tedesco Bundesnachrichtendienst (BND), sa per certo che Breedlove sta mentendo: non esistono migliaia di cari armati russi nel Donbass, né battaglioni di artiglieria, né tutto il resto.

I capi a Berlino sono «stupefatti, non essendo la prima volta» che Breedlove dava i numeri, ha scritto Spiegel, certo con l’autorizzazione della Cancelleria: qualche settimana fa Breedlove aveva giurato che nel Donbass sferragliavano «tra 200 e 300 carri armati» di Putin, poi ha aumentato il numero a «500», e adesso dice che sono «più di mille». Frank-Walter Steinmeier il Ministro degli Esteri, ha protestato presso il capo civile della NATO, Jens Stoltenberg, per quelle cifre in libertà di Breedlove, definite «pericolosa propaganda». Mirante solo a silurare l’approccio di Berlino nel maneggiare la crisi ucraina con la diplomazia. La NATO non ha fatto che annunciare una sempre nuova offensiva russa, proprio nei momenti in cui noi avevamo motivo per un cauto ottimismo», ha detto Niels Annen, SPD.

«Falsificazioni ed esagerazioni pongono la NATO, e per estensione l’Occidente, a rischio di perdere la sua credibilità», ha fatto sapere «un esponente tedesco al massimo livello», così allo Spiegel.

L’accusa non può essere più chiara. Anche il fatto di dirsi «stunned», ossia «stupefatti», dall’atteggiamento americano, è una espressione molto forte sul piano diplomatico. Spiegel – ed è la prima volta per questo media ufficioso – si spinge anche a raccontare che Victoria Nuland, la creatrice della crisi, «non nasconde il suo legame emozionale con la Russia, dato che i suoi nonni sono immigrati in Usa dalla Bessarabia, che allora apparteneva all’impero russo»; ed è per giunta moglie del neocon Robert Kagan, «colui che ha elaborato la teoria che gli americani nascono da Marte, gli europei da Venere». Il giornale tedesco conclude che la Nuland ha tutte le probabilità di diventare il nuovo Segretario di Stato se i repubblicani rivincono la Casa Bianca alle prossime elezioni, e «ciò allarma Berlino». Si aggiunga che la piccola ma animosa Repubblica Ceca ha rifiutato la gentile offerta americana di stazionare in permanenza truppe USA sul suo territorio.

In questo frangente, il capo della Commissione UE, il ben noto Junker, è intervenuto a dichiarare che ormai «bisogna creare una armata europea congiunta» che «reagirà in modo credibile alle minacce esterne, per proteggere i nostri valori». Dove è incerto se i valori europei da difendere fino alla morte siano le bestemmie disegnate di Charlie, le nozze fra omosessuali o i valori finanziari che il Lussemburgo sa rafforzare fin troppo bene. Fa parte di questa incertezza anche il senso della proposta del vecchio furbone: il fantastico esercito europeo è una velleità d’indipendenza, un siluro alla NATO egemonizzata dagli USA, o un ausilio?

Certamente Juncker non dice parola se non con l’imbeccata della Merkel. Il dubbio è se Renzi s’è consultato con la Merkel prima di andare da Putin, se la sua sia insomma parte di una strategia concertata oppure una improvvisazione personale.

Si dovrebbe sapere di più sul lancio di un Comitato per l’accordo Est Ovest a Bruxelles, che si propone la «comprensione reciproca, senza puntare su torti e ragioni, tra i Paesi della Unione Europea, la Russia e l’Ucraina». Il lanciatore è un non meglio identificato Gilbert Doctorow PhD, che ha raccolto attorno a sé alcuni europarlamentari, dal ceco Miroslav Ramsdorf alla tedesca Gabriela Zimmer al francese Aymeric Chauprade, vicino al Front National, fino all’americano Jack Madlock, ex ambasciatore a Mosca ai tempi di Gorbaciov. Il peso di questa iniziativa è ancora da valutare.

In compenso, Bernard-Henri Lévy, il nouveau philosophe e superfalco ebreo, ha riunito in Austria un comitato con un compito ambizioso: fare dell’Ucraina un Paese moderno, evoluto a tappe forzate, in grado di entrare presto nella UE e nella NATO. Hanno aderito al Piano Marshall per Kiev escogitato da Lévy, un ex ministro tedesco (Peer Steinbrück), l’imprenditrice francese Laurence Parisot), Bernard Kouchner, l’ex premier polacco Wlodzimierz Cimoszewicz, quello giudeo-britannico Peter Mandelson, ed alcuni oligarchi ucraini. Fra cui Dimitri Firtash, capo d un kombinat con 130 mila dipendenti. Secondo costui, basterà la modesta cifra di 300 miliardi di euro.

«Soldi che potranno arrivare dall’Unione Europea, dal Fondo Monetario, e perché no?, da fondi sovrani come quello della Norvegia», ha spiegato – o ordinato – B.H.L. Il che consentirebbe di inserire il nouveau philosophe fra gli americani alla Nuland che hanno perso il lume della ragione.




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