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Cartoni animati troppo veloci? L’intelligenza dei piccoli ci perde
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SpongeBob, un cartone animato molto diffuso negli Usa (e apprezzato anche in Italia) che ha per protagonista una sorta di spugna, è sotto accusa. Alcuni psicologi dell’Università della Virginia, coordinati da Angeline Lillard, hanno condotto un esperimento su 60 bambini di 4 anni, dividendoli a sorte in tre gruppi: il primo ha guardato SpongeBob per 9 minuti, il secondo ha guardato un altro cartone animato per lo stesso tempo e il terzo, sempre per 9 minuti, ha disegnato. Subito dopo ai bambini sono stati assegnati alcuni compiti, come contare all’indietro, eseguire giochi di abilità, toccare certe parti del proprio corpo. Il punteggio dei bambini che avevano guardato SpongeBob è stato alquanto più basso degli altri.

Secondo i ricercatori, ciò dipende dalla velocità con cui nel cartone animato si svolgono le azioni e si alternano le scene. Questa velocità è molto più elevata rispetto all’altro cartone, dove il cambio di scena avviene in media ogni 34 secondi rispetto agli 11 di SpongeBob. Il gruppo che disegnava, poi, sceglieva il proprio ritmo in piena autonomia. Insomma, pochi minuti di un cartone animato "ad alta frequenza" (e sono moltissimi i cartoni veloci come SpongeBob) fanno peggiorare, almeno nell’immediato, le capacità cognitive ed esecutive dei bambini di 4 anni, che subiscono un rallentamento non solo nell’eseguire i compiti, ma anche nell’adottare le decisioni, e hanno difficoltà nel mantenere concentrata l’attenzione. Nell’annoso dibattito sul rapporto tra bambini e televisione si è sempre messo l’accento sul tempo passato davanti al piccolo schermo. L’esperimento sembra confermare che sia importante anche la struttura dei programmi.

Dice la Lillard: «Non consiglierei ai genitori di fare guardare programmi a dinamica molto rapida ai bambini in procinto di andare a scuola o comunque quando debbono apprendere ed esercitare l’attenzione». Erano già noti gli effetti negativi a lungo termine di una dieta troppo ricca di tv, ma non si sapeva niente degli effetti a breve termine. Oltre l’alternanza molto rapida delle scene, pare che pure l’assurdità delle situazioni presentate abbia effetti negativi, perché i bambini debbono fare uno sforzo notevole e ripetuto per dare un senso a ciò che vedono, rimanendo disorientati.

Questo impegno cognitivo porterebbe a una sorta di passività, di inerzia mentale, che permane anche dopo aver spento il televisore. Un portavoce dell’azienda che ha lanciato SpongeBob ha contestato i risultati, affermando che quel cartone è destinato a bambini di 6-11 anni e non di 4, e criticando la metodologia dell’esperimento. Ma la Lillard ha ribattuto che sono stati scelti bambini di 4 anni perché questa è l’età in cui avvengono gli sviluppi più importanti di certe funzioni di autocontrollo. A questo proposito è stato condotto un altro test per misurare appunto l’autocontrollo e l’impulsività, ripetendo un test psicologico divenuto celebre in passato: lasciando la stanza, lo sperimentatore dava ai bambini dei dolcetti e diceva loro di aspettare quanto più potevano prima di mangiarli. Il gruppo SpongeBob resisteva circa due minuti, gli altri due gruppi circa quattro.

In definitiva, alcune capacità possono essere affievolite da cartoni assurdi e molto dinamici come SpongeBob. Ma chi dice che l’effetto a lungo termine non sia quello di rendere i bambini più creativi, più abili nell’affrontare e risolvere situazioni inedite e incoerenti? Il mondo è più complesso di un laboratorio. E, da ultimo, se i bambini andassero ogni tanto a giocare all’aria aperta invece che rincretinirsi davanti alla tv?

Giuseppe O. Longo

Fonte  >
  Avvenire.it



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