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Sulla nave dei folli
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Una sapienza cristiana ahimé obliterata insegnava a indovinare il ghigno di Satana nell’apparire del grottesco, affine all’innaturale, al deforme, al derisorio. Oggi, la scena pubblica ne è inondata, e sarebbe salutare riconoscere negli attori sulla scena degli assatanati, o almeno dei dementi, insensati.

Ci si vorrebbe occupare dei problemi epocali che incombono sull’Occidente intero allo stato terminale, e invece i media ci impongono: Niki Vendola «vuole un figlio col suo compagno»; le spese folli dei pidiellini nella Regione Lazio, festini, orge, vacanze e prostitute pagate coi soldi dei contribuenti; e infine delle vignette anti-islamiche di Charlie Hebdo, difese come «libertà di espressione» sacrosanta in Occidente, al contrario che nel mondo musulmano. Dove esiste, orribile a dirsi, la censura contro la bestemmia.

Il ministro degli interni francese, Manuel Valls, sulle vignette di Charlie Hebdo, ha ri-proclamato «un diritto fondamentale» da non mettere in discussione «il diritto di espressione, di informazione, di opinione, della caricatura». Asserzione bizzarramente tragicomica, quando in Francia vigente una legge Gayssot che vieta di esprimere, dare informazioni, avere opinioni difformi su quel che è accaduto tra i nazisti e gli ebrei.

Ma tant’è. Robert Fisk ha raccontato di come un direttore di giornale australiano si fosse vantato con lui: «Ho pubblicato anch’io la vignetta di Maometto con una bomba nel turbante», prendendosi come esempio di coraggiosa libertà d’espressione. Fisk gli ha chiesto se era pronto, alla prossima aggressione di Israele agli affamati di Gaza, a pubblicare la vignetta di un rabbino con una bomba al posto del cappello. «Ah, ma questo sarebbe antisemitismo», ha risposto l’australiano.

Purtroppo, si rischia di essere pedanti a ricordare il «perché» la libertà d’espressione è stata inserita (non facilmente: chiedete a Robespierre, se la permise) nei fondamenti delle libertà civili. È, o era, una libertà eminentemente politica: nel dibattito pubblico, non doveva essere esclusa di principio alcuna idea, parere, opinione. Ma l’insulto gratuito, l’insolenza, il ferire i sentimenti altrui non sono (non erano) elevati al rango di idee, opinioni meritevoli di tutela. E non è vero che la libertà d’espressione non incontri limiti anche nelle leggi vigenti: la diffamazione, la calunnia, sono reati, aggravati se a mezzo stampa. Un Mohammed in carne ed ossa potrebbe querelare per la lesione alla sua onorabilità, e vincere la causa; manifestazioni video e vignettistiche di disprezzo, odio e derisione per tutti i musulmani attraverso il vilipendio osceno di quel che hanno di sacro, sono invece una conquista. P.G. Battista, il vicedirettore del Corriere, s’immagina: «Riaffiora in Occidente la tentazione della censura... la ragione è una sola: la paura». Così il servo di tutti i poteri e poteruzzi, si erge che coraggio! a protezione della supposta «libertà» anche per il film proiettato al Festival di Venezia, «in cui una devota si abbandona a sfrenate fantasie sessuali con un crocifisso». Se l’Occidente è libero di far questo, deve essere libero anche di insultare Maometto, pare essere il sillogismo. Nobile competizione.

Mica che si interroghi, il PG, sul sintomo che rivela questa voglia irrefrenabile di sputare sul sentimento religioso, di coinvolgere nelle loro oscenità i segni della fede altrui, di provocare ciò che è santo, di irridere e sporcare le speranze celesti. La «libertà di critica» al governo Putin delle Pussy Riots ha dovuto per forza esprimersi sull’altare della cattedrale del Salvatore. Del film austriaco che mostra una credente che si masturba con un crocifisso, ha già detto il PG. Nei giorni scorsi, a Parigi, femministe sono sfilate a seno nudo su cui avevano scritte idiote tipo «our god is woman», sfilando apposta «in un quartiere musulmano», come esulta l’agenzia dei radicali. Charlie Hebdo va a ruba perché provoca e fa dello spirito di bassissima lega contro i musulmani.

È questa l’ultima deriva della laicità: dopo aver relegato la fede, ogni religione, ad espressione privata, da non far entrare nell’area pubblica, proprio per questo essa s’introduce adesso nell’intimità delle persone con le sue derisioni e i suoi sputacchi.

Il film austriaco della masturbatrice col crocefisso non passerà alla storia, artisticamente è un nulla impotente; ma ( proprio come fanno gli impotenti, che bruciano con le sigarette la donna che non riescono a possedere, «così si ricorderà di me» ) offende personalmente me, nella mia intimità, in casa mia, con l’uso osceno dell’oggetto davanti a cui prego. Non c’entra in alcun modo, qui, la «libertà d’espressione». È un atto di vandalismo contro la mia privatezza, paragonabile come minimo all’imbrattarmi le pareti con scritte oscene, o bussare alla mia porta e sputarmi in faccia appena apro, senza alcuna provocazione da parte mia. Per queste cose la legge mi difende e posso ottenere la punizione del colpevole; per quella, più grave, perché no? Ovviamente lo stesso vale per l’offesa a tutti i musulmani attraverso l’irrisione blasfema e stupida del loro Profeta. Nessuna «libertà» degna di tutela si estende alla villania, all’inciviltà: invocare la «libertà delle idee» in questo caso è un furbesco insulto alla stessa libertà, da parte di gentaglia. Ma e la volgarità è anti-religiosa, di colpo è lecita e va difesa.

La verità è che si sta sviluppando una nicchia di business sempre più frequentata per gente senza altre qualità: il porno-religioso. Salva ovviamente la Shoah-Shoah, intoccabile dogma dell’unica religione che è obbligatorio professare pubblicamente, si può mostrare anche Mosè che sodomizza un maiale per renderlo kosher? Il sito ebraico francese ci va vicino. A difesa della «libertà d’espressione» di Charlie Hebdo, tiene il punto con una vignetta che non ci sentiamo dei postare qui. Se volete, andatevela a vedere. (Attention: personne n’a été tué avec cette image!)

Avanti così, Occidente. Niki Vendola: «Voglio un figlio col mio compagno». La mamma di Fiorito, l’obeso ras della Regione Lazio: «Mio figlio è intelligente, a tre anni leggeva Topolino». Ostriche, champagne, conti all’estero, case, puttane, yacht: i famosi costi della politica. In una Regione che paga 3 milioni di euro al giorno per interessi sul debito alle banche, e non ha i soldi per pagare gli stipendi al personale del «Santa Lucia», centro d’eccellenza per la riabilitazione psico-motoria di pazienti gravissimi.

I parlamentari italiani, colgono questa occasione, per rifiutarsi di far certificare da contabili indipendenti come spendono e spandono i contributi che ricevono (soldi nostri) perché sono «sovrani». I loro conti sono segreti, non li vogliono far vedere. Scusate, ma deve essere proprio scritto per diventare legge il principio fondamentale seguente: chiunque riceva denaro dal pubblico, ha il dovere di render conto al pubblico di come li spende? No, una legge non c’è. Come non c’è una legge che escluda o espella questi mascalzoni per palese indegnità: ancorché essa sia giornalmente esibita e documentata da Dagospia, alla voce «Cafonal».

Qui non vale nemmeno più la metafora dell’orchestrina che suona sul ponte del Titanic, immagine di nobile stoicismo davanti al fato. Qui, sul ponte del Titanic, si fanno scherzi osceni, si caca fuori dei cessi, si bestemmia, si sbevazza e si berciano insulti alla terza classe. Che è già sott’acqua.



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