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L’incubo di Berlino: che Atene se ne vada davvero
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Chi se lo ricorda? Io sì. Quando ci imposero l’euro, la propaganda di lorsignori (Padoa Schioppa per primo) ci prometteva, in cambio, la prosperità. Abbiamo popolazioni intere che scendono i piazza, e sempre più violentemente, contro la regressione sociale indotta dall’euro. In Grecia, dimostranti tirano le molotov dopo che, passati sei anni in depressione abissale, il governo accetta dalla Troika un altro piano di tagli per 17,6 miliardi. In Spagna, le piazze avvampano, la Polizia pesta brutalmente, la disoccupazione è alle stelle, le banche subiscono la corsa gli sportelli, il governo deve tagliare e chiedere «aiuti» del fondo europeo, ossia indebitarsi ancor più. Il Portogallo è stato uno dei primi Paesi dell’euro-zona a passare sotto la tutela diretta della «Troika» (Commissione Europea + BCE + FMI), e da anni sopporta, obbediente e mite agnello, le più atroci sofferenze. Qualche giorno fa centomila portoghesi sono scesi in piazza per protestare contro le nuove misure d’austerità progettate per abbassare il deficit. La protesta è già riuscita a far cedere il governo su una «terapia» suggerita dalla Troika: trasferire i contributi sociali a carico dei datori di lavoro alle paghe a carico dei lavoratori, per «abbassare il costo del lavoro» – e con ciò, anche il potere d’acquisto dei salariati di un (altro) bel 7%.

A Parigi, sono scesi in piazza a migliaia contro Hollande, il traditore, che vuol far passare il Trattato per la Stabilità nella costituzione. Quel trattato, firmato da Sarkozy per compiacere la Merkel, vieta ai Paesi di intrattenere un deficit pubblico superiore al 3% del PIL, ossia li priva di un altro decisivo strumento di politica economica, e li assoggetta alla stretta di cinghia continua. Lo slogan: «Non à l’austerité perpetuelle en Europe!», non ha bisogno di traduzione. Sicuramente la Francia entrerà, a causa di questa misura, nel novero dei Paesi in recessione: benvenuta fra noi. Lo stesso trattato, da noi denominato Fiscal Compact, è stato votato senza fare una piega in Italia dai nostri politici, e Mario Monti che l’ha voluto (con Mario Draghi) è considerato un venerato maestro dall’opinione pubblica.

E adesso anche in Polonia – un modello di competitività e liberismo, di cui i media esaltavano la rapida salita al benessere – una immane manifestazione è avvenuta a Varsavia: contro il governo che vuole alzare l’età pensionabile a 67 anni, e contro le altre misure di austerità decise per ripagare il salvataggio delle banche: più precisamente, per far pagare alla gente il salvataggio europeo dei banchieri. Alla manifestazione ha partecipato il sindacato Solidarnosc.



È scesa in piazza anche la Chiesa, perché il governo ha chiuso d’autorità una TV cattolica, Tv Trwam. La celebrata libertà totale di espressione, che il liberismo globale difende nelle Pussy Riots e nelle vignette blasfeme e offensive per l’Islam di Charlie Hebdo, ha evidentemente dei limiti.



Il cartello recita: Liberi media libera Polonia. Del resto, l’aveva sancito Mario Draghi al Wall Street Journal qualche mese fa: «Il modello sociale europeo è morto».

I popoli soffrono sotto il tallone degli eurocrati. Ma forse va meglio nel libero mondo globalizzato? Ce l’avevano promesso: abbattete tutti gli ostacoli alla libera circolazione di merci-uomini-capitali, abbattete le sovranità nazionali, lasciate che la finanza impazzi, e la prosperità aumenterà per tutti voi, piccoli uomini increduli degli intenti benefici di Goldman Sachs. Ebbene, anche questa promessa non s’è realizzata. Gli Stati Uniti e l’Inghilterra hanno Banche Centrali che stampano moneta alla grande, svalutano e se ne infischiano del debito pubblico... eppure le loro economie stallano, la povertà non fa che crescere (insieme alle mega-ricchezze dei pochi), a Londra scendono i consumi e calano gli immobili. La Cina allora? La Cina dalla crescita a ritmi del 10% annui, la grande esportatrice di tutto, la più competitiva per manodopera sottopagata? Fino a ieri. Oggi, data la crisi di potere d’acquisto che colpisce il «primo mondo», la Cina non esporta come prima, e tutti gli squilibri e le tensioni, tutte le bolle, i sussidi indebiti, le iniquità e le corruzioni del sistema cinese vengono a galla. Persino la crescita del Brasile, da un giorno all’altro, è caduta brutalmente. I BRIC non vanno più tanto bene.

È la macchina della mondializzazione, impostaci a ritmi accelerati, ad incepparsi: e da entrambi i lati, degli «sviluppati» come degli «emergenti». La finanza selvaggia credeva di avervi trovato la macchina del moto perpetuo con la seguente divisione dei compiti: ai Paesi a basso livello salariale la produzione di beni e di servizi esportabili, agli «sviluppati» il consumo, prima grazie alle paghe alte, poi con l’espansione del credito. Oggi, la montagna dei debiti accumulati ha raggiunto tali vette himalayane, gli interessi da pagare alla finanza tali livelli stratosferici, che la finanza – terrorizzata – non presta più. Ed esige che, per far fronte agli effetti collaterali della mondializzazione, il costo del lavoro europeo sia abbassato, perché torniamo competitivi. Ancora una volta, danno la colpa alla gente, mentre a non funzionare è il sistema da loro voluto, concepito e realizzato. La mondializzazione a tappe forzate ci ha portato alla terzo-mondializzazione. La UE è ormai Terzo Mondo, con tassi di disoccupazione al 25% (uno su quattro) e permanenti.

Ora anche la Germania, il maestro che ci insegna le virtù col ditino alzato, che si pone a modello del benessere europeo con l’euro forte e inflessibile, e intanto ci ha portato via tutte le quote di mercato possibili e immaginabili, comincia ad aver paura. Vede che il costo per «salvare» l’euro (e inchiodare noi concorrenti) rischia di essere alto, quello di distruggerlo ancor più alto. Il suo riflesso primario, istintivo, è quello del bottegaio: che si aggrappa al suo borsellino gonfio. «Non avrete i miei soldi».

A giugno, Berlino s’era fatta convincere (dall’«autorevole» Monti e da Rajoy) a far ricapitalizzare direttamente le banche spagnole (che soffrono di una continua emorragia di capitali, che finiscono in Germania) attraverso il meccanismo dell’ESM, Fondo Europeo di Stabilità, nome orwellliano, non ancora realtà. Oggi, visto il conto:100 miliardi di euro, Berlino (coi suoi virtuosi satelliti Olanda e Finlandia) s’è rimangiata l’impegno: no, ma noi intendevamo che l’ESM sarebbe servito solo per future difficoltà, non per quelle passate. Dunque, il salvataggio delle banche non avvenga direttamente; se lo prenda a carico il già straindebitato e strasconvolto Stato iberico, chiedendo «aiuto» alla BCE. La quale sì ha promesso, per bocca di Draghi il venerabile, di comprare i titoli pubblici dei Paesi in difficoltà. Ma non comprerà un solo buono ispanico, fino a quando Madrid non va in ginocchio a chiedere un salvataggio nelle dovute forme, ossia accettando «condizioni» di nuove austerità, e firmando una rinuncia alla sovranità di bilancio, cedendola alla BCE ossia a Draghi e ai banchieri.

Siccome le «condizioni» che la BCE imporrà non sono note, e potenzialmente non hanno limiti, Rajoy è stato esitante a chiedere il cosiddetto salvataggio. Roma e Berlino gli hanno fatto fretta: non vedi che con le tue esitazioni, i mercati non comprano più i tuoi titoli pubblici, lo spread aumenta, ed anche quello italiano?

Ma quando si è sparsa la voce: Rajoy sta per capitolare, andrà a chiedere il salvataggio accettando le condizioni, la Germania ha cambiato tono. No, Madrid aspetti ancora un po, non c’è fretta, ha già fatto molti compiti a casa... perché quest’altro voltafaccia? Ovvio: perché il salvataggio delle banche spagnole, sui 100 miliardi di euro, inciderà nel borsellino gonfio tedesco.

Anche l’atteggiamento verso la Grecia è cambiato di colpo. Ricordate? Berlino durissima: austerità, ancora austerità. I greci razzolano nei bidoni per mangiare, non esiste più un servizio sanitario? «La Grecia tenga fede ai suoi impegni». Altro taglio a pensioni e stipendi per 13,5 miliardi, senza cui non riceverà il salvataggio da 31 miliardi promesso. La Troika, stabile ad Atene coi suoi agenti pignoratori, è lì a sorvegliare: inflessibile. Altrimenti, la Grecia può anche uscire dall’euro, minacciava Berlino: quella è la porta. Non sarà una tragedia, dopotutto: un paesino che conta per il 5% del PIL europeo...

Però, adesso che la Troika ha stabilito che il governo greco (sotto suo controllo) non è riuscito a «tenere gli impegni», non ha fatto tutti i tagli richiesti, anzi traccheggia e ciurla nel manico – del resto, l’austerità stessa, rovinando definitivamente l’economia, ha devastato l’introito tributario – Berlino ha cambiato tono. Non più sprezzante noncuranza. Il severo istitutore tedesco è diventato malleabile. Secondo il periodico Wirtschaftswoche, la Merkel è disposta a lasciare che Atene riceva il pacchetto di 31 miliardi previsto dalla Troika-FMI-EU, anche se non ha tenuto gli impegni. Berlino, di colpo, si contenta che il parlamento ellenico «voti una lista di riforme dettagliate», che poi il governo attuerà come e quando potrà: alle calende greche, come si dice. Solo, per favore, cara Atene, resta nell’euro. «È chiaro che per sette otto anni la Grecia non potrà indebitarsi sui mercati, e che avrà bisogno di aiuto per quel tempo», ha detto Peer Steinbruck, il candidato socialdemocratico alla Cancelleria, rimproverando la Merkel: l’uscita dall’euro della Grecia avrebbe effetti poltici ed economici «devastanti», da evitare.

Il severo istitutore s’è lasciato commuovere dalla miseria greca? No, il bottegaio tedesco sta cominciando a capire, con orrore, il costo per il suo borsellino gonfio di una spaccatura della zona euro. Peggio: dopo aver tanto rifiutato di mettere in comune i debiti pubblici europei (e come dargli torto? Sarebbe come avallare le cambiali di Fiorito...), il tedesco sta scoprendo che il suo borsellino è già nella morsa eurocratica, e che rischia di essere laminato come sotto un rullo compressore. Più precisamente, la Germania sta già coprendo i debiti altrui. In misura colossale, tacita e incosciente. Il bottegaio virtuoso tedesco richia di perderci fino a quasi 1 trilione, ossia mille miliardi di euro.

Il rullo compressore si chiama nel gergo bancario «Target 2», meccanismo che garantisce l’esecuzioni di tutte le transazioni nell’area euro attraverso le Banche Centrali nazionali. Ma per spiegarlo, occorre partire da lontano. Alle origini dell’euro.

Fin dall’inizio della moneta unica, la Germania ha acquistato competitività a spese dei Paesi «periferici», Italia e Spagna e Grecia compresi, ciò che ha dato come effetto una crescita dell’attivo corrente della bilancia tedesca dei pagamenti. Questo squilibrio commerciale era finanziato dalle stesse banche tedesche, che di fatto hanno prestato a iosa alla «periferia» perché comprasse le merci tedesche. Lo stesso credito tedesco ha finanziato le bolle immobiliari in Spagna, il boom in Irlanda, e persino le caste parassitarie in Italia: certo, senza saperlo e volerlo. Ma era così facile godersela e rubare, indebitarsi con tassi d’interesse bassi perché «tedeschi». Come ha scritto il Telegraph, i pubblici spenditori italiani (e greci, spagnoli, eccetera) hanno speso usando la carta di credito della Germania.

Quando è arrivata la crisi finanziaria, le banche tedesche hanno però smesso di prestare alle periferie, anzi hanno cominciato a ritirare i loro crediti il più velocemente possibile (esattamente come fanno le banche quando ritirano i fidi ai clienti). Il punto era però: dove mettere tutti quei soldi tornati in Germania? Non essendoci modo di investirli, li hanno depositati nella Banca Centrale nazionale, la Bundesbank.

Intanto nei Paesi periferici i sistemi bancari si sono trovati con un grosso buco di depositi, e grossi prestiti in essere – perché i crediti all’economia reale non possono essere richiamati in un lampo. Per riempire il buco, le banche hanno preso in prestito i fondi dalla Banca Centrale Europea (BCE) dando titoli come collaterali. Ma da dove la BCE prende i liquidi? Dalla Bundesbank, che ne ha tanti, un surplus.

Come si vede, è una partita di giro con qualcosa di comico. I depositi tedeschi hanno abbandonato la periferia, solo per tornare da dove sono venuti. Sembra che non sia successo niente di nuovo e grave; ed effettivamente, all’interno di un Paese, trasferimenti del genere avvengono ogni giorno senza conseguenze. Sarebbe senza conseguenze anche nella zona euro, se questa fosse «un solo Paese». Ma non lo è.

La conseguenza della comica partita di giro è che, via BCE, l’onere di ripagare i depositi è stato trasferito dai bilanci privati a quelli pubblici, dalle banche germaniche alla Bundesbank (perché non dimentichiamo: i depositi sono un «passivo» per le banche), ossia in ultima analisi al contribuente tedesco. Così, è un po’ ridicolo che la Merkel, Schauble e i grandi media germanici ripetano «Nein, nein» all’idea di mutualizzare i debiti, ossia di mettere nel calderone i debiti italiani e spagnoli con quelli della virtuosa Germania: i debiti europei sono già socializzati. Solo che non ne è stata presa piena coscienza.

Il caso è aggravato dalla fuga di capitali dai Paesi periferici, che hanno abbandonato e stanno abbandonando precipitosamente le banche greche, spagnole e italiane, per la paura che l’euro si spacchi, e si torni alle monete locali svalutatissime: questi capitali in fuga finiscono in Germania, ritenuta «sicura». Così accade questo: oltre ad assumersi l’onere dei loro propri cattivi prestiti fatti ai periferici, i tedeschi stanno accollandosi l’onere dei cattivi prestiti dalle nazioni periferiche. E la cosa durerà finchè ci sarà il timore che l’euro si rompa.

Ecco perché, di colpo, Berlino non vuole più che Atene lasci l’euro, anche se i greci non hanno fatto tutti i compiti a casa, e son disposti a dargli ossigeno (del tutto inutile, del resto). Ecco perché Draghi e gli altri si sono messi a proclamare che l’euro è «irreversibile». Se Atene abbandona l’euro, si crea il precedente perché lo abbandonino gli altri Paesi in difficoltà, Spagna, Portogallo, Italia. E che fine fanno tutte le montagne di liquidi che la Germania ha impegnati nei Paesi-cicala da cui le sue banche si sono ritirate? Finiscono nel tritacarne dei default, dei ripudi del debito, e al contribuente tedesco tocca pagare il conto. Quanto? Ad agosto, il costo della Bundesbank per preservare l’eurozona con il Target 2 ossia la rete di transazioni interbancarie che abbiamo spiegato sopra, superava i 750 miliardi di euro (415 miliardi in Spagna, 280 in Italia, 105 in Grecia e così via).

750 miliardi di euro è la perdita massima teorica che i tedeschi possono subire in caso di rottura dell’euro. Anche se è un quarto del PIL tedesco, è appunto teorica. E’ praticamente impossibile che la Germania non riceva indietro qualche parte anche consistente del suo involontariamente generoso contributo a mantenere il più stupido esperimento monetario della storia: più che default totali, si tratta sempre di «ristrutturazioni del debito», in cui i debitori rimborsano qualcosa: ma quanto possono, quando possono, al tasso che decidono i debitori stessi per non compromettere di più le loro economie reali.

Il che significa che il ripudio sovrano dei debiti, benignamente detti «ristrutturazioni» hanno questo di miracoloso: che trasformano un debito gestito dai creditori, e da mercati strutturalmente folli in mano alla speculazione, in un debito gestito dal debitore. È lui (ossia Spagna e Italia) ad avere il coltello dalla parte del manico, non più tedeschi e olandesi (la povera Francia, che si è messa dal lato dei creditori mentre non ne ha la forza, sarebbe vaporizzata).

Ai tedeschi, resterebbe una Bundesdbank che avrebbe subìto «danni irreparabili» (così Goldman Sachs) e in più, come a tutti noi, una inflazione a due cifre (1), quella che i tedeschi vogliono scongiurare con le loro messe in riga alla BCE.

È per questo che il problema – o la bomba ad orologeria – del Target 2, e cosa fare quando esploderà, è il tema più censurato tra l’eurocrazia. E un tabù per i media asserviti. Non se ne parla, sperando che non avvenga. Finchè l’euro regge, non avverrà. Ma intanto, bisogna non far sapere ai tedeschi che sono già coinvolti fino al collo nelle impagabili spese folli italiote e nel disastro spagnolo, da cui credono di essere esenti.

E agli italiani, non fate sapere quanto conviene il default, ossia di diventare i gestori del proprio debito. E che continuino a venerare Monti e Draghi, nostri «autorevoli salvatori».





1) Zero Hedge, «Why Germany's TARGET2-Based Eurozone Preservation Mechanism Is Merely A Ticking Inflationary Timebomb», 30 giugno 2012. «Europe’s Most Parabolic Chart Resumes Climb As German TARGET2 Claims Rise To Just Shy Of $1 Trillion», 10 settembre 2012.



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