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Alcune buone ragioni per avere un conto corrente all’estero
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Quando le smentite ufficiali di un ipotetico avvenimento si fanno più insistenti e frequenti è molto probabile che quell’avvenimento si verifichi. I fatti di finanza ed economia internazionale degli ultimi tempi, letti nella loro successione e nelle loro implicazioni, ci danno un quadro che comincia ad assumere dei contorni precisi. Il prestigioso quotidiano politico - economico inglese Telegraph nel suo numero del 7 giugno titola: «L’Euro sarà morto fra 5 anni (Euro ‘will be dead in five years’).

Una boutade giornalistica? No è il risultato di un approfondito sondaggio commissionato dal Sunday Telegraph tra molti economisti. E’ vero che gli Inglesi non sono mai stati molto benevoli nei confronti della moneta unica europea (infatti hanno ancora la sterlina di imperiale memoria), ma è anche vero che mai prima d’ora si era visto un così largo, convinto e condiviso consenso sulle poco onorevoli sorti dell’euro. I motivi sono da ricercare nella crisi dei vari Stati alle prese con gravi problemi di debito pubblico (non che l’Inghilterra stia meglio) e nella marcata insofferenza che la Germania sta dimostrando nei confronti delle cicale mediterranee e delle asfittiche economie della periferia dell’Est Europa. La Cancelliera tedesca Angela Merkel parla apertamente di «crisi esistenziale» della divisa unica.

A questo punto sembra di capire che la questione non sia più riguardo al se ma riguardo al quando ciò accadrà. Il paradosso della situazione è che non saranno la Grecia o la Spagna (o l’Italia) a essere cacciati, ma sarà la Germania che se ne andrà. La quale Germania, come al solito, sta largamente sfruttando questo periodo di relativa debolezza della moneta unica per rafforzare le sue esportazioni ed il suo sistema produttivo. Appena i tedeschi saranno riusciti a rigirare a qualcun altro la massa di debito greco, portoghese, ecc., che grava sulle sue banche a qualcun altro, quello sarà il momento in cui dirà addio all’Euro almeno nella sua attuale struttura.

Una via di uscita sembrerebbe essere quella dell’insolvenza del debito pubblico di uno o più partecipanti all’Euro, in modo da alleggerire la pressione sugli Stati meno esposti, ma questo non fa che confermare il fatto che potrebbe aver corso un Euro a due velocità: chi dovesse ritrovarsi con l’Euro (serie) B vedrebbe il suo potere d’acquisto ridotto nella spazio di una notte del 30% o 40%. Tutti i detentori di titoli di debito di questi Stati sarebbero il perfetto gregge da tosare e al quale far pagare il costo del default. Non sarebbero immuni da questo disastro i detentori di titoli bancari dei relativi Paesi, visto che l’affidabilità di un istituto di credito non è mai superiore a quella dello Stato a cui appartiene. L’Italia si trova in una posizione migliore degli altri Paesi europei in bilico?

Tenuto conto che ha il terzo debito pubblico al mondo dopo USA e Giappone e pari a 1,5 triliardi di euro (1.500 miliardi), che dal 1998 la competitività del sistema Paese ha continuato a ridursi costantemente e che solo per pagare gli interessi sul debito pubblico dovrebbe spendere il 4,5% del PIL senza per questo ridurre di un euro il suo debito, giudicate voi quali possano essere le prospettive per il nostro Paese.

Non voglio certo prendermi il merito di aver individuato da solo e per primo questa situazione, ma è certo che la sto seguendo molto attentamente da parecchio tempo, proprio per verificare quanto affermazioni a prima vista fantapolitiche stiano invece avendo dei riscontri nella realtà; e questi riscontri purtroppo ci sono.

Un simile scenario non può che avere degli effetti gravi sui patrimoni personali, grandi o piccoli che siano. Innanzitutto non vedo come i governi di questi Paesi più «disgraziati» possano evitare di imporre tasse e limitazioni sulla circolazione dei capitali. Il testo della manovra economica in discussione al parlamento sta già preparando il campo a questo scenario con la riduzione dell’uso del contante a 5.000 euro. Mi viene da sorridere (anzi da ridere) quando si afferma che è una misura atta a combattere l’evasione fiscale.

Negli anni ‘70 in Italia c’era un’evasione fiscale quasi doppia rispetto all’attuale, anche in presenza di ferree limitazioni alla circolazione dei capitali. Dunque la limitazione è inefficace per questo scopo, ma lo è molto più per la facilità di colpire con tassazioni straordinarie quanto legalmente detenuto. E su questo punto non mi sembra che ci sia disaccordo tra destra e sinistra, anzi.

Divagando ma non troppo dal tema, quando il governatore Draghi parla di «macelleria sociale» con riguardo all’evasione fiscale usa appositamente un’espressione volutamente molto forte per mettere le classi sociali appartenenti più o meno allo stesso ceto l’una contro l’altra in una guerra tra poveri, mentre sappiamo benissimo che la vera grande, immensa evasione fiscale la fanno i ricchissimi nullatenenti con interessi finanziari transnazionali, cosa questa che ci riporta al nostro tema.

Se io governante o appartenente alla classe dominante, oramai completamente avulsa dalla realtà del Paese, possiedo beni e diritti vari di grande interesse economico all’estero, legifererò in maniera tale da danneggiare i miei interessi colà custoditi? Non penso proprio, mentre su quanto detenuto in Italia come investimento estero potrebbero essere prese misure restrittive ( extra tassazione, cambio forzoso e via discorrendo).

Da questa lettura della realtà mi sono fatto l’idea che per salvaguardare almeno in parte i propri soldi un accorto risparmiatore dovrebbe fare alcune elementari cose:

1) trasferire in maniera del tutto legale e consentita una parte dei suoi risparmi all’estero

2) investire i propri soldi in titoli di Paesi che abbiano come caratteristica un basso indebitamento dello Stato.

Può sembrare strano avere un conto corrente in Svizzera o in Lussemburgo legalmente detenuto e dichiarato, ma ad oggi non esiste nessuna restrizione di alcun genere nel trasferire legalmente valuta verso questi o altri Paesi: il convincimento contrario è dovuto al terrorismo psicologico che è stato fatto a tutti i livelli per interessi vari (ad esempio le inefficienti e decadenti banche italiane che si vedono portare via i clienti) che non alle difficoltà pratiche pressoché inesistenti per mettere in atto questa sana diversificazione.

Mi rendo conto che quanto dico è sicuramente più difficile da accettare sul piano psicologico che sul piano pratico, ma riflettiamo bene sul fatto che in gioco c’è buona parte della nostra futura sicurezza.

Giovanni Sicola


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