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La nuova opposizione siriana: «moderata», Made in USA e pericolosissima
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Finalmente! Francois Hollande ha preso almeno una decisione: ha annunciato che la Francia riconosce la nuova coalizione delle opposizioni al regime di Damasco come «la sola rappresentante del popolo siriano e dunque come futuro governo provvisorio della Siria democratica che permetterà di farla finita col regime di Bashar al-Assad».

La nuova opposizione «democratica» siriana è veramente nuova fiammante: quella che Hillary Clinton s’è inventata a fine ottobre a Doha, dove ha convocato elementi che (testuali parole) «abbiamo esfiltrato di contrabbando dall’interno della Siria». La ministra degli Esteri americana ha con lo stesso atto liquidato il precedente corpo di opposizione riconosciuto, il Syrian National Council (SNC), per impedire (parole sue) agli «estremisti» di «dirottare la rivoluzione» siriana.

Non è solo che il SNC era troppo frazionato e inconcludente. Secondo Flynt Everett, un autorevole analista arabista universitario, la creazione di una nuova opposizione si è resa necessaria dopo «ciò che, in sintesi, si può chiamare l’Effetto Bengasi», l’assalto dei jihadisti dove è stato trucidato l’ambasciatore americano in Libia, nel fatidico 11 settembre 2012. Che cosa è l’Effetto Bengasi?

Everett risponde: «La possibilità che lambasciatore sia stato ammazzato da un gruppo armato e sostenuto dagli Stati Uniti» e fornitore di manodopera ribelle per la Siria. La stessa Paula Broadwell, la presunta amante del generale Petraeus, ha pubblicamente rivelato che nel consolato Usa a Bengasi, in realtà una base della Cia, erano trattenuti due prigionieri, militanti jihadisti (cosa a cui le sedi diplomatiche non si dovrebbero esattamente prestare, secondo il diritto internazionale) e gli attaccanti libici che hanno ucciso Christ Setevens e gli altri quattro americani volevano liberarli. Sembra essere questa la «sbavatura» dei servizi americani che ha probabilmente segnato la caduta del generale Petraeus. Che probabilmente si è suicidato politicamente piuttosto che dover rispondere del fallimento. Il trauma-Bengasi è apparentemente così grave, che sta scuotendo l’alto apparato militare americano in ulteriori rivolte di palazzo al Pentagono. (Flynt Leverett on the Illusion of a Syrian “Opposition”—and the Real Requirements for Conflict Resolution in Syria)

La Clinton ha dunque dovuto rapidamente inventare per la Siria qualcosa di più direttamente controllato dall’America, essendo la coalizione «ribelle» di prima poco soddisfacente rispetto allo standard del «rivoluzionario ideale» per gli Usa. Tale «qualcosa precedente», SNC, è stato brutalmente privato dell’appoggio della comunità internazionale, da cui non è più riconosciuto. Il nuovo, immediatamente riconosciuto dalla UE e da Hollande, ha come presidente l’imam sunnita Ahmed Moaz al-Kathib, presentato dai nostri media come un islamista sì, ma «moderato».

Chi è al-Kathib? Anzitutto, una pedina gestita in condominio da Washington e Parigi. Sono state infatti le forze speciali francesi a provvedere all’esfiltrazione del «moderato», già predicatore della moschea Ommiade di Damasco, e ripetutamente arrestato da Assad. Attualmente al-Kathib vive al Cairo, sotto la protezione del governo dei Fratelli Musulmani. Il quale s’è subito schierato contro il regime di Assad a fianco delle dittature monarchiche del Golfo, prima fra tutte l’Arabia Saudita (dei cui fondi l’Egitto ha disperatamente bisogno, ora che rischiano di mancare gli aiuti americani). Non è un caso se la centrale di «informazione» propaganda dell’opposizione siriana è una pretesa ONG con base a Londra e gestita dai Fratelli Musulmani, la OSDH.

Quanto sia moderato l’imam al-Kathib, si può controllare dal blog che tiene sul web: darbuna.net

Molto interessante, fra gli altri, l’articolo dal titolo «Perché la Turchia emergerà come leader del mondo islamico». (Why Turkey will emerge as the leader of the Muslim World)

«... Una tempesta perfetta ha minato l’eredità (laica) di Ataturk», vi si legge: «mentre gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 hanno orientato le relazioni tra i musulmani e l’Occidente verso un conflitto perpetuo, l’AKP (il partito di Erdogan, ndr) radicato nell’Islam ha aiutato il Paese a ritrovare la propria identità (...). Nel mondo post-11 settembre la Turchia s’è da sé attribuita la parte del dirigente del mondo islamico. È la nazione musulmana con l’economia più forte e l’esercito più potente. Il solo ostacolo che resta è di convincere i fratelli islamici a decretarlo nuovo Sultano del mondo islamico».

Nell’articolo si assicura che «Erdogan e il suo governo credono allo Scontro di Civiltà di Samuel Huntington, solo che hanno scelto di opporsi all’Occidente». E cita una frase del ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu, che è anche un intellettuale di spicco e l’ideologo del Partito di Erdogan, nel suo saggio intitolato «Profondità Strategica»: «Le buone relazioni della Turchia con lOccidente sono una forma di alienazione». Una frase che dovrebbe allarmare almeno la diplomazia europea, se non quella americana.

L’articolo di cui sopra è del 2010, ed è firmato da un turco: ma mostra in ogni caso il vivo interesse che al-Kathib mostra verso la strategia neo-ottomana all’interno del più vasto discorso islamista. Della quale al-Kathib non esclude nulla. Fra i link raccomandati dal suo blog, c’è anche quello di Yusuf al-Qaradawi, teologo estremista di origine musulmana e attualmente abitante nel Qatar – e sappiamo quanto si prodighi il piccolo ricchissimo emirato per alimentare di terroristi la ribellione siriana. Al-Qaradawi suole scagliarsi contro i musulmani sciiti, da lui bollati come «eretici» (mubtadihun) dagli schermi di Al Jazeera, ormai schierata col wahabismo saudita.

Dunque, il «moderato» Al-Katrhib, oltre ad essere un elemento in condominio anglo-americano, è condiviso anche da Erdogan e dai Fratelli Musulmani, nel quadro di una strategia di notevole «profondità strategica», per usare le parole di Davutoglu. Si intravvede una ovvia e potente coalizione fondamentalista – dai Fratelli Musulmani ad Erdogan fino ai sauditi – contro il solo regime laico rimasto, quello di Damasco.

Le potenze occidentali che si sono intromesse in questo gioco hanno una simile visione strategica?

Everett ne dubita: fa notare che il vecchio SNC, brutalmente esautorato dalla Clinton e sostituito dalla nuova coalizione, non sparirà come d’incanto. Al posto di un SNC disunito, avremo due SNC disuniti: i partecipanti alla nuova formazione, assicura, «hanno interessi, obbiettivi e visioni radicalmente differenti sulla Siria. Se il governo di Assad magicamente sparisse domani, non ne verrebbe fuori una struttura politica unificata in Siria. I gruppi della cosiddetta opposizione si combatterebbero a vicenda». Per Everett, ben informato arabista (ed analista), nonostante tutti questi mesi di disordini, il regime di Assad gode tuttora di un sostegno significativo nel suo Paese, «probabilmente da parte di circa la metà della popolazione». La sola via d’uscita sarebbe un accordo negoziato che permettesse un condominio col regime; ma Washington ha scelto la via della ribellione armata ancora una volta. E siccome la ribellione armata non era quella che le piaceva, l’ha cambiata: per conseguire il sospirato regime change a Damasco, il Dipartimento di Stato ha dovuto operare un «regime-led change» (un cambiamento guidato dall’alto) nell’opposizione.

Il risultato potrebbe presentare amarissime sorprese. I «ribelli» abbandonati e privati dei fondi e della legittimità internazionale, possono diventare terroristi in proprio. È l’avvertimento, o la minaccia, lanciato dal generale Mustafa al-Sheikh, il capo della Free Syrian Army (il braccio armato dell’opposizione) ancor prima di Doha: «Se le potenze estere non si sbrigano ad appoggiare i combattenti ribelli che cercano di rovesciare il regime di Assad», ha detto il generale, questi «esploderanno in tutte le direzioni. Il terrorismo crescerà rapidamente». La metafora è quella di una bomba a mano che esplode, lanciando in ogni direzione schegge impazzite di gruppi incontrollati, che all’interno della Siria vivranno «del territorio» saccheggiando e rapinando, prestandosi inoltre a tutte le manovre e manipolazioni: un terrorismo senza altro obbiettivo che la sua sopravvivenza, intento a perpetuare il disordine – ossia la somalizzazione della Siria.

Orribile, a meno che non sia proprio questa la strategia di fondo occidentale.

Dopotutto, può esserci nei centri di potere americani (lontani fisicamente dalla bomba islamista, al contrario di noi europei) che condividono in silenzio le affermazioni apparentemente folli di Baruch Efrati, rabbino di una colonia ebraica illegale in Cisgiordania: «L’islamizzazione d’Europa è una buona cosa» come punizione teologica per il male che hanno fatto agli ebrei (1).

Vale la pena di riportare più a fondo il «pensiero» del rabbino Efratat. Ha risposto alla domanda di uno studente rabbinico che gli chiedeva: come si può combattere l’islamizzazione dell’Europa?

Baruch Efrati
  Baruch Efrati
«Gli ebrei devono rallegrarsi», ha risposto il rabbino, «del fatto che l’Europa perda la sua identità come punizione per ciò che ci ha fatto per secoli mentre abitavamo là in esilio. Non perdoneremo mai all’Europa cristiana di aver massacrato milioni dei nostri bambini, donne e vecchi, non solo nell’olocausto recente ma, nel corso delle generazioni, di continuo... È questo che caratterizza tutte le fazioni ipocrite del cristianesimo. Adesso l’Europa perde la sua identità a profitto di un altro popolo e di un’altra religione, e non sopravviverà traccia di quella impurità del cristianesimo, che ha sparso tanto sangue e non potrà mai essere perdonato». ("L'Islamisation De L'Europe Est Une Bonne Chose")

Il cristianesimo è infatti «impurità» secondo il Talmud. Il perché lo ha spiegato rabbi Efrata: questa idolatria tende a «distruggere la vita normale, astenendosene da un estremo all’altro, perdendo la sua umiltà: oscilla tra una via radicale monastica e una vita di debosciamento occidentale». Con l’Islam in Europa, invece, «i goym di laggiù adotteranno una vita più sana con molta modestia e integrità, non come questo cristianesimo che sembra puro ma è fondamentalmente corrotto». L’Islam, per lui, «benché porti giudizi falsi sui profeti, è relativamente onesto in quanto educa a una via stabile di matrimonio e procreazione, dunque ha più umiltà e rispetto di Dio» (2).

Ecco che cosa odiano del cristianesimo i talmudisti: il «radicalismo monastico», la verginità consacrata. Molto interessante teologia. Del resto, viviamo in tempi interessanti, come augurano i cinesi ai loro nemici.





1) La radio «The Voice of Russia» ha denunciato manovre americane per rinfocolare l’islamismo antagonista nelle banlieues francesi abitate da giovani arabi di seconda o terza generazione ampiamente disoccupati e rabbiosi contro i bianchi. http://french.ruvr.ru/2012_11_03/France-offensive-americaine/. Cita fra l’altro un messaggio rivelato da Wikileaks dove l’ambasciatore americano Rivkin dice che «stiamo continuando e rafforzando la nostra azione per riformare il programma di storia nelle scuole francesi, onde esso tenga conto del ruolo e delle prospettive delle minoranze etniche nella storia francese». Lo stupefacente messaggio è del gennaio 2010. Nel settembre 2010, una legge di Sarkozy che va in questa direzione è stata votata in Francia. Evidente lo scopo di intensificare l’antagonismo «identitario» ed etnico-religioso onde rendere reale anche a livello europeo e sociale lo scontro di civiltà di Huntington, a cui gli europei si rifiutano fino ad oggi di farsi arruolare.
2) Non si creda che questo comporti nel rabbino una qualche benevolenza per i musulmani. Il rabbino Efrata è di quei talmudisti che predicano: il buon ebreo ha il dovere di odiare gli arabi (A good Jew hates Arabs). Il rabbino Efrata è insediato ad Efrat, una delle tre colonie fondamentaliste ebraiche illegali (con Gilo e Gush Etzion) che circondano Betlemme, dove vive una popolazione cristiana.


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