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I tempi precipitano
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I tempi precipitano

L’Università del Maryland ha diverse filiali in Europa: sotto contratto col Pentagono, fornisce corsi e lezioni per i militari americani all’estero.
Qualche giorno fa un professore di questa università, dall’Europa, ha scritto al collega Eric Alterman, docente d’inglese e giornalismo alla City University di New York.
Eccola (1):

«Ti scrivo per informarti di qualcosa di molto inquietante. Lo scorso fine-settimana abbiamo avuto un incontro di facoltà di tutti i professori europei nella nostra centrale di Heidelberg in Germania. In questo incontro ci è stato detto che i contratti per l’istruzione dei militari della University of Maryland saranno presto estesi ad Iraq, Turkmenistan, Uzbekistan, Gibuti ed altre località in Africa e Medio Oriente. Ma ciò che è stato stupefacente è che ci hanno detto di prepararci a un concorso per programmi educativi in Iran e Siria e - strano a dirsi - in Francia (dove non abbiamo presenze [militari] da quando il Paese uscì dalla NATO nel 1967,  forse un piacere del nuovo governo conservatore [di Sarkozy]. Dobbiamo preparare l’offerta per la fine di novembre.
’Questo è davvero sinistro. L’Università del Maryland segue le truppe nel mondo. Dunque è chiaro che i preparativi per un’occupazione di diversi Paesi del Medio Oriente non sono soltanto discussi, ma ormai messi in atto
».

«Stiamo per occupare anche Iran e Siria?», si chiede Alterman.
La domanda va ampliata: che cosa non conta di occupare la Casa Bianca?
E con quali mezzi?

Impantanata in Afghanistan ed Iraq, l’Amministrazione ha ventilato pochi giorni fa un intervento in Pakistan per mettere al sicuro le testate atomiche di quel Paese, se esso cadesse nelle mani di un regime fondamentalista.
Secondo il New York Times di lunedì, sono in corso piani per dispiegare forze speciali USA nelle regioni di frontiera pakistane allo scopo - si dice - di addestrare milizie locali da lanciare contro le milizie sostenute dai Talebani ed «Al Qaeda».
La fonte militare ha detto al New York Times: «Contiamo di espandere la presenza di istruttori in Pakistan, di finanziare una separata forza paramilitare che fino ad ora si è mostrata inefficiente, e pagare milizie che hanno accettato di combattere Al Qaeda e militanti stranieri».
Ciò allo scopo apparente - o con la scusa - di salvare il pericolante regime militare pakistano, di cui gli USA hanno più bisogno che mai nell’ampliarsi incontrollabile dell’area di instabilità, da loro stessi provocata.

Guerra, guerra, guerra.
E’ la sola soluzione a cui Washington sembra capace di pensare: e ciò mentre l’America precipita in una recessione storica tipo ’29, il dollaro è ai minimi e cadrà ancora, il greggio a 100 dollari il barile, le sue banche rivelano ogni giorno nuovi buchi da subprime, milioni di americani stanno perdendo la casa perché non pagano i mutui, crolla Wall Street, Goldman Sachs prevede una restrizione mondiale del credito pari a 2 mila miliardi di dollari, i generi alimentari rincarano e scarseggiano nel mondo - insomma tutti  i sintomi di una crisi sistemica globale spaventosa   convergono contemporaneamente verso il peggio.
Afghanistan, Iraq, Siria ed Iran… e non dimentichiamo, la NATO si prepara a rafforzare il controllo sul Kossovo del Nord in preparazione alla dichiarazione d’indipendenza unilaterale che il Kossovo stesso proclamerà il 10 dicembre: ciò che metterà le forze europee in rotta di collisione diretta con la Russia, protettrice della Serbia.

Guerra guerra e poi altra guerra.
Senza mezzi, senza denaro (l’America vive a credito dei Paesi esportatori, Cina in testa).
C’è un progetto in questa follia?

Un altissimo funzionario europeo sentito da Dedefensa (2) al ritorno da Washington, vi ha trovato «una situazione di completa anarchia molto educata e che si presenta bene (sic). Il potere è frammentato in centri multipli, ciascuno dei quali si occupa dei suoi piccoli affari immediati. E’ quasi impossibile avere presa su qualcosa che dia l’impressione di controllare la situazione, la decisione l’azione. Non c’è più niente che possa essere identificato come ’lo Stato’ ».
E’ così?
Agghiacciante.
Non c’è testa a Washington?

Anche Justin Raimondo parla di «un vuoto morale» in cui paiono agitarsi solo le centrali neocon, dall’American Enterprise alla Brookings Institution al Weekly Standard di Kagan, tutti i neocon sono attivissimi nel premere per bombardare l’Iran, perché «Israele è in una crisi esistenziale che il mondo non capisce».
Ari Fleischer, l’ex portavoce della Casa Bianca (ebreo vicino alla setta Lubavitcher), ha fondato un think tank chiamato «Freedom Watch» dove tiene riunioni di «marketing politico», dove personalità neocon cercano le parole giuste per «vendere» agli americani l’attacco all’Iran.
Da questo centro emanano sondaggi che chiedono: «Quali sentimenti provereste se Hillary Clinton bombardasse l’Iran? Se Bush bombardasse l’Iran? Se Israele bombardasse l’Iran?» (3).
Valutano e soppesano i «sentimenti» variabili, ma il bombardamento dell’Iran resta fisso.

In Afghanistan, intanto, secondo i rapporti militari la situazione è giunta a «proporzioni di crisi», coi Talebani che controllano metà del Paese e si avvicinano all’aeroporto di Kabul.
E ciò mentre l’agenzia umanitaria britannica Oxfam chiede «azione urgente per scongiurare il disastro umanitario»: milioni di afghani sono di fronte «a gravissime difficoltà paragonabili a quelle dell’Africa Sub-Sahariana».
La Oxfam denuncia che solo una parte microscopica delle spese militari USA in Afghanistan va in aiuti, e quasi tutto in alti salari.
Ma il Pentagono esige che la presenza NATO in Afghanistan sia rafforzata, e che gli alleati mandino più uomini: sarà questo il tema imposto al vertice NATO che si terrà in Romania (Romania! Ecco chi l’ha voluta nella UE) l’aprile prossimo.

Guerra, guerra anche per noi europei: più guerra, all’infinito.
In Iraq il Pentagono vanta come successo un certo acquietarsi degli assassinii e degli attentati (il 20 novembre, «solo» 24 iracheni uccisi, più sei corpi decomposti ritrovati): una «pacificazione» non difficile da spiegare, tutti i quartieri di Baghdad sono ormai etnicamente o  settariamente omogenei, tutti gli sciiti sono stati cacciati dai quartieri sunniti (o uccisi) e viceversa; quattro milioni di iracheni sono profughi in Siria e Giordania, dunque scarseggia la materia prima per la morte.

A Gaza, è morto Nael al-Kordi, 21 anni: malato di cancro, aveva chiesto a giugno agli aguzzini israeliani il permesso di espatriare in Egitto per farsi curare.
Permesso negato fino ad ieri, fino a che la morte ha liberato il giovane dalla prigione.
Altri cinque malati di cancro aspettano lo stesso permesso da mesi: Giuda accampa, per il rifiuto, «motivi di sicurezza»: i malati di cancro sono pericolosi per l’esistenza stessa di Israele (4).
Israele stringe la vite sul suo lager palestinese.
Ha imposto il coprifuoco in tutti i villaggi della Cisgiordania.
Ha bloccato l’accesso a Gerusalemme ai fedeli musulmani che vogliono pregare ad Al Aqsa.
Ha aumentato i posti di blocco - ora sono 700 - che paralizzano il movimento dei palestinesi anche all’interno dei territori.

Il governo di Gaza (Hamas) ha fatto l’ennesimo apppello al mondo: l’assedio e l’embargo stanno provocando morti per mancanza di medicine e denutrizione, Israele ha bloccato altri progetti umanitari internazionali di «natura economica, umanitaria e vitale».
Ha ammazzato, solo lunedì, tre palestinesi a Gaza.
I suoi «coloni» strappano più olivi di prima.
I suoi soldati picchiano con più lena.
Hanno fretta.
I tempi precipitano, evidentemente.

Forse, s’affrettano perchè le elezioni presidenziali americane si avvicinano a gran passi: hanno fretta di far trovare al nuovo presidente il fatto compiuto di una guerra ampliata ad Iran e Siria, e forse al Libano?
Hanno fretta di entrare nella terza guerra mondiale auspicata da Bush prima che la popolazione americana, consapevole delle conseguenze economiche, sociali e sanitarie dei conflitti già in corso, si ribelli e precipiti il Paese nel disordine?
Forse.

Ma c’è una data più vicina che può giustificare la fretta: quella del crollo del sistema americano d
capitalismo globale e senza limiti.
Entro febbraio (da qui a tre mesi) l’istituto francese Europe 2020 (5) prevede la bancarotta di «almeno una grande istituzione finanziaria americana» che trascinerà con sé, per effetto domino,
i fallimenti di «altre banche, in Gran Bretagna ed Asia particolarmente, Cina, Giappone»: sta per aprirsi un «buco nero finanziario» che ingoierà intere economie, spargendo il panico e poi la depressione.

Si aggiunga che le riserve alimentari mondiali sono al livello più basso della storia.
Effetto collaterale del liberismo globale: i prezzi pagati agli agricoltori si abbassano, mentre i prezzi ai consumatori sono in aumento vertiginoso, e questo provoca la fuga dai campi dei contadini, specie nel terzo mondo, dove i contadini sono due miliardi e più (6).

E se fosse proprio questo lo scopo ultimo dell’assurda, folle moltiplicazione dei conflitti e delle instabilità?
Ossia: se tutto mirasse ad una riduzione tragica della popolazione mondiale?
Con la fame e la guerra? (7)

Nel 2003, in «Dopo l’impero», il sociologo Emmanuel Todd prevedeva qualcosa del genere: la dissoluzione dell’impero americano ha pianificato anche la rovina del mondo, il capitalismo globale fallito, vuol cadere - come Sansone - con tutti i filistei.
Ecco cosa scrisse Todd di questo impero che sopravvive e guerreggia a credito: «Il movimento di denaro concepito dai privilegiati della periferia dell’impero [i ricchi di Cina, Arabia, India, Europa] come un investimento di capitale, per gli americani si trasforma in segni monetari che servono al consumo corrente di beni acquistati nel mondo. L’investimento di capitale dovrà quindi essere, in un modo o nell’altro, vaporizzato. Non sappiamo ancora a che ritmo gli investitori europei, giapponesi ed altri si troveranno spennati, ma accadrà. La cosa più verosimile è un panico borsistico di un’ampiezza mai vista, seguito da un crollo del dollaro, concatenamento che avrebbe l’effetto di mettere termine allo status imperiale degli Stati Uniti […]. L’implosione del meccanismo sarà così sorprendente quanto lo è stato il suo emergere».

Ecco perché a Washington non si pensa al futuro, al costo umano e finanziario delle guerre ulteriori e decise.
Sanno che non pagheranno mai i loro debiti.
Sanno di non avere futuro.
E non permetteranno a noi di averne uno.


1) Eric Alterman, «Are we going to occupy Iran and Syria too?», Globalresearch, 18 novembre 2007.
2) «The warlords of Washington», Dedefensa, 20 novembre 2007.
3) «Ari Fleischer’s Freedom’s Watch Involved In ’Marketing Sessions’ To ’Sell’ Iran War»,  ThinkProgress, 20 novembre 2007.
4) «Israel to heart patient: go to die in Gaza», e «Israel increases restriction on Palestinians», Uruknet, 20 novembre 2007.
5) «Les banques mondiales aspirées dans le ’trou noir’ de la crise financière: Les quatre facteurs déclencheurs d’une grande faillite bancaire», Europe 2020, 15 novembre 2007.
6) Dirk Barrez, «Pourquoi les prix de la nourriture augmentent», Réseau Voltaire, 5 novembre 2007.
7) Nel maggio 2005 una ex ricercatrice della NASA, Renèe Welch, ha sostenuto di aver avuto conoscenza fin dagli anni ’80, da membri della famiglia bin Laden, di un piano per la riduzione della popolazione attraverso una guerra globale da innescare con un mega-attentato false flag, come l’11 settembre. Il piano si chiamerebbe «Global Cleanse 2000», Pulizia Globale (citato da Roberto Quaglia, «Il mito dell’11 settembre», Gassino Torinese, 2007, pagina 238).

 
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