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Poveri «comunisti»
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Non erano già più tali da qualche decennio.
Sulla trasformazione del PCI (allora si diceva «revisionista») scrissi all’inizio degli anni ‘70 sul Che fare, rivista gruppuscolare.
Oltre 35 anni fa, cominciai a parlare di «piciisti» e feci delle previsioni sullo sbocco finale
del processo in corso - sostenendo che essi sarebbero divenuti i migliori rappresentanti del grande capitale monopolistico - avveratesi quasi alla lettera; mentre i Soloni della sinistra extraparlamentare (in particolare della sua ala radical-chic) andavano a caccia di farfalle, sempre pronti in seguito a dar credito anche alle peggiori degenerazioni dei sedicenti «movimenti».

Adesso, finalmente, questo piciismo - già passato dalla tragedia alla farsa all’epoca di Berlinguer - arriva ad esiti che non sono nemmeno più definibili con i termini di cui si dispone utilizzando
il vocabolario della lingua italiana (e anche in dialetto non trovo nulla di adatto).
Ferrando e, ultimamente, Turigliatto-Cannavò sono infine usciti da Rifondazione, ma mi consta che litighino; comunque, non si mettono senz’altro insieme (per carità, non sia mai!).
Qualcuno procede anche a espulsioni per deviazionismo o non so bene che cosa.
La corrente dell’Ernesto si è molto «agitata» per protestare contro l’eliminazione del simbolo «falce e martello»; adesso che la battaglia è persa (per fortuna!), mi sembra restino ancora dentro l’arlecchinesca «Sinistra arcobaleno», non si sa bene ad architettare che cosa, poiché non ho visto lo straccio di un programma alternativo oltre all’indignazione per la cancellazione del suddetto simbolo.

D’altra parte, questa «Sinistra arcobaleno» (detta «affettuosamente», e sfidando il ridicolo, «Cosa rossa») è un’accozzaglia di indigesti avanzi di una stagione, in cui ogni trucco e imbroglio è stato tentato pur di catturare la quota di nostalgici che sempre esiste in ogni «spazio e tempo».
Bertinotti, il suo «cervello», afferma che, comunque, «falce e martello» sarà sempre nei cuori
dei militanti; Diliberto è dispiaciuto per la perdita del segno distintivo ma, siccome gli è già fallito l’altro «grande progetto» di portare in Italia la salma di Lenin, si rassegna anche a questa «disfatta» (tanto un seggio lo prende di sicuro).
L’unico ad aver avuto, poverino, un briciolo di soddisfazione è Pecoraro Scanio, il «genio» dell’ambientalismo, che vede esaltato il simbolo del pacifismo con un po’ di verde in mezzo.

Naturalmente, dopo che la trattativa con Veltroni è fallita (almeno finora; vedremo in seguito!), costoro si consolano affermando di rappresentare la vera sinistra, mentre il PD è ormai di centro;
ed infatti quest’ultimo ha stilato un accordo con i giustizialisti (destrorsi) di Di Pietro.
Si dà però il caso che gli «arcobalenisti» abbiano fatto di tutto pur di convincere il «centrista»
ex sindaco «de Roma» ad accettarli e a garantire loro una bella quota di parlamentari; adesso rischiano di passare dai 150 che avevano a, si e no, una cinquantina (pensate che dramma! Uno su tre potrebbe perdere il suo bel posto al calduccio).
Comunque, mancano due mesi alle elezioni, e credo che assisteremo ancora a spettacolini divertenti ed edificanti.

Questi dirigenti «sinistri» sono tutto salvo che convinti delle idee che fingono di professare; sono una massa di scansafatiche che non sanno più quale altro lavoro andare a fare, così come tutta una serie di loro manutengoli, parte non indifferente delle loro cordate, con tanti bei posti nei vari ministeri, nonché negli enti locali, in quelli previdenziali, nelle imprese pubbliche, in quelle municipalizzate, nell’apparato sanitario ecc., ecc.
Perfino in organismi bancari veniva dato loro qualche cadreghino, essendo questi «sinistri» fondamentali per non staccare il tubo d’ossigeno al governo Prodi.

Adesso, se per caso il PD manterrà salda la sua impostazione odierna (si può nutrire qualche dubbio in proposito), poveretti loro; cosa mai faranno, disabituati a qualsiasi lavoro serio, malgrado
si dichiarino con infinita prosopopea i migliori rappresentanti della «Classe Lavoratrice»?
Speriamo vengano mandati via dai loro posticini di «fancazzisti» e siano ridotti a «chiedere l’elemosina».
Sarebbe la giusta fine per questi meschinelli, che hanno cianciato - e alcuni continueranno a cianciare, «impuniti» come sono - di «comunismo» (lo ripeto: nemmeno si tratta più di piciismo,
che era solo l’iniziale degradazione, ancora almeno farsesca, del comunismo, un grande e nobile processo tragico).
Speriamo si sia però alla fine.

Ormai resta solo l’Italia, questo «pauvre pays» mai normale, in cui possono allignare questi «giocatori delle tre carte», questi autentici «saltimbanchi», degenerazione ultima di una grande tradizione nostrana: quella della «commedia dell’arte».
Chissà che sia presto acceso un grande falò per bruciarvi gli ultimi rifiuti di un movimento,
che ha cambiato la storia del mondo e meritava una fine più degna, non così oscenamente stiracchiata; d’altronde, quando la si fa troppo lunga, questo è quanto accade.
Voltiamo presto pagina, senza attardarci a discutere di ancora più scipiti surrogati, che alcuni cervelli, ormai bacati dalle delusioni e dai fallimenti, ci vorrebbero ammannire.
Stiamo saldamente dentro la modernizzazione e lo sviluppo; e su questa base confrontiamoci,
e scontriamoci, con le forze che ne fanno la leva di più ampie diseguaglianze sociali e, soprattutto, di asservimento ad interessi altrui (in particolare quelli degli Stati Uniti).

«Quelli del blog» (almeno credo di poter parlare per quasi tutti) non voterebbero mai la destra, per ragioni che hanno una lunga storia.
Votare per questa sinistra - che si sostenga moderata o radicale fa veramente parte di una sceneggiata ormai stucchevole - sarebbe accodarsi agli opportunisti del PD e della sinistra «pluricolorata» o a gente in buona fede ma stanca di pensare, piena di livori e amarezze
(e di nostalgie comprensibili ma inutili).
Questo il senso dell’astensione.
Certamente non è una scelta per qualcosa, ma contro l’esistente odierno.
Non è che in «quattro gatti» possiamo fare altro e inventarci un’alternativa alla catastrofe prodotta da questa sinistra infame.
Chi sa leggere, capisce però che «qualcosa» indichiamo pure noi; non ci disinteressiamo
della critica di questo esistente!
Per il momento proponiamo il rifiuto di farci trascinare dalla corrente degli imbonitori o da quella dei senza più cervello né volontà.

Non stiamo però immobili, «seduti sulla riva del fiume»; alcuni (ancora pochi, d’accordo) se ne sono accorti, altri schizzano solo veleno perché sentono che, comunque vadano le cose, il loro tempo è finito, sono degli zombies.
Non ci faremo afferrare da loro, siamo per la vita (non quella che piace a Giuliano Ferrara, ovviamente).

Professor Gianfranco La Grassa
www.lagrassagianfranco.com


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