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La capovolta teologia dei progressisti
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La riforma luterana, madre delle filosofiche rivoluzioni e causa dei deragliamenti teologici

L’indirizzo del pio storicismo, propriamente detto cronolatria, «infezione antropologica, che sta guastando la teologia contemporanea» (1), è svelato da una squillante sentenza: «Veritas, sive philosophica, sive theologica, est filia temporis».

Il teologo unto dallo storicismo immagina che la verità dimori nei pensieri in forsennata corsa nel tempo, dunque stabilisce l’obbligo d’inseguire e di venerare la perpetua metamorfosi delle parole inchiostrate dal giornalismo o gridate dal teatro e dalla televisione.

Il conformismo trasforma il teologo nell'uomo del giornale, che segue specularmente «i rumori del giorno amputandosi dal passato, dai ricordi significativi sia personali che sociali, e un uomo separato dal suo passato , un uomo che non ha più ricordi, è la preda più facile ed ambita di ogni totalitarismo» (2).

Nella cronolatria Gilbert Chesterton vide la presenza dell’umorismo involontario/oggettivo: la figura dell’uomo obbediente al mito scientista, Gabriel Syme, che versa lacrime d’orgoglio illuminato, venerando, nell’orario delle ferrovie britanniche, l’epifania del progresso realizzato da ingegneri cosmocratici.

L’incenso bruciato dai teologi conformisti e festanti in figura di treno inglese ansimante nel circolo ermeneutico della soggettività, avvolge e profuma il qualunque pensiero inteso alla ricerca dell’effimero teletrasmesso o sdrucciolante sulla carta stampata.

Ora la breccia, attraverso cui lo storicismo penetra nella Casa di Dio, è stata aperta dalla suggestione luterana, radice di tutti gli errori giornalistici e di tutti i fumi, che hanno infestato l’età delle rivoluzioni sanguinarie, prima di salire sul trenino dei cattolici giunti in ritardo all’appuntamento con l’ombra dell’apostasia.

Secondo l’autorevole opinione di padre Cornelio Fabro, le paradossali alterazioni, le impetuose banalizzazioni, le ingiustificate e incaute modernizzazioni/contaminazioni della fede e della liturgia cattolica postconciliare, sono causate «dall’adattamento alla dottrina e alla prassi della Riforma, ai contenuti e alle forme protestanti. La leva delle aspirazioni protestantizzanti è il cosiddetto ecumenismo cattolico, proclamato dal Concilio Vaticano II. Infatti i suoi influssi minacciano.. la Chiesa con la perdita della sua identità» (3).

A questo punto occorre chiarire che l’accusa indirizzata da Fabro contro gli influssi del falso ecumenismo, non riguarda il Vaticano II, Concilio che fu rispettoso del metodo tradizionale («il Vaticano II ha stabilito che nella teologia dogmatica bisogna mantenere il deposito delle verità della fede e cercare di aggiornare il modo di esporle») (4), ma l’insorgenza di una teologia, che ha adottato, sic et sempliciter, il metodo dell’immanenza: «La obliterazione della distinzione metafisica, cioè assoluta e divisiva (che non è separazione manichea di due mondi incomunicabili o frattura kantiana tra fenomeno e noumeno) del mondo della natura da quello della grazia, della sfera della ragione da quella della fede» (5).

Di conseguenza la necessaria interpretazione/correzione dei documenti del Vaticano II (avviata con illuminato/equilibrato coraggio da Brunero Gherardini e continuata da Benedetto XVI) non può essere perfezionata senza la preventiva e puntuale confutazione e senza il drastico rifiuto dei concetti sgangherati e dei filosofemi eiettati dalla tradizione luterana/kantiana/hegeliana/heideggeriana.

Occorre riconoscere onestamente che dalla Germania luterana discendono gli errori che inquinano/infettano la teologia progressista e destano le incubose suggestioni, che turbano vescovi, parroci, monaci, parrocchiani e soci dei movimenti impulsivi e delle avventizie/intrepide comunelle.

Il problema nascosto tra le spine della baldoria ecumenica e del delirio pastorale «è come possibile fare ancora una teologia senza metafisica, senza una nozione assoluta di verità dell’essere, su cui soltanto può essere fondata una prova consistente che Dio esiste» (6).

In ultima analisi si tratta di gettare a mare la zavorra luterana, ovvero i pensieri eterodossi imbarcati sulla nave di San Pietro dalla superficialità di teologi e prelati scossi dalla paura di essere estranei alla chiacchiera trionfante nella scolastica anticattolica e all’applaudito fruscio della setta neomodernista.

Se il nome della malessere è teologia secolarizzata è necessario riconoscere che «la secolarizzazione è la conseguenza inevitabile dell’opposizione-repulsione di fede e ragione, di natura e grazia affermata da Lutero come essenza del suo distacco dalla tradizione cattolica» (7).

Di seguito Fabro dimostra «l’ultima coesione che si è venuta attuando fra protestantesimo e filosofia moderna è indiscutibile. È stata citata la dichiarazione di Hegel nella Vorrende alla filosofia del diritto in cui dichiara di voler portare a termine l’opera iniziata da Luter(8).

Hegel, vertice speculativo della modernità e padre delle sciagure rivoluzionarie/totalitarie dei secoli sterminati, non l’esploratore di una nuova terra filosofica, ma l’organo del visionarismo, che rovescia/rivoluziona il continente del misticismo cristiano: «L’idealismo ha assunto la mistica (di Meister Eckhart) per svuotarla del suo fondo stesso capovolgendone l’asse intenzionale, ossia l’ha dissolta dall’interno della coscienza con termini tecnici, l’ha secolarizzata» (9).

Istruito dai segnavia luterani/kantiani/hegeliani, l’ecumenismo dei teologi aderisce al trascendentale moderno e al suo seguito scende nel labirinto delle chimere,  agenti nella formula della capitolazione modernista/buonista: «Se vogliamo rendere Cristo accessibile all’uomo di oggi dobbiamo vivere e pensare le verità e le esigenze del cristianesimo dall’interno del pensiero e delle istanze del mondo d’oggi» (10).

Il progressismo teologizzante affonda in un giro vizioso e perciò pone l’esigenza di un ritorno al tomismo essenziale, inteso quale efficace antidoto ai veleni secreti dal luteranesimo e dalle sue filosofiche metastasi.

Distintivo del primato intellettuale del cattolicesimo e somma gloria italiana, la filosofia di San Tommaso d’Aquino contempla la solidarietà di fede e ragione, l’unica alternativa al nichilismo babilonese incubante nel pensiero luterano.

Piero Vassallo





1
)  Cornelio Fabro, «L’avventura della teologia progressista», Rusconi, Milano, 1974, pagina 129.
2) Emanuele Samek Ludovici, «Metamorfosi della gnosi», Ares, Milano 1991, pag. 127.
3)  Cornelio Fabro, «L’avventura della teologia progressista», opera citata, pagina 291.
4
Cornelio Fabro, «L’avventura della teologia progressista», opera citata, pagina 33. In questo (e non solo in questo) il giudizio di Fabro è in sintonia con il giudizio di padre Giovanni Cavalcoli o.p..
5
Cornelio Fabro, «L’avventura della teologia progressista», opera citata, pagina 108.
6
Cornelio Fabro, «L’avventura della teologia progressista», opera citata, pagina 32.
7)  Cornelio Fabro, «L’avventura della teologia progressista», opera citata, pagina 80.
8 Cornelio Fabro, «L’avventura della teologia progressista», opera citata, pagina 89.
9)  Cornelio Fabro, «L’avventura della teologia progressista», opera citata, pagina 85.
1o Cornelio Fabro, «L’avventura della teologia progressista», opera citata, pagina 95.

 

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