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Colpo grosso dei Baathisti
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IRAQ: Sembrava il colpo di genio del generale Petraeus: arruolare migliaia di sunniti iracheni per combattere «Al Qaeda in Iraq», ossia la legione straniera di fanatici stranieri che s’è introdotta in Iraq per (sembra) stabilirvi uno Stato islamista.
«Al Qaeda» aveva finito assai presto per scontrarsi con la gente del triangolo sunnita, per lo più baathisti, seguaci di Saddam, ex militari dell’esercito iracheno; conflitti tra i due gruppi erano avvenuti spontaneamente.

Gli americani avevano colto l’idea: la creazione di «Awakening Councils» in cui i sunniti, armati, addestrati e pagati da Zio Sam, avrebbero dato una mano a controllare quegli islamisti.
Grosso successo.
Forse troppo.
Al punto che i comandi USA si chiedono adesso se gli «Awakening Councils» (Sahwa in arabo) non siano diventati una copertura degli irriducibili «insorgenti» sunniti, che continuano a combattere gli occupanti americani, loro «alleati» teorici.

Dopotutto, l’insorgenza sunnita riesce ancora a mettere a segno 700 attentati al mese con ordigni improvvisati a lato strada (improvised explosive devices) che rendono difficile il passaggio degli automezzi USA.
Che siano gli stessi «alleati» a mettere gli ordigni?

Lo rivela l’ottimo inviato Gareth Porter (1).
Da mesi il primo ministro (sciita) Nuri al-Maliki sostiene che gli «Awakening Councils» sono stati «infiltrati da Baathisti».
La voce ha preso corpo.
Ancora il 17 febbraio scorso il vice-ammiraglio Gregory Smith, durante la conferenza-stampa rituale, ha smentito che le unità «Awakening» fossero infiltrate, anche se ha ammesso che «estremisti» abbiano potuto infiltrare i gruppi «individualmente».
Un bell’esempio di understatement.
Il Sahwa di Anbar è rafforzato da ben 13 mila combattenti che obbediscono ad Abu Marouf, noto localmente come un comandante di un’organizzazione guerrigliera anti-americana chiamata «Brigate Rivoluzionarie 1920».
Ora questi uomini combattono contro l’entità detta Al Qaeda a fianco degli americani.

Ma nel marzo del 2007, le «Brigate Rivoluzionarie 1920» hanno annunciato la formazione di due gruppi distinti, uno dei quali, significativamente, si chiama «Hamas iracheno».
Questo Hamas iracheno è confluito in un «consiglio politico della resistenza irachena» formatosi ad ottobre 2007, tra varie organizzazioni sunnite che si battono in armi contro l’occupazione USA.
Le «Brigate Rivoluzionarie 1920» non partecipano a questo consiglio politico.
Ma è difficile capire, almeno per gli americani, se gli uomini dell’uno non siano gli stessi uomini che combattono al loro fianco contro Al Qaeda.

Stessa cosa nel distretto di Amiriya a Baghdad.
Là l’ordine armato è mantenuto da una milizia, finanziata dagli USA, comandata da Abu Abed, già capitano dell’esercito di Saddam, che prima guidava un noto gruppo di resistenza anti-USA, l’Armata Islamica dell’Iraq.
Il capitano Abu Abed sostiene che i suoi uomini, cooperanti con gli americani, vengono per lo più da questo gruppo e dalle Brigate 1920.
L'Armata Islamica dell’Iraq lo nega ed ha, per così dire, ripudiato il capitano; almeno pubblicamente.
Sotto sotto, è un’altra cosa.

Il 13 febbraio scorso una squadra di Marines ha condotto un’offensiva nell’area occidentale di Kirkuk, uccidendo sei partigiani e catturandone una quindicina.
La locale Sahwa collaborazionista ha protestato: gli uccisi e alcuni dei catturati sono uomini nostri, ossia vostri «alleati».
Uno dei catturati era addirittura il capo della locale kabila Baghwazi nonché il comandante della forza della Sahwa, 700 uomini.
La linea di demarcazione tra collaborazionisti e resistenti si fa alquanto sfumata.

Il colonnello Martin Stanton, che dirige le operazioni di «riconciliazione» del Multinationl Corps-Iraq, ha riconosciuto in un’intervista al New York Times quanto segue: questi resistenti sunniti erano alle prese contemporaneamente con «Al Qaeda» e le truppe USA.
Per loro, confluire negli Awakening Council è stata «una scelta probabilmente sgradevole», ma
«di sopravvivenza»; ciò non toglie che «ci abbiano considerato invasori, e continuino a considerarci tali».
Farsi arruolare nella Sahwa più vicina presenta per questi uomini notevoli vantaggi.

Da una parte la loro cooperazione ha alleggerito la pressione degli occupanti sulle loro famiglie e sulla stessa resistenza sunnita; dall’altra, ha isolato e ridotto a quasi nulla i jhadisti stranieri
(«Al Qaeda»), di cui i saddamiti sono nemici giurati.

Terzo, la copertura della Sahwa dà loro una quasi-legittimità politica, anche e soprattutto il governo collaborazionista dell’Iraq, massicciamente sciita ossia (per i sunniti e i Tikriti in blocco) «quinta colonna dell’Iran», il nemico storico.
A febbraio due donne sunnite sono state violentate ed uccise da miliziani apparentemente sciiti a Bakiba; centinaia di armati della Sahwa, che sono sostanzialmente elementi delle Brigate 1920, hanno dimostrato in piazza esigendo - e ottenendo come «collaborazionisti» fedeli - le dimissioni del locale capo della polizia, sciita.

Quarto e non trascurabile vantaggio: i sunniti, minoranza ferocemente combattuta dagli occupanti (ricordate Falluja), oggi sono armati e finanziati dagli americani stessi; il che li mette in una migliore posizione militare verso la maggioranza sciita.
Secondo il tenente colonnello Douglas McGregor, oggi diventato alto analista dello Straus Military Reform Project, sospetta che la partecipazione dei sunniti alle Sahwa sia parte di una strategia che definisce «combatti-tratta-sovverti-combatti».

Guerra simmetrica che più non si può.
Dove gli americani si pagano il nemico, anzi l’alleato.




1) Gareth Porter, «Sunnis make merry on US’s dime», Asia Times, 5 marzo 2008.



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