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San Giuseppe da Copertino
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Il santo volante, protettore degli studenti

Il 18 settembre di quest’anno ricorrono i 350 anni della morte di questo Santo pugliese, anche lui, come tanti altri, di cui ho scritto la biografia, quasi sconosciuto. Un altro piccolo tesoro dello spirito che adorna il Paradiso e sicuramente impreziosisce la storia della Chiesa Cattolica.

In questo stesso anno in cui il nuovo Papa ha voluto scegliere il nome di Francesco, il capostipite di tanti Santi e Sante, come suo nome da Pontefice della Chiesa di Roma, parlare di Santi Francescani è sicuramente un essere in sintonia con lui.

Mi piace poter raccontare la sua storia semplice, ma totalmente ed assolutamente dedicata a quel Dio Santo e Misericordioso che Papa Bergoglio, in tutte le sue omelie, ci rammenta, con giusta insistenza, esserci così vicino.

Se mi permettete una piccola licenza, voglio dedicare questo articolo all’amico Luigi Copertino, che del Santo porta il cognome, il quale, con coraggio, passione umana e civile, scrive su questo giornale articoli e post sempre vivi ed frizzantissimi.

Anche Fra Giuseppe da Copertino, come il suo confratello spagnolo San Salvatore de Horta (1520-1557), creava un sacco di problemi ai suoi confratelli. San Salvatore a causa dei continui prodigi che operava, San Giuseppe a causa delle sue levitazioni da terra e le sue continue estasi.

Giuseppe Maria Desa, così si chiamava, nacque, in una stalla, il 17 giugno del 1603 a Copertino paese tra Brindisi ed Otranto, terra di 800 martiri cristiani uccisi dai turchi, in provincia di Lecce, da Felice Desa e Franceschina Caputo. Già qui i segni della Provvidenza sono più che trasparenti: nasce come Gesù in una stalla e la madre si chiamava Franceschina, come il Santo patrono d’Italia!

Il padre era un valente artigiano, maestro nella costruzione di carri e, per questo, era persona di fiducia dei signori locali. Aveva sposato Franceschina donna industriosa, molto devota e pia, che, essendo di famiglia benestante, aveva portato al marito una discreta dote in ducati sonanti; la famiglia godeva, quindi, di soddisfacenti condizioni economiche.

Ma come spesso succedeva e purtroppo ancora, drammaticamente, succede, il padre fece da garante ad un amico per un affare rilevante di mille ducati. L’amico fallì e lui si ritrovò denunciato, dovette vendere la casa, perse il lavoro e finì in miseria mettendo la famiglia sul lastrico. Proprio mentre stava per nascere il loro sesto figlio, i suoi andarono ad abitare in una stalla, dove poi venne alla luce il piccolo Giuseppe Maria. Il padre Felice, comunque poco dopo il parto, non resse al dispiacere di aver perduto tutto e morì lasciando la vedova in una condizione estremamente precaria ed incerta con il grande onere di crescere sei bambini.

La miseria del resto imperversava nel Salento anche, perché la popolazione era vessata dalle tasse più assurde: pensate che i poveri contadini, dovevano pagare 5 grana per ogni albero che avevano in quanto esso faceva ombra sul terreno! Speriamo che il professo Monti, o il prossimo Presidente del Consiglio non legga mai questo articolo e non sia tentato di mettere sulle nostre spalle anche questo balzello.

La povera vedova ed i suoi figli vissero anni durissimi, a questo si aggiunse che nella fanciullezza Giuseppe fu malato per lungo tempo, lo portarono allora, come era consuetudine spinti dalla Fede in Dio che tutto può, al santuario della Madonna delle Grazie di Galatone, vicino a Lecce, e qui il bambino fu miracolosamente guarito.

Ma evidentemente Dio aveva per lui un progetto chiaro e ben definito: aveva soltanto otto anni quando ebbe la sua prima visione mentre era a scuola e la cosa non restò isolata, ma si ripeté per ben tre volte in tempi successivi. Era anche molto lento e distratto, girovagava senza meta. Non riusciva a raccontare una storia sino alla fine e spesso s'interrompeva nel mezzo di una frase, perché non trovava le parole giuste per finirla. In paese lo chiamavano "Boccaperta" appunto per questo suo modo di essere. Forse anche questo era un altro segno del Cielo: altri Santi come San Giovanni Maria Vianney, o Masimino uno dei bambini delle apparizioni di La Salette, oppure lo stesso Francesco, di quelle di Fatima, non sembravano particolarmente svegli, ma nonostante tutto divennero dei giganti nel mondo dello spirito.

Non era assolutamente adatto per lo studio e non riuscì ad imparare né il mestiere del carpentiere, né tanto meno quello dello «scarparo»; alla fine iniziò a fare il garzone in un negozio dove, nel retrobottega, stava sistemato meglio di quanto lo fosse il resto della sua famiglia nella piccola stalla, adattata ad abitazione umana.

Per di più il suo destino sembrava non lasciargli delle minime aspettativa di vita tranquilla: il creditore del padre aveva ottenuto dal Supremo Tribunale di Napoli, che Giuseppe unico figlio maschio di Felice e Franceschina, una volta raggiunta la maggiore età, fosse obbligato a lavorare senza paga, fino a saldare il debito del defunto genitore. Lo aspettava, inesorabilmente, una vita senza speranza, una condizione di quasi schiavitù; l’unico modo per sfuggire a questa desolante prospettiva e liberarsi da questo disumano destino era, per lui, quella di farsi sacerdote o frate. Ma per fare il sacerdote doveva avere una base di cultura che egli assolutamente non solo non aveva, ma non era capace di apprendere.

Intanto aveva ricominciato a frequentare la scuola ma fu costretto ad abbandonarla in quanto fu colpito da un’ulcera cancerosa che si portò dietro, con grande sofferenza, per alcuni anni: un giorno passò di lì un eremita il quale gli fece dei massaggi con dell’olio e la malattia scomparve del tutto.

Poteva sperare di farsi frate tanto più che aveva due zii tra i Francescani. A 17 anni, siamo nel 1620, lasciò la madre e bussò alla porta dei Frati Francescani Conventuali, del convento detto della Grottella a due passi da Copertino, dove un suo zio era stato padre Guardiano, ma dopo un periodo di prova a causa della «sua poca letteratura, per semplicità ed ignoranza» fu rispedito a casa e ritenuto non idoneo.

Ma su di lui incombeva sempre l’ombra del destino di schiavitù che il creditore del padre era riuscito ad ottenere per sentenza del Tribunale di Napoli. Passò allora dai Francescani Riformati, ma anche questi dopo un po’ lo rifiutarono. Si diresse allora dai Cappuccini di Martina Franca, era il 15 agosto 1620, allora i Francescani erano esigenti in fatto di cultura essendo un Ordine di predicatori e evangelizzatori. Vi restò soltanto otto mesi, ma per la sua inettitudine procurava continui disastri, aggravati da improvvise estasi durante le quali lasciava cadere piatti e scodelle, i cui cocci venivano attaccati alle sue vesti in segno di penitenza.

Nel marzo 1621 fu rimandato a casa, sostenendo che non era adatto né alla vita spirituale e nemmeno ai lavori manuali. Dimostrava una incapacità naturale e una preoccupazione soprannaturale, ma mentre la prima era evidente, la seconda sfuggiva a tutti. Uscito dal convento rivestito con pochi stracci, perché aveva perso una parte del suo abito da laico, fu scambiato per un poco di buono, assalito dai cani posti a guardia di una stalla e quasi bastonato dai pastori. Fu addirittura respinto dallo zio paterno e la madre stessa lo maltrattò, rimproverandogli di essersi fatto cacciare dal convento e che per lui non c’era posto in famiglia. Era davvero l’ultimo degli ultimi!

Gli venne in aiuto uno zio materno, Giovanni Donato Caputo il quale parlò a lungo con i Padri Conventuali della Grottella ai quali fece presente la sua situazione particolare, affinché potesse sottrarsi al destino di diventare schiavo a vita a causa dei debiti del padre. I Frati non si dimostrarono insensibili e presero a cuore la sua situazione davvero drammatica: fu accettato prima come oblato, poi come terziario ed infine come fratello laico, era il 1625 e Giuseppe aveva 22 anni.

Gli fecero fare i lavori più pesanti ed umili, come per esempio accudire la mula, ma il ragazzo non si lamentò mai e svolse il compito con entusiasmo e diligenza; ben presto manifestò intensamente il desiderio di diventare sacerdote: sapeva soltanto leggere e scrivere, ma preso da questo fortissimo desiderio interno, riprese gli studi con molta buona volontà, ma anche con grandi difficoltà. Qui, però, la volontà divina si manifestò ancora una volta in maniera palese: Giuseppe non sapeva spiegare bene il Vangelo dell’anno liturgico, riusciva soltanto a spiegare con proprietà un solo brano, per tutto il resto le sue innate difficoltà lo bloccavano.

Ebbene quando si presentò davanti al vescovo per sostenere l’esame per il diaconato, l’alto prelato aprì a caso il Vangelo e gli chiese di commentare il versetto che diceva: «Benedetto il grembo che ti ha portato» che era l’unico brano che riusciva a spiegare bene ed in cui riusciva ad esprimersi con proprietà di linguaggio e persuasività.

Il 4 marzo 1628, erano trascorsi i tre anni che erano necessari alla preparazione al sacerdozio, doveva sostenere l’esame più difficile e Giuseppe aveva sempre le stesse lacune e le stesse difficoltà di apprendimento, ma non gli mancava l’aiuto del Cielo; si presentò per essere esaminato dal vescovo, insieme ad altri aspiranti tutti preparatissimi.

Il vescovo cominciò ad esaminare i primi ed arrivato a quel punto trovandoli tutti estremamente preparati e bravissimi, decise di non continuare l’esame e di promuoverli tutti: Giuseppe compreso, diventò quindi sacerdote con una bella dose di fortuna, ma soprattutto, perché la Divina Provvidenza aveva steso, su di lui la sua potente mano. Proprio grazie a questo episodio diventerà il protettore degli studenti: a cui soprattutto gli esaminandi dovrebbero ricorrere per avere la sua potente intercessione.

Anche in questi tempi di mancanza di fede, o peggio di indifferenza alle cose di Dio c’è ancora chi lo fa e con Fede: nella Chiesa di San Francesco di Ascoli Piceno c’è una piccola nicchia all’interno della quale c’è un affresco rappresentante San Giuseppe da Copertino: prima dell’inizio delle lezioni, o in tempo di esami di maturità, parecchi sono i giovani che si inginocchiano davanti alla nicchia recitando la preghiera dello studente. Spesso vedo anche molti genitori o nonni che davanti a quell’icona recitano la preghiera dei genitori per la riuscita degli studi dei propri figli. Confesso, con gioia, di averlo fatto anche io, spesso per le mie due figlie e vi posso assicurare che i risultati sono stati sempre positivi.

Quindi per la seconda volta la volontà di Dio si manifestò prepotentemente e Fra Giuseppe coronò il sogno di diventare sacerdote: candidamente si definiva «Fratel Asino» per la sua innata incapacità di essere diplomatico, di non saper trattare gli altri a dovere, per non essere in grado di fare un ragionamento coerente e di essere molto maldestro nel maneggiare le cose e gli oggetti. Nonostante tutto era dotato di quella francescana semplicità e di quella profondissima Fede che da essa derivano e spessissimo gli successe di dover parlare con persone molto più acculturate e profonde di lui, ma sempre lasciò negli interlocutori quel seme di riflessione seminando una teologia lineare, semplice ed efficace.

Tra questi c’era anche San Bonaventura da Roma un confratello francescano grande professore e studioso di teologia, il quale dopo aver parlato a lungo con lui disse:

«L’ho sentito parlare così profondamente dei misteri di teologia, che non lo potrebbero fare i migliori teologi del mondo».

Un’altra volta ad un altro professore francescano che gli chiedeva come fosse possibile conciliare lo studio e la cultura con la semplicità che San Francesco aveva sempre raccomandato si sentì rispondere:

«Quando ti metti a studiare o a scrivere ripeti: Signor, tu lo Spirito sei / et io la tromba. / Ma senza il fiato tuo / nulla rimbomba»

lasciandolo letteralmente di sasso. Nonostante si definisse «Il frate più ignorante dell’Ordine Francescano» la Divina Provvidenza gli aveva fatto il grande dono della scienza infusa e nel solco della Regola del suo Ordine, amava con tutto se stesso i poveri, non si tirava mai indietro quando si doveva alzare la voce contro le ingiustizie e gli abusi dei potenti ed alla normale attività di sacerdote, alternava con gioia i lavori manuali più umili: regolarmente aiutava il cuoco, puliva il convento, coltivava l’orto ed usciva con il sorriso e l’umiltà per la questua ed, amabile come era sempre stato, sapeva essere sapiente ed accorto nel dare consigli; tutti si rivolgevano a lui sia all’interno del suo Ordine, come abbiamo visto, ma anche fuori da esso sia tra il clero che tra i laici e tutti sempre trovavano attenzione, comprensione ed una parola di sapienza e di speranza.

Anche per lui come per tanti santi e mistici arrivò un periodo di aridità spirituale che durò un paio d’anni e che per tutti è la prova più difficile da affrontare e da superare, ma sicuramente è uno dei segni che Dio manda per rafforzare e far crescere i propri prescelti sulla scala dell’ascesi e della santità.

Il Santo volante

Terminato questo «buco nero» a Fra Giuseppe cominciarono ad accentuarsi i fenomeni delle estasi accompagnate sempre da improvvise lievitazioni. Spesso andando in estasi, cominciava a parlare con Dio: in questo frangente restava immobile come una statua, insensibile e rigido come se fosse di pietra e niente e nessuno lo muoveva da questo suo stato. Qualunque cosa si riferisse a Dio lo poneva immediatamente in uno stato di contemplazione e ciò avveniva più di frequente quando vedeva un dipinto a soggetto religioso, o semplicemente per aver sentito i rintocchi di una campana oppure il melodioso suono di una musica sacra, oppure qualcuno che pronunciava il nome di Gesù, o della Santa Vergine Maria, o semplicemente di un Santo. I suoi confratelli talvolta tentarono di svegliarlo e riportarlo alla realtà pungendolo con degli spilloni, o bruciandolo con dei tizzoni ardenti, ma lui restava completamente insensibile e perseverava nel suo stato di trans. Si sollevava dal suolo e rimaneva sospeso librandosi nell’aria: se era in chiesa volava verso il tabernacolo o anche sopra l’altare.

Per ben settanta volte fu visto lievitare mentre celebrava la messa o mentre pregava. Fu anche visto, durante una di queste estasi, da Papa Urbano VIII il quale, davvero impressionato, arrivò a dire che se Fra Giuseppe fosse morto prima di lui avrebbe testimoniato quello che aveva visto e di cui era stato spettatore. Spesso pregava davanti ad una statua posta nel giardino del convento ed i frati lo vedevano all’improvviso staccarsi dal suolo rimanendo tuttavia inginocchiato.

Un giorno durante uno di questi ricorrenti fenomeni, volando, si andò a posare sopra un ulivo dove rimase per più di mezzora cioè fino a quando l’estasi terminò. Si librava nell’aria come un uccello ed ancora oggi certi determinati fenomeni non sono spiegabili scientificamente né è possibile catalogarli come parapsicologici oppure di natura mistica, aldilà di tutto questi erano più che reali ed avvenivano sempre in presenza di numerose persone

Ma non era né uno stregone né un ciarlatano e di certo non sceglieva lui il momento in cui questi dovessero verificarsi, era un uomo di Dio ed operava prodigi rivelandosi quasi sempre ai più umili. La voce della sua santità si sparse ed una folla incessante si presentava al convento per chiedergli aiuto e consiglio: riuscì a convertire tante persone riportandole sulla retta via ed a vivere una vita veramente cristiana. Toccava gli occhi e la persona riaveva la vista, prendeva in braccio un bambino malato e questi guariva subitamente. Un giorno trascrisse la preghiera di benedizione di San Francesco d’Assisi e la fece circolare compiendo meraviglie incredibili tra guarigioni e conversioni alla fede.

Aveva anche un altro grande dono quello di leggere nelle menti delle persone e talvolta apprendeva molto di più di quello che esse avrebbero voluto che sapesse. Una mattina entrando in chiesa per celebrare la Santa Messa, all’improvviso annunciò la morte del Papa, ciò avvenne sia per la morte di Urbano VIII che per quella di Innocenzo X.

L’Inquisizione

Era ovvio che Fra Giuseppe costituisse un problema per i suoi superiori ed anche per i confratelli. Alcuni di essi non credevano assolutamente in queste cose; e poi lui, così poco colto, così poco strutturato per la santità non sembrava, assolutamente il tipo di persona a cui potessero accadere simili cose... anzi, era l’esatto contrario e costituiva un grave problema per la comunità sia ecclesiastica che dei fedeli; ergo, non poteva essere che un impostore! E’ il tipo di logica ferrea scientista, razionalista e luciferina che acceca le menti e le concentra unicamente su un solo tipo di ragionamento: un classico.

Scrive E. Hello:

«Le incapacità di natura e gli assorbimenti soprannaturali gli creavano una vita prodigiosa che pareva ridicola ai mediocri di cui era circondato. Quelle intelligenze sveglie, ma volgari, gettavano chiaroveggenti sguardi sui difetti di Giuseppe, ma restavano cieche sulla sua grandezza. Questi due criteri, completandosi l’un l’altro, finirono per dichiararlo assolutamente insopportabile». E qualcuno arrabbiato per non aver scoperto il «trucco» (che c’era ma si vedeva solo con gli occhi della fede) e non trovando spiegazioni razionali gridò all’inganno.

Fu così che Padre Giuseppe ed i suoi voli furono denunciati al Sant’Uffizio.

L’accusa

«Millantata santità, cioè di operare per virtù diabolica e non per santità di vita».

Pesante come un macigno, per l’ingenuo e limpido francescano significava doversi sottoporre ad un altro esame, questo davvero ancora più complicato, come tutti e come sempre, ma trattandosi di dover comparire davanti a degli inflessibili e dotti guardiani dell’ortodossia, la cosa era davvero improba. Avrebbe superato anche questo tornante così impegnativo e davvero oscuro?

Ancora una volta i conti erano stati fatti senza la Divina Provvidenza che aveva sì permesso tutto ciò, ma che alla fine si riserva sempre l’ultima parola: insomma un’altra prova per crescere sulla scala della Santità.

Il procedimento fu espedito davanti alla Inquisizione di Napoli dove fu per forza costretto a recarsi, nell'ottobre 1638, lasciò quindi il convento di Copertino, dove normalmente dimorava per non tornarci più e si trasferì nel monastero francescano conventuale San Lorenzo Maggiore e poi in quello di San Gregorio Armeno entrambi, ovviamente, a Napoli.

Come sempre avviene misteriosamente si sparse la voce che un Santo abitava lì ed una enorme folla di napoletani si accalcò intorno al convento, non si sa come certe cose succedano e chi divulghi le notizie, ma il tutto inserito nella trama della sua vita risulta essere un ulteriore ricamo della mano divina.
Ovviamente Fra Giuseppe aveva timore ad entrare nel Tribunale dell'Inquisizione, ma non gli mancò l’aiuto ed il conforto soprannaturale addirittura per lui si «scomodò» Sant’Antonio da Padova che gli apparve e lo incoraggiò. Fu interrogato, andò anche in estasi, rimanendo sospeso nell'aria: come dire adesso signori «dottoroni» e detrattori siete serviti: spiegate come ciò possa accadere! Ma quei monsignori, zelanti, precisi, quanto scettici e inquisitivi, alla fine si arresero all’evidenza. Quel frate tanto chiacchierato, aveva una dottrina limpida e ortodossa, era di una semplicità e umiltà tanto disarmante quanto evangelica. Di collusione poi col maligno e delle tecniche di volo truccato, umanamente non se ne riscontrava davvero nemmeno l’ombra.

Ci fecero su una bella risata, non era proprio il caso di perdere tempo ed energie dietro a dei fantasmi, c’era ben altro a cui pensare, quindi chiusero ed archiviarono il caso. Tuttavia, per essere più sicuri, lo mandarono a Roma, affinché il Ministro Generale dell'Ordine lo esaminasse anche lui ulteriormente.

Il Ministro si rese conto dell'umiltà di Giuseppe, cominciò a dubitare della veridicità delle accuse e lo portò dinanzi al Papa. Anche la Congregazione romana del Santo Uffizio, alla presenza del Papa Urbano VIII, lo assolse dall’accusa di abuso della credulità popolare

Quindi nulla fu provato contro Giuseppe, ma il Tribunale dell'Inquisizione decise ugualmente di tenerlo comunque sotto stretta sorveglianza. Fu mandato da un convento isolato all'altro, e trattato con il massimo rigore.

Dal 1639 al 1653 fu nel Sacro Convento di Assisi.Nel luglio 1653, fu improvvisamente trasferito nel solitario convento cappuccino di Pietrarubbia, vicino Pesaro, e poi da lì fu mandato in un altro «romitaggio ascondito», il monastero di Fossombrone, sempre in provincia di Pesaro, vicino alla Gola del Furlo, a ridosso dell’Appennino.

Non manca mai il lato comico, come in tutte le vicende umane: come definiva se stesso «Fratel Asino», in quanto aveva dimestichezza con gli animali con i quali conversava (come del resto faceva anche San Francesco spesso), così faceva anche con gli altri uomini con cui veniva a contatto ed, a seconda delle loro caratteristiche di vita, li identificava con l’animale che meglio li rappresentava.

Gli ultimi anni e la morte


Corpo di San Giuseppe nella cripta della Basilica omonima ad Osimo


Padre Giuseppe da Copertino, non sapeva e non chiese mai spiegazioni ai superiori sul perché fosse stato allontanato dai Conventuali ed assegnato ai Cappuccini, anche se una spiegazione logica potrebbe essere che questi erano i più rigidi ed ascetici frati dell’Ordine Francescano. Questo comunque non gli creò mai problemi e conservò sempre il suo naturale spirito gioioso e rassegnato confidando sempre con fiducia assoluta nella Divina Provvidenza.

Era sempre mantenuto nella più stretta clausura e gli era assolutamente impedito qualsiasi contatto con il modo esterno: non poteva ricevere nè comunicare nemmeno attraverso lettere.

Trascorse così gli ultimi scampoli della sua vita come se fosse un carcerato, assolutamente separato da quelle folle che tuttavia andavano a cercarlo; nonostante tutte queste accortezze era impossibile tenerlo nascosto a quei pellegrini che riuscivano, misteriosamente, a scoprire sempre i suoi nascondigli.

Il papa Alessandro VII il 10 luglio 1657, lo restituì alla fine, ai Confratelli Conventuali assegnandolo al convento di Osimo, cittadina che è giusto a metà strada tra Ancona ed una delle capitali mondiali della fede: Loreto, nella cui basilica è conservata la Santa Casa, che la tradizione vuole trasportata, la notte il 10 dicembre, dagli Angeli, dalla Terra Santa fino alle colline marchigiane.

Anche qui continuò ad avere estasi, sollevarsi da terra ed operare prodigi miracolosi; praticò penitenza e digiuno: ogni anno osservando 7 Quaresime di 40 giorni ognuna, durante le quali non prendeva cibo se non il mercoledì e la domenica.

Durante tutto l’arco della sua vita manifestò sempre una spiccata, personale ed originale devozione alla Madonna.

Ai pellegrini che andavano a venerare la Madonna della Grottella, dove iniziò il suo percorso spirituale, ammonendoli diceva loro:

«La Madonna non vuole né fiori né frutti, ma vuole i cuori».

Quindi non tanto omaggi esteriori, ma la conversione del cuore a Dio e al Vangelo, che doveva tradursi in una vita virtuosa e onesta. E contro il rischio che lui scorgeva di una devozione quasi esclusiva o esageratamente centrata sulla Vergine Maria, soleva ripetere:

«La Madonna va amata insieme al Figlio».

Ciò per ricordare che, la di Lei grandezza, sta proprio nel suo legame col Figlio che porta in braccio. In altre parole, che la Madonna trae il suo essere, la sua consistenza e grandezza nell’essere stata tutta relativa a Cristo.

Quando per gli eventi della vita, quasi si sentiva abbandonato alla volontà di Dio, o pativa duramente la segregazione e l’isolamento, a cui era costretto «per obbedienza», ripeteva:

«Vorrei tornare alla Madonna della Grottella, perché quella è la Mamma mia».

Di lui si tramanda anche questa preghiera di consacrazione o affidamento alla Madonna:

«Maria, io mi sono dato a te fin dalla nascita; durante tutti i giorni della mia vita mi sono fatto tuo servo e a te sola ho dato le chiavi dell’anima mia. Nell’ora della mia morte, mostrati vera Madre. Monstra te esse Matrem ... Nessuno dubiti di essere da te amato. Ognuno si accosti con fiducia al tuo trono di Madre sicuro che in te troverà salvezza».

Celebrò la sua ultima Messa il 15 agosto 1663 ed il 18 settembre spirò serenamente, come aveva sempre vissuto. Sparsasi la voce della sua morte, la gente accorse per poterlo vedere l’ultima volta e magari ritagliarsi un piccolo lembo della sua tonaca da conservare come reliquia: i confratelli furono costretti a nascondere il corpo per proteggerlo. Riposa, ad Osimo, nella cripta della Basilica a lui dedicata.

Il 24 febbraio 1753 fu beatificato da Benedetto XIV, mentre fu canonizzato il 16 luglio 1767 da Clemente XIII: il giorno della sua ricorrenza è il 18 settembre, data della sua morte.

Come abbiamo detto già San Giuseppe da Copertino è il protettore degli studenti, ma anche dei piloti e di chi viaggia in aereo.

La preghiera dello studente
O San Giuseppe da Copertino,
amico degli studenti e protettore degli esaminandi,
vengo ad implorare da te il tuo aiuto.
Tu sai, per tua personale esperienza,
quanta ansietà accompagni l'impegno dello studio e
degli esami e quanto facile sia il pericolo
dello smarrimento intellettuale e dello scoraggiamento.
Tu che fosti assistito prodigiosamente da Dio
negli studi e negli esami
per l'ammissione agli Ordini sacri,
chiedi al Signore
luce per la mia mente e forza per la mia volontà.
Tu che sperimentasti tanto concretamente
l'aiuto materno della Madonna,
Madre della speranza,
pregala per me,
perché possa superare facilmente
tutte le difficoltà negli studi e negli esami.
Amen.

Preghiera a San Giuseppe dello studente
Oh glorioso San Giuseppe accogli la mia preghiera di studente chiedo la tua intercessione presso Dio, perché riesca ad impegnarmi con diligenza ed il mio lavoro abbia un esito felice. Amen.

Preghiera a San Giuseppe del genitore
Oh glorioso San Giuseppe chiedo il tuo intervento presso Dio per mio figlio fa che egli studi con diligenza che il suo impegno ottenga risultati positivi e che egli cresca nell’amore di Dio. Amen.

Luciano Garofoli



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