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Al Sadr: non bandito, ma patriota
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IRAQ: Sui pesanti combattimenti di Bassora, i media ufficiali non hanno creduto di spiegarci le ragioni. Perché il registro fondamentale è: tutto ciò che avviene in Iraq, e nel mondo musulmano in genere (bombe, attentati, rivolte) non è che mostruosità, irrazionale sanguinaria follia che non ha bisogno di essere spiegata. In Iraq specialmente.

Sono manifestazioni di «odio inter-etrnico» o inter-religioso, sciiti contro sunniti che si sbudellano senza un vero perché. Sono «milizie» indeterminate e numerose, che si sparano per controllare quartieri o traffici di petrolio, mafie fanatizzate. A Bassora spadroneggia il «fanatico caporione sciita Muktada al-Sadr», e il governo legale di Baghdad ha mandato la polizia a ristabilire l’ordine contro i fuorilegge.

Questa narrativa non spiega perché il governo «legale» di Al Maliki, per stroncare dei fuorilegge, abbia dovuto mandare da 30 a 50 mila uomini; che non sono bastati, sicchè hanno dovuto intervenire gli americani con bombardamenti aerei e terrestri. Non spiega come mai i combattimenti si sono subito estesi a numerose città, da Kut a Karbala a Diwania, da Hilla a Nassiria, e sei città sono sotto coprifuoco. Come mai reparti della polizia «legale» sia siano rifiutati di battersi contro i mafiosi di Al Sadr, ed altri, trasportati da altre città, si siano tolti la divisa e siano passati con i mafiosi sanguinari (1), con le armi di dotazione (fornite dagli americani); come mai soprattutto siano avvenuti - e non rilevati dai media - episodi di disobbedienza civile, con negozi a saracinesche abbassate un po’ in tutto l’Iraq.

Non spiega come mai, se l’ordine era di stroncare «le milizie» (al plurale) che spadroneggiano in città, l’offensiva è stata diretta solo contro i sadristi e non, poniamo, contro il cosiddetto Supremo Consiglio Islamico dell’Iraq e alla sua Badr Brigade, gruppo che si oppone ai sadristi ma, come loro, traffica in petrolio per autofinanziarsi. E ovviamente non si spiega come mai il governo legale si sia trovato di fronte una resistenza così decisa e vasta, tanto che ha sostanzialmente perso la battaglia, fatto marcia indietro e accettato a tregua offerta dal «caporione sciita».
 
Ci sono «cinque cose da sapere per comprendere le ultime violenze in Iraq», hanno scritto due esperti del problema, Joshua Holland e Raush Jarrar (2); e a leggerli, finalmente si comincia a capire qualche perché.

Primo: ciò che i media chiamano «violenza settaria» è conflitto politico. Al Sadr ha chiamato i suoi uomini a scendere nelle strade chiedendo le dimissioni di Al Maliki, sciita, filo-iraniano, e primo ministro del governo «legale» (ossia fantoccio degli USA), dopo che il governo «legale» aveva emanato una «legge provinciale», che convoca elezioni per provincia in ottobre. Il risultato di quelle elezioni deciderà se l’Iraq resterà un paese unitario, sotto un forte governo centrale, oppure se si frammenterà in tre o più governicchi separati «su base etnico-religiosa», kurdi, sciiti e sunniti; e ovviamente, su chi controllerà il petrolio.

Lo smembramento è la soluzione preferita dagli occupanti USA (è infatti il progetto elaborato dalla rivista ebraica Kivunim ngli anni ‘90) che però lo lasciano attuare - ora che c’è la «democrazia» - ai loro fantocci nel Paese e nel governo. Le elezioni su base locale di ottobre darebbero ad Al Maliki e ai curdi il «mandato» (diciamo così) per dividere il Paese in una lasca confederazione, in realtà in tre-quattro regioni autonome su base religiosa o etnica; regioni dove sarà instaurato il «libero mercato», ossia la privatizzazione del settore petrolifero e di tutta l’economia, con molti «investimenti esteri» (delle compagnie anglo-americane), e gli occupanti sul suolo nazionale fino all’eternità, perché ora sarebbero divenuti «alleati», e la forza che sosterrebbe i governi «legali».

Insomma, non si tratta di «violenze settarie che travagliano il Paese», violenze che l’Iraq ha conosciuto realmente solo da quando è occupato dai liberatori, ma di un conflitto politico radicale sul futuro del Paese: che vede i fautori dello smembramento opposti ai nazionalisti iracheni, il cui programma è non solo un Iraq unitario, ma la statalizzazione del settore energetico e la cacciata degli americani.

Muktada al-Sadr è l’esponente più influente di questo nazionalismo. Il che stupirà chi è informato solo dai media ufficiali, ma non chi ricorda che Al-Sadr, benchè religioso sciita, si arruolò nell’armata di Saddam volontario, al momento dell’invasione USA. Insomma è quello che, se non fosse un musulmano (e dunque folle, mostro irrazionale), chiameremmo un patriota. Ma quanti sono i nazionalisti in Iraq? Sorpresa: nel parlamento iracheno, sono la maggioranza, mentre i separatisti sono minoranza.

Secondo: i combattimenti a Bassora sono contro un governo profondamente impopolare.
Un sondaggio condotto nel settembre 2007 ha rilevato che 65 iracheni su cento ritengono che il governo «legale» non funzioni; 66 su cento si sono dichiarati schifati da Al Maliki, la stessa percentuale con cui gli americani sono oggi schifati di Bush (3).

Secondo lo stesso sondaggio, gli iracheni sono largamente favorevoli a «un governo centrale forte» che sbandi le milizie; sono contrari, due su tre, alla privatizzazione dell’energia (petrolio); vedrebbero con sollievo gli americani andarsene quanto prima; e sono ostilissimi al fanatismo religioso di «Al Qaeda» (i cui oscuri guerriglieri islamisti, infatti, sono entrati nel Paese solo con l’occupazione USA). I risultati del sondaggio, insomma, ricalcano di fatto il programma di Moktada Al-Sadr, il patriota che chiamiamo bandito, «islamista radicale», «sciita fanatico».

Per contro, i cinque partiti separatisti (sciiti, sunniti e curdi) che costituiscono la coalizione del governo-fantoccio di Al Maliki, non hanno, tutti insieme, la maggioranza. Al Sadr, benchè abbia la sua feroce milizia armata (necessaria nell’Iraq liberato per tentar di fare una politica autonoma dai liberatori), è anche quello che ha più reclamato la fine delle violenze settarie. E’ anche quello che ha cercato di mettere insieme rappresentanti dei vari gruppi etnici e religiosi iracheni in un programma di riconciliazione nazionale, onde mantenere l’Iraq unito.
 
Terzo: l’esercito «regolare» è un coacervo di milizie.
La narrativa ufficiale ci parla delle «milizie di Al Sadr» che impegnano le «forze di sicurezza irachene». Le TV ci mostrano soldati in mimetica regolamentare contro selvaggi guerriglieri mascherati con passamontagna. Ma quelle mimetiche e uniformi non sono indossate da soldati regolari: sotto, ci sono i miliziani del partito Dawa, il partito di Al Maliki, sciiti e filo-iraniani, che Al Maliki ha arruolato nell’esercito «legale»; e insieme, ci sono feroci tagliagole della Brigata Badr, braccio armato del Supremo Consiglio Islamico dell’Iraq, che a Bassora si oppone a Sadr perché vuole, più o meno, l’annessione della regione meridionale all’Iran. Di fatto, a Bassora le «violenze settarie» sono in realtà il lungo braccio di ferro fra tre partiti armati: i sadristi, la Brigata Badr, e il partito Fadhila, che contro Sadr vuole una regione di Bassora autonoma, ma rifiuta il progetto del Consiglio Islamico, troppo iranofilo.
 
Quarto: l’attacco di Al Maliki ha uno scopo elettorale.
Nelle elezioni regionali di ottobre, è largamente previsto che – nel’area di Bassora - Al Sadr avrebbe una forte maggioranza, mentre i partiti separatisti (Dawa, Consiglio Islamico, eccetera) sanno che perderebbero nelle urne. L’attacco ordinato da Al Maliki contro i sadristi mirava insomma a far piazza pulita del competitore più grosso e dei suoi elettori, in modo da ridurre (se possibile a zero) la forza del movimento nazionalista unitarista in parlamento.

Naturalmente, i liberatori USA parteggiano per i separatisti, e li appoggiano con le bombe e gli obici d’artiglieria pesante. E’ la versione coloniale della «democrazia». I sadristi sono rappresentati in parlamento, un loro deputato, Ahmed al-Massoudi, ha accusato, una settimana prima dell’attacco, il primo ministro Maliki e il Supremo Consiglio Islamico di «programmare una campagna militare per liquidarci». Ha raccontato che «Il Consiglio Islamico e il partito Dawa hanno tenuto incontri con ufficiali delle milizie recentemente accorpate in agenzie di sicurezza onde lanciare una campagna con il pretesto di ristabilire l’ordine, mentre l’obbiettivo reale è liquidare il blocco sadrista» prima delle elezioni.

Il capo del Consiglio Supremo Islamico si chiama Abdul Aziz al-Hakim. E’, lui sì, un integralista sciita, con notorii legami con Teheran. Eppure è stato invitato alla Casa Bianca e ricevuto da Bush in persona. Naturalmente, per i media, il violento fanatico è Muktada.

La realtà è che da mesi, su suo ordine, la sua milizia ha osservato un cessate il fuoco, mentre si susseguivano gli arresti di suoi seguaci. Alla fine ha consentito ai suoi di portare armi per autodifesa, a scanso di una rivolta nelle sue stesse fila.
 
Al Sadr ha invece fatto appello a tutti gli iracheni per una una campagna di disobbedienza civile, sciopero generale, onde mobilitare i suoi miliziani insofferenti dell’inazione in una azione politica significativa, senza violenza. Secondo i suoi ordini, si sarebbero dovuti offrire rami d’ulivo (!) e copie del Corano ai soldati del cosiddetto esercito regolare ai posti di blocco.

Il governo Maliki ha reagito minacciando ogni impiegato statale che osasse non presentarsi al lavoro di licenziamento, e dichiarando che i singoli partecipanti allo sciopero generale sarebbero stati puniti secondo la Legge Antiterrorismo irachena del 2005 (una copia del Patriot Act americano).

Infine, Maliki ha dato l’ultimatum: le milizie (solo quelle nazionaliste) depongano le armi entro due giorni, a scanso di «più gravi conseguenze». Al Sadr ha risposto con un suo ultimatum: il governo cessi gli attacchi e gli arresti dei suois eguaci, altrimenti darà l’ordine di intensificare il livello dello scontro. George Bush ha approvato la «coraggiosa decisione» di al Maliki, che secondo lui dimostra «che le forze di sicurezza irachene sono capaci di combattere i terroristi». Non è andata proprio così.

Dopo una settimana di intensi combattimenti e 300 morti, dopo bombardamenti dell’occupante su Bassora ed altre città, al Sadr ha offerto un cessate il fuoco, e il regime ha accettato di smettere gli «arresti indiscriminati» di seguaci sadristi. I sadristi nazionali hanno tenuto le posizioni; si sono guadagnati una non-sconfitta che, come nel caso di Hezbollah in Libano, è una vittoria politica.




1) James Hides, «Iraqi police in Bassora shed their uniforms, kept their rifles and switched sides», The Times, 28 marzo 2008.
2) Joshua Holland e Raed Jarra, «Five things you need to know to understand the latest violence in Iraq», Alternet, 27 marzo 2008.
3) Mark Lynch, «What iraqis think, again», Global Policy Forum, 12 settembre 2007.

 
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