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Nove settimane e mezzo
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Nove settimane e mezzo, tanto è durata la campagna elettorale da quando è caduto il governo.
Devo dire che Kim Basinger ci manca molto.
Lo so che per un sito cattolico dire questa cosa è sconveniente, ma assai meno che attardarsi tra i «ludi cartacei» che ci attendono il 13 aprile.
Insomma, mentre il tempo scorre inesorabile verso la data fatidica, nei sondaggi di Piepoli e Mannaheimer io continuerei a risultare nell’ultima riga in basso a sinistra: indecisi.

Non so se ci avete fatto caso, ma sono scomparsi i simboli.
I simboli sono una cosa seria.
Non occorre essere seguaci di Guenon per sapere che il simbolo è un’idea spiegata solo con un segno; una volta il simbolo parlava da solo.
Al massimo recava la sigla del partito, sennò bastava lui.
Lo tracciavi sui muri e, chiunque lo vedeva, subito capiva: amico o nemico, capiva.
Pensate al vecchio simbolo della falce martello, pensate al vecchio scudo crociato, pensate alla svastica, al fascio littorio.
Bastava quello; votare un simbolo era votare un’idea.
Guardate oggi la scheda elettorale.

Il Popolo delle Libertà (quali?… sarà meglio chiarirsi!) non ha un simbolo, ma un marchio: sembra quello del Provolino Galbani di molti anni fa, prima del restyling.
PD: la «straordinaria forza evocativa» delle idee veltroniane è affidata ad una sorta di marchio Dolce & Gabbana (D&G) in caratteri «Arial black» corpo 72 sfumato tricolore, dove alla & commerciale è stato sostituito il vecchio simbolo dell’Ulivo.

La Sinistra arcobaleno (o Sinistra Arlecchino?) ha scelto di farsi rappresentare dalle onde iridate in versione cortoon moderno, a partire dal colore rosso che sta in alto e non dal viola (per chi non lo sapesse è la versione gay della bandiera della pace).
A ben pensarci, eclissato il sole, sembra il vecchio simbolo socialdemocratico, rivisitato sul tramonto ormai sfociante nella sera e concluso in un abbraccio omosex.

«Di Pietro tour operator», col suo gabbiano iridato occhieggia al New-Age ed evoca suggestioni gnostico-popolari: il Johnatan Livingston dei P.M. milanesi sembra voler allungare sogni tropicali fin sul cielo di Montenero di Bisaccia in un abbraccio giustizialista di pace universale: che la toga sia con voi.

L’iride sfumato inonda a tutto tondo anche la «Lista per il Bene Comune», quella del senatore dissidente di Rifondazione Comunista Fernando Rossi e sostenuta da Elio Veltri, mentre analogo richiamo policromo si staglia nell’emiciclo dell’unione Democratica dei Consumatori, che sembra l’imitazione servile del vecchio simbolo de L’Unione.
Insomma è chiaro per tutti: il giovane Marx riemerge a sinistra, celato dietro i colori new-age dell’età dell’Acquario.

Il nuovo simbolo del partito socialista sembra invece uscito dal megastore della Reggina calcio, con quel bel rosso amaranto e una rosa eurosocialista ricamata sotto: molto elegante per una polo da regata non competitiva.
Il vecchio simbolo della Balena bianca è sporcato nel nuovo marchio UDC da uno spicchio rosso in alto, su cui campeggia una scritta inquietante: Casini.
Non sai se è la prima proposta di legge di un futuro governo, volta ad abrogare la legge Merlin, o l’intero contenuto del programma.
Poi realizzi che è il nome di Pierferdinando, il che è pure peggio.

Tra i vecchi simboli è rimasta la falce e martello: nel logo del Partito comunista dei lavoratori, guidato dal trozkijsta Ferrando, il simbolo della rivoluzione si staglia potente sul mondo stilizzato, ed altro non è che una rivisitazione del vecchio simbolo di Democrazia Proletaria di Mario Capanna.
L’altra Sinistra, quella critica di Turigliatto (bestia nera del Governo Prodi  nella scorsa legislatura con quel Ferdinando Rossi della Lista per il Bene Comune) accanto a falce e martello ha sostituito la stella a cinque punte con un omino da clip-art di Power-point.

Allo scompiglio ideologico che questo restyling provoca nel militante medio, si cerca di rimediare declinando il proprio credo: ecologista, comunista, femminista.
In effetti, a vederla, quella scritta, più che la proclamazione del nuovo verbo della Sinistra Critica assomiglia a quelle straordinarie auto da fe’, che erano le autocritiche, cui venivano sottoposti
i deviazionisti del vecchio PCI.

Forza Nuova, con classici colori social-nazionali, ha un marchio che va molto bene per le felpe da vendere a Ferlandia di Predappio, ma qui, sulla scheda elettorale, fa molto di «fascisti per caso» e assomiglia terribilmente all’etichetta di un olio per motore.
Il Partito liberale riemerge dall’oblio e trova il modo di candidarsi ovunque (con quali soldi?), riesumando un tricolore tremolante a metà tra il vecchio simbolo di Malagodi e un abbozzo di Fiamma.

Una Fiamma rautiana (anzi, oramai ex-rautiana), rimpicciolita e delocalizzata rispetto all’intento iniziale, è invece presente nel simbolo de La Destra, intasato di scritte, ove al tricolore ardente si aggiunge in giallo oro la riproposizione del logo del vecchio Fronte della Gioventù.
Ferrara sceglie un emblema fatto di scritte, una specie di Foglio in miniatura in formato circolare.
Resiste immarcescibile l’unico vero simbolo presente: quello della Lega Nord.

Già qui, per uno che considera l’estetica come indicatore dell’etica ce ne sarebbe abbastanza.
La forma già parla da sola.
Ma andiamo alla sostanza, come direbbe qualcuno.

A me PD ricorda Psichiatria Democratica, che aveva anche una sua apprezzata rivista ed ora ha anche un suo sito.
Psichiatrico mi pare il suo programma.
Il «ma-anchismo» dev’essere l’evoluzione politica dell’impotenza coeundi di certo «machismo».
Crozza docet.
Voglio dire che, per quanto si sforzi, l’ex-sindaco di Roma dice cose sensate, ma anche scontate, decise, ma anche sfumate, puntuali, ma anche imprecise.
Temo voglia andare al governo, ma anche all’opposizione, voglia essere di sinistra ma anche di destra, prometta il tutto ma anche il niente, sogni e sia desto.
A ben vedere, in realtà non dice niente, ma lo dice divinamente bene.

Volendo essere la continuità, ma anche la discontinuità con l’esperienza del governo Prodi, l’ex sindaco di Roma ha anche lui una moglie che si chiama Flavia e di cognome fa Prisco.
Non vorrei - lo dico per lui - che questo delirio di onnipotenza divenisse anche delirio di impotenza, questo essere anche non essere, questo volere anche non volere, questo potere anche non potere e che tutto si ripercuotesse anche nelle relazioni con la signora Flavia.

Intendo: non vorrei che nell’intimità volesse stare di sopra, ma anche di sotto, farlo, ma anche astenersi, farlo strano, ma anche canonico, andare, ma anche venire, durare, ma anche finire… Perché in certe circostanze a forza di indecisioni la poesia finisce ed è un attimo ritrovarsi a calci nel sedere a dormire sullo zerbino col cane… ma anche col gatto.

Quanto a Berlusconi, comunque non è stupido; per tenere su lo spettacolo c’ha provato a candidare una soubrette: Ayda Yespica (almeno così hanno riferito i giornali).
Peccato che la ragazza, che magari non ha fatto scienze politiche, ma ha comunque argomenti che stimolano «lo zoon politicòn» che è in ognuno di noi, gli abbia ricordato di essere venezuelana, di non potersi dunque candidare e che con lui andrebbe pure in capo al mondo, ma politicamente preferisce l’ex-sindaco di Roma.
Temo che non la rivedremo più alla prossima edizione del Bagaglino.

Tra le ragazze già reclutate va segnalata un’altra ex-soubrette capace di attirare consenso: concorrente di Miss Italia nel 1997, presente in programmi RAI e Mediaset, tra i quali Domenica IN, Piazza Grande e la Domenica nel Villaggio, è divenuta poi Segretario della Commissione Affari Costituzionali ed ora Coordinatrice nazionale di Azzurro Donna nel Popolo delle Libertà (Cristina Barabino).
Azzurro Donna non è una linea di intimo femminile, anche se la signorina avrebbe già mostrato senza sfigurare, di poterla eventualmente indossare, «ma anche», anzi soprattutto, non indossare. Cattolica convinta e praticante - come ama definirsi in un’intervista rilasciata all’Opinione il 21 febbraio 2007 (1) - ama mettere a nudo su altre riviste non solo le idee, «ma anche» dell’altro.
Le idee non sono particolarmente interessanti…

Altra «puledra» della scuderia del Cavaliere è una multimprenditrice di chioma fulva di Calolziocorte, uno dei migliori profili di tacchi a spillo e calze autoreggenti delle ultime tre edizioni di Porta a Porta, che hanno fatto innalzare l’audience della trasmissione e la libido di molti mariti, fin lì stancamente distesi in poltrona: i suoi video su You-tube sono gettonatissimi e tutti ad evidenziare i sinuosi movimenti dell’aspirante onorevole.
Bravina a comunicare, ma mi domando se «oltre le gambe c’è di più».

Credetemi: questo è in realtà il meglio dello schieramento di Berlusconi.
Purtroppo c’è dell’altro.
Il suo nome è «Number Two» (alias Gianfranco Fini).
Il Popolo delle libertà deve sorbirsi anche il numero due della coalizione di Centro-Destra, che spera di sostituire alla lunga il capo.
«Number Two» aveva dichiarato solo qualche mese fa che mai sarebbe entrato nel Partito del Popolo delle libertà e che Berlusconi era oramai alle comiche finali.
Poi - secondo copione consolidato - si è messo il naso a palla, ha cambiato idea e si è fatto scritturare anche lui, con il ruolo secondario di «Ridolini», in attesa che il capo si tolga dalla scena.
Così, dopo averla rimpicciolita, ha spento la vecchia fiamma del MSI e l’ha rimpiazzata con Fiamma Nirenstein: ovvero dal Movimento Sociale Italiano al Movimento Sionista Internazionale.

Il «giovanotto», classe 1952, dopo avere lasciato la moglie Di Sotto (Di Sotto è il cognome!), in nome di una concezione autenticamente cattolica della famiglia, alla quale dice di tenere molto, è divenuto l’attuale compagno della ex-presidente della Società Sportiva Sambenedettese Calcio, da cui ha avuto di recente un bebè.
La signora al liceo era la compagna di classe del figlio del presidente di una società di calcio, che ha militato anche in serie A.
Peccato che lei non se la facesse col compagno di scuola, ma col papà.
Ora quel papà mi pare si trovi oggi disperso in qualche isola caraibica, inseguito dal fisco italiano e da qualche manciata di pubblici ministeri.
Delicatessen…

Nel nome di «Dio, Patria e famiglia», La Destra, che si è staccata dal partito guidato da «Number two», ha candidato una donna, che ha di recente rivendicato di aver fatto carriera «senza averla mai data».
Preciso che non si tratta di Santa Maria Goretti e che l’affermazione non va presa in senso assoluto, né teologico, ma teleologico: ovvero il non «darla» è finalizzato solo al fatto del fare carriera.
Per il resto nella signora sembra invece potersi cogliere una certa esuberanza.
Anche lei non ha disdegnato di esibire qualche generoso decimetro di epidermide in pose ammiccanti, non so quanto in linea con gli insegnamenti della morale cattolica, cui ama anche lei orgogliosamente richiamarsi, in opposizione all’ «oscurantismo islamico».

Sempre in ambito di morale cattolica, anche lei di mariti ne ha avuti già due ed il secondo è scappato con la ex moglie di un altro ex-presidente di una squadra di calcio toscana. Quando si dice «calcio e politica…».
Donna certo di classe, la nostra, di casa nei salotti buoni e nei locali notturni della Costa Smeralda, è famosa anche per aver esibito ai manifestanti della parte politica avversa la perfetta geometria del suo dito medio, in un gesto non proprio ispirato agli insegnamenti consigliati da Della Casa ad una signora dell’alta società.

Questa Destra poi si alleerà con Berlusconi (l’ha già dichiarato e allora?) e sulla politica estera la Santanchè difficilmente resisterà alle sirene filoccidentali dei salotti che è solita frequentare.
C’è gente generosa dentro La Destra, ma chi deciderà la linea?
E sarà La Destra nazionale, popolare, antiamericana che rivendica di essere?
Ho più di qualche dubbio.

A proposito di pelle, dimenticavo un’altra ragazza della scuderia del Cavaliere, già sodale politica di «Number Two» e nipote del più longevo primo ministro della storia italiana, generosissima anche lei sull’edizione italiana di Playboy dell’agosto 1983.
Naturalmente «cattolicissima» anche lei.

Come cattolicissimo è Pierferdinado Casini, che, nel rispetto della morale cattolica e dei valori, tra cui in primis quello della famiglia, di famiglie ne ha due, avendo lasciato la prima moglie, Roberta Lubich (che a sua volta aveva ottenuto dalla Sacra Rota l’annullamento del precedente matrimonio), per una moglie più azzurra: non è la Puffina, ma Azzurra Caltagirone, figlia del costruttore-editore romano Francesco Gaetano Caltagirone, uno degli uomini più ricchi d’Italia.
E chissà a quale famiglia ha pensato, quando si è ostinato a voler candidare in Sicilia Totò Cuffaro…

Siciliana la seconda moglie se l’è presa pure il Senatur, anche lui cattolico, ma a fasi alterne: talvolta tradizionalista, talvolta neo-pagano col culto del dio Po… anche se inquinato.
Vedete che, se anche all’inizio evocavo Kim Basinger, non sono io il pruriginoso: è il contesto che mi stimola.

Ma veniamo al sodo.
Anche se non voglio pensare cosa potrà fare questo governo con la Difesa affidata a Martino (che vuole smobilitare la forza di interposizione in Libano per trasferirla in Afghanistan e Iraq e lasciare così mano libera a Israele in quell’area!); non voglio pensare cosa sarà la nostra politica estera con Frattini come ministro e la nuova Fiamma politica di «Number Two» [Fiamma Nirenstein intendo] alla carica di sottosegretario: non voglio essere arruolato tra le «gloriose milizie» di Tsahal per esportare la democrazia nel Medio Oriente.
Non voglio essere complice della Shoah palestinese!

Perché sarà così: l’aiuto a far fuori il Governo Prodi sarà chiaro da chi è venuto, solo quando scopriremo a chi gioverà la nostra nuova politica estera (e qui mi fermo prima che mi arrestino).
Insomma se proprio dovete votare lì, la coalizione di centro-destra intendo, votate la Lega Nord, dove si presenta.
La lega Nord, avete capito bene!
Che non è solo folklore: c’è gente che vale, Castelli per esempio.
Nel Popolo delle Libertà ce n’è uno solo che sembra meriti un po’ di rispetto, anche se non su tutto e non su tutto integralmente: è Giulio Tremonti.

Per esempio è l’unico a dire senza infingimenti che il mercato non basta e che tocca alla mano pubblica, che occorre fare del Parlamento Europeo un vero Parlamento e non come è adesso solo una camera di consultazione, che bisogna creare un debito pubblico europeo per finanziare gli investimenti e che serve in generale ripartire dalle radici giudaico-cristiane: storia, tradizioni, identità, valori.

Concordiamo su tutto, tranne che su quel «giudaico»: se voleva dire ebraico, cioè mosaico, allora bastava dire cristiane, che dell’antico Testamento è il compimento.
Se intendeva dire proprio giudaiche, allora sbaglia: le matrici di questo mondo in crisi hanno radici proprio in un certo giudaismo.
Consigliamo a tutti, anche a Tremonti, di rileggersi «Complotti vecchi e nuovi» (Il Minotauro, 2002) di Maurizio Blondet a proposito di come è nata una certa Europa.

In ogni caso Giulio Tremonti potrà essere almeno un po’ Giulio Tremonti, quanto più la Lega Nord sarà forte, altrimenti lo faranno fuori un’altra volta.
Ma, dopo che avete votato Lega Nord, pregate che don Floriano Abrahamowicz, della Fraternità San Pio X,  riesca persuadere Bossi, Borghezio e i leghisti a non voler morire e farci morire per Tel Aviv.
Perché sulla politica estera la Lega Nord deve cambiare registro e non appiattirsi in sterili posizioni acriticamente filo-occidentali e talvolta biecamente antislamiche: l’Islam lo si può combattere meglio affrontandolo con virile fermezza, piuttosto che con isterica scompostezza.

Se dovete votare centro-sinistra, faccio lo stesso discorso fatto per il Centro-destra e mi domando se  l’accettazione della presenza radicale nel PD non meriti di essere punita elettoralmente in maniera dura. Traete voi le conseguenze.
Le varie sinistre, Arcobaleno, critche o trozkijste, semplicemente ignoratele: sono l’elemento di razionalizzazione più sottile del sistema.
Sono i radicali travestiti da pseudo-proletari.

Quanto all’UDC io non ci penso: non riesco a diventare democristiano a cinquant’anni.
Dei politici democristiani in genere diffido: mi hanno sempre fregato e per giunta in nome dello spirito di servizio e dei valori.
Il democristiano di fronte alla mediazione diventa incontinente e finisce per accordarsi con chiunque, pur di non contrapporsi con forza.
Non cambieranno, perché non cambia il DNA.
Oggi a parole riscoprono i valori, ma quando potevano farli valere hanno preferito firmare leggi ignobili (aborto, divorzio), che mollare lo scranno.
Per spirito di servizio, si intende….
Non voglio rimanere prigioniero dello schema «se vuoi la vita, devi anche volere le guerre di Bush».
Io voglio la vita, ma di tutti.

L’obiettivo di Ferrara non è quello di abolire la legge 194, ma solo di creare una coscienza contro l’aborto ed a favore della vita; questa battaglia non finisce il 13 e 14 aprile.
Così avremo tutto il tempo di continuare a dare voce alle vittime della Shoah abortista, ma senza confusioni: perché la battaglia per la vita è tanto contro chi ritiene che non sia vita l’embrione, quanto contro chi ritiene che non siano vita i bambini di Baghdad o di Gaza.
Inoltre apprezzo Claudio Risè, presente come numero due nella lista di Ferrara, ma sia chiaro che il suo «Il Pensiero forte - La sfida simbolica alla modernità» [Edizioni Settimo Sigillo, 2000] ha alla fine un contenuto ambiguamente gnostico-junghiano.

La mia decisione sta evolvendo verso una colossale «X» che inondi la scheda, annullandola.
Forse – dico forse - alla fine ci ripenserò , ma all’ora tarda in cui scrivo mi sembra una scelta politicamente conveniente, eticamente compatibile, esteticamente appagante, simbolicamente coerente: li voto tutti, cioè nessuno, perché sono il Nulla.
Non hanno idee, non hanno una visione del mondo.
Per questo non hanno simboli, né identità.
Per questo sono interscambiabili.
Forse ci salverà la crisi, quanto più catastrofica sarà.
Se solo si alzasse un uomo e parlasse davvero in nome del popolo…

E’ accaduto talvolta in passato.
Lo so, me lo rimproverano sempre più spesso: «Stai diventando troppo blondettiano, rischi una brutta deriva! Va mica bene…».
E’ il rischio della libertà, quella che difficilmente trova case accoglienti e mai portafogli gonfi.
Talvolta qualche sito, coraggioso e ospitale come questo.
Buon voto… o non-voto a tutti.

Domenico Savino



1) L’Opinione, Edizione 43 del 21 febbraio 2007, «Le ragioni giuridiche dei No ai Dico» di Carlo Priolo e Maria Sofia Casoni
www.opinione.it/pages.php?dir=naz&act=art&id_art=760&edi=43&dated=21-02-07&aa=2007


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