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Invenzione della Bibbia
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L’Esodo non ci fu

Un comandante di un posto di frontiera egizio, un giorno del tredicesimo secolo avanti Cristo, stilò il consueto rapporto per i suoi superiori. Il papiro è giunto fino a noi, e recita: «Abbiamo completato lingresso delle tribù dello Shashu Edoma attraverso la fortezza di Merneptah-Contento-con-la-Verità che è in Tjkw, fino alle fonti di Pr-Itm che sono in Tjkw, per il nutrimento dei loro greggi».

La tribù lasciata entrare è quella che la Bibbia chiama Edom, ossia quella di Esaù fratello-nemico di Giacobbe; Pr-Itm (Casa di Atum) è la città indicata nel libro dell’Esodo (1,11) come Pithom: il luogo dove «il popolo dei figli di Israele», presuntamente arrivati in Egitto 480 anni prima chiamativi da Giuseppe, furono costretti al lavoro forzato di costruire mattoni. Nell’Esodo, oltre
Pithom, si ricorda che gli ebrei primordiali dovettero costruire anche la città di Ramses.

Il papiro egizio sembra dunque una potente conferma esterna del testo biblico e, almeno grosso modo, del racconto dell’Esodo, in quanto cita luoghi e nomi. Il fatto è che prova «troppo».

Fin dai più antichi tempi (diciamo fin dal 1800 avanti Cristo) esistono prove archeologiche che popolazioni della terra di Canaan – la futura Palestina – bussavano periodicamente alle porte dell’Egitto. Quando il loro territorio arido-mediterraneo conosceva un inverno di piogge scarse, e dunque scarsi pascoli estivi, i pastori e semi-agricoltori emigravano nell’Egitto – dove il Nilo assicurava un eccezionale e costante surplus granario – e gli egizi li facevano lavorare in cambio del cibo. Molti, molti secoli prima che una parte di quei nomadi acquistasse l’identità etnica di Israele e di Giuda (due regni distinti, sarà bene ricordarlo) ci furono dunque infinite andate in Egitto, con relativi ritorni in Palestina quando i pascoli sarebbero rinverditi.

Ma quanto alla narrativa biblica: la fuga di 600 mila ebrei dall’Egitto dopo aver celebrato la prima Hagadah (la prima Pasqua, con carne d’agnello sacrificato e pane azimo) sotto la guida di Mosè autore del primi libri biblici, e l’errare di questo gruppo umano per 40 anni nel deserto del Sinai e la rivelazione della Legge, quando avvenne?

Il problema cronologico è spinoso, e complicato dalla irruzione degli Hyksos, i misteriosi pastori e governanti stranieri che durante la quindicesima dinastia (1660-1550 avanti Cristo) governarono una zona del Delta del Nilo, ebbero una loro capitale ad Avaris, e furono espulsi dai faraoni della 17ma dinastia, verso il 1550.

Gli scavi nella zona, e in particolare nell’antica capitale Avaris, hanno rivelato sigilli Hyksos con nomi semitici, vasellame e tombe di stile cananeo, segni di divinità semitiche quali Baal: insomma era gente che probabilmente veniva dalla terra di Canaan. Anche se l’archeologia non conferma l’idea di una invasione bellica degli Hyksos ma vede piuttosto nei resti un graduale processo migratorio per secoli pacifico, non si hanno invece dubbi che furono cacciati con la forza da una serie di faraoni, l’ultimo dei quali Ahmosis I, verso il 1550-25 avanti Cristo (1).

Erano loro gli ebrei dell’Esodo?

Il primo a sostenerlo è stato Giuseppe Flavio, l’accorto ebreo che si mise al seguito di Tito nel 70 dopo Cristo ed assistè alla distruzione di Gerusalemme: gli Hyksos espulsi dall’Egitto fondarono Gerusalemme. Ma Giuseppe scrive 1600 anni dopo i fatti, e si basa sull’autorità di Manetone, lo storico egizio sacerdote di Sais: che certo si basava sui ricchi archivi di Stato egiziani, ma anche lui scrive (in greco) nel 300 avanti Cristo, ossia pur sempre 1300 anni dopo.

Il testo di Manetone Antichità Egiziache, è purtroppo perduto. Ce ne sono rimasti solo i passi citati  da Giuseppe Flavio: ed è costui, non Manetone, a sostenere che gli Hyksos sono gli israeliti dell’Esodo. Secondo Giuseppe, Manetone parla anche di un altro esodo, o meglio espulsione: 80 mila lebbrosi, guidati da un sacerdote egizio ribelle di nome Osarsif, furono cacciati e si stabilirono in Canaan fondando Gerusalemme.

Pare che il racconto metta insieme, e confonda, oscuri eventi accaduti tra il regno di Akenaton il faraone monoteista (14° secolo avanti Cristo: lebbrosi indicherebbe i portatori impuri di una nuova religione) e la 19ma dinastia (due o tre secoli più tardi) il tutto mescolato alla narrativa biblica.

E’ possibile che varii gruppi semiti conservassero, sotto forma di saga, una memoria nebulosa ma orgogliosa della supremazia Hyksos sull’Egitto, di cui potevano credersi discendenti o affini. Il fatto è che gli Hyksos erano stati cacciati nel 16° secolo, ossia molto ma molto prima del tempo in cui la Bibbia pone la fuga degli ebrei dallEgitto sotto la guida di Mosè, ossia tra il 1290 e il 1265 avanti Cristo, e molto prima che esistessero ebrei come li intendiamo (2).

Già il grande Julius Wellhausen (1844-1918), usando i metodi della critica filologica, e senza potersi appoggiare all’archeologia, aveva dimostrato che la Legge di Mosè, ossia i primi cinque libri della Bibbia e presunti i più antichi (scritti di pugno da Mosè nel 1600 avanti Cristo) erano in realtà stati gli ultimi ad essere scritti, dopo il ritorno dall’esilio babilonese sotto protezione persiana (583 avanti Cristo): riflettono infatti l’evoluzione ultima del giudaismo, che non poteva essere stata raggiunta finchè la religione ebraica non fu centralizzata in Gerusalemme. Si noti che Wellhausen sostenne anche la priorità del Vangelo di Marco sulla fonte Q: ipotesi rifiutata dai biblisti, ma oggi confermata dalla scoperta del frammento di Marco risalente a prima del 50 dopo Cristo.

Tagliamo corto, e riportiamo i fatti accertati dalle ricerche archeologiche, che hanno rivoltato il deserto del Sinai e non hanno trovato un solo indizio del passaggio di un gruppo numeroso tra il 1400 e il 1200 avanti Cristo, data presunta dell’Esodo. Non un bivacco, non un accampamento, non segni di passaggi di greggi. Nulla. Eppure, grazie anche al clima aridissimo del Sinai, «le moderne tecniche archeologiche sono capaci di rintracciare anche i più poveri resti di un accampamento di cacciatori-raccoglitori del terzo millennio avanti Cristo», scrive Israel Finkelstein (Le Tracce di Mosè, Carocci).

Solo nei tempi del presunto Esodo non si trova nulla. E c’è una ragione ben precisa, notano gli archeologi: non si poteva attraversare il Sinai a quei tempi, perchè il cammello non era ancora addomesticato. Solo dopo il 1000 avanti Cristo si scopre un aumento di ossa di cammelli usati come bestie da soma scavando nei siti che punteggiano l’antica carovaniera tra l’Arabia e l’Egitto.

Genesi (37) racconta che Giuseppe – almeno 300 anni prima – viene venduto dai fratelli a dei carovanieri che lo portano in Egitto sui loro cammelli «carichi di droghe, balsamo e incenso»:sono i prodotti di lusso delle carovane che viaggiavano non nel 1200 e men che meno nel 1400 avanti Cristo, ma nel 700-600, quando quel genere di commercio fiorì, gestito da arabi, sotto la protezione assira. E quando il primo nucleo della Bibbia fu messo per iscritto. Ossia l’epoca di re Giosia, che regnò sul piccolo territorio di Giuda (non di Israele, che rimase un regno di cultura cananea fino a quando fu spazzato via dagli Assiri) dal 640 al 609 avanti Cristo.

Gli «antichissimi fatti» che la Bibbia descrive, assegnandoli a un Mosè vissuto nel 1290 avanti Cristo, si svolgono nel paesaggio conosciuto dai giudei al tempo di Giosia, cammelli compresi (3) seicento anni dopo. Citano 42 località in cui gli ebrei in fuga passarono o si accamparono, Ezion-Geberg, Goshen, Succoth, Pitom, l’oasi di Kadesh Barnea, che non c’erano nel 1200 o nel 1400 avanti Cristo, ma di cui è provata archeologicamente l’esistenza tra l’ottavo e il sesto secolo avanti Cristo, i tempi in cui dietro Giosia «figlio di David» (messo sul trono all’età di 8 anni) a Gerusalemme prese il potere la centrale sacerdotale fondamentalista che scrisse le prime Leggi.

Quanto alla città di Pi-Ramesse dove secondo la Scrittura gli ebrei sarebbero stati costretti a fabbricare mattoni, non poteva esistere prima che salisse sul trono un faraone di nome Ramses... In compenso, il profeta Geremia, che visse tra il regno di Giosia e la deportazione degli ebrei a Babilonia (650-587) attesta che ai suoi tempi, nel delta del Nilo, viveva e lavorava una forte comunità di emigranti da Giuda, impiegati in opere pubbliche.

Insomma i più antichi testi del Pentateuco, che si atteggiano come fossero scritti da Mosè stesso, riflettono in realtà le condizioni economiche, storiche, etnico-sociali e geografiche proprie del 7° secolo.

I redattori dell’ Esodo, per esempio, evitano di chiamare per nome il faraone che, secondo il loro racconto, scacciò gli ebrei e finì affogato con i suoi guerrieri quando le acque del Mar Rosso si chiusero su di loro: segno che non lo conoscevano. E chi poteva essere?

Le cronache egizie non parlano di alcun faraone che abbia fatto una sì misera fine. Quando, poi? Verso il 13° secolo avanti Cristo? Ma quella è l’epoca della massima potenza egizia, basti fare un nome di quel tempo: Ramses II. Possibile che in quei tempi un gruppo ribelle sia sfuggito al controllo egizio, senza per giunta lasciare traccia nelle testimonianze archivistiche dell’impero?

Per di più, prima della domesticazione del cammello, gli ebrei dell’Esodo non potevano certo vagare in profondità nel Sinai per 40 anni, e giungere fino al monte Nebo dove secondo il mito Mosè ricevette le Tavole della Legge. Potevano solo seguire la strada del millenario via-vai semitico da e verso l’Egitto: la pista costiera lungo il Mediterraneo, che dal braccio più orientale del Delta raggiungeva dove oggi si trova Gaza, evitando di inoltrarsi nel deserto. E senza alcun bisogno di attraversare il Mar Rosso. Se mai, un mare di canne paludoso, come risulta da una miglior traduzione del racconto biblico.

Ebbene: gli archeologi hanno scoperto che gli egizi avevano protetto questa pista con una fila di fortini, muniti di serbatoi d’acqua e magazzini di grano e (soprattutto) orzo per i cavalli, posti a un giorno di marcia l’uno dall’altro. I resti di questi fortini sono stati portati alla luce dagli israeliani negli anni ‘70.

Per di più, un bassorilievo dell’epoca di Seti I (il padre di Ramses II) su un muro del tempio di Karnak mostra la mappa di questa via fortificata: si vedono i forti coi serbatoi d’acqua, e il faraone che avanza tra essi. Era una strada di comunicazione così importante da avere persino un nome, Le Vie di Horus.

Era una via sorvegliatissima e controllatissima, militarizzata con guarnigioni fisse in ogni fortino non solo contro le possibili invasioni da Est, ma soprattutto per consentire ai faraoni una veloce e sicura penetrazione delle loro forze armate verso il territorio nemico.

Tutmose III, il Napoleone dellEgitto (1470-1425 avanti Cristo) la usò ripetutamente nelle sue fulminee campagne contro i Mitanni – quando giunse a traversare l’Eufrate – e per colpire Meghiddo e Qadesh, centri di una coalizione di reucci cananiti. Grazie alla Via di Horus, Tutmosi fu in grado di coprire i 250 chilometri dal Nilo a Gaza in 10 giorni: prima guerra-lampo della storia.


«I due rilievi, che sono nel tempio di Amun a Luxor, mostrano il faraone Seti I (1291-1279 avanti Cristo) mentre combatte ed avanza vittoriosamente lungo la via di Horus, nota nella Bibbia (Esodo, 13, 17) come la ‘via che passa nel Paese dei filistei’ (o palestinesi). Seti I è raffigurato mentre sconfigge col suo arco i shasu (nomadi) mentre riceve il tributo dai dignitari stranieri a Raphia (il capolinea della via di Horus in terra di Canaan) e mentre torna trionfante in patria circondato da prigionieri.

La via di Horus era attrezzata dagli egizi con 23 fortini lungo tutto il percorso, posti a distanza di un giorno di marcia l’uno dall’altro, difesi da guarnigioni e forniti di serbatoi d’acqua e magazzini per l’alimentazione del bestiame. Almeno 11 di questi fortini sono raffigurati nelle scene. Tre o quattro sono stati effettivamente rinvenuti dagli archeologi israeliani.

Nella parte destra del rilievo sotto, la pista di Horus scavalcava una via d’acqua (la striscia che scorre verticalmente nel rilievo in basso) e tra le strutture monumentali dipinte accanto a questo canale si legge il nome Tjaru: città importante di confine egizio. A Tjaru un ponte scavalca il canale, denominato nel rilievo le acque divisorie, e vi si vedono coccodrilli e canne. Al di là, popoli stranieri rendono omaggio all’imperatore: il rilievo fa capire che sono in Palestina, al di là del canale.

E’ probabilmente questo canale del Nilo, detto mare di canne (e non Mar Rosso) che i redattori biblici immaginarono di far attraversare a Mosè e agli ebrei in fuga. Prima della domesticazione del cammello, infatti, una fuga dall’Egitto nel deserto del Sinai era impossibile; la sola strada per raggiungere la terra promessa era questa pista di Horus, rigidamente sorvegliata dagli egizi
».

Non pare proprio possibile che un gruppo di fuggiaschi potesse andarsene via dall’Egitto dopo aver provocato le «dieci piaghe» descritte dall’Esodo, e specialmente dopo aver derubato gli egizii stoviglie d’oro e d’argento (4) come racconta la Scrittura. Certo dalla pista di Horus si poteva passare, come da millenni, ma per così dire mostrando il passaporto, e subendo l’ispezione delle merci che si intendeva importare in Egitto, e il relativo prelievo fiscale. In cambio, i nomadi ottenevano un documento, da opporre a qualunque burocrate malintenzionato all’interno del territorio egizio, che dichiarava legale l’importazione di quelle merci, e le elencava minutamente. Simili documenti d’importazione sono stati trovati.

Perchè l’impero egizio aveva una sviluppatissima burocrazia che non solo controllava tutto, ma tutto scriveva e riferiva: dal passaggio di un gruppo di stranieri alla frontiera, fino ai trattati internazionali stipulati con regni e imperi vicini e lontani. L’archeologia egizia non ci ha lasciato soltanto iscrizioni colossali nei templi e dei monumenti, ma sigilli personali e commerciali, interi testi sulle bende delle mummie ed una massa incredibile di documenti, lettere diplomatiche, contratti d’ogni tipo accuratanente conservati, ricevute fiscali su papiro, che il clima secco ci ha restituito quasi intatti: da essi si è stati in grado di ricostruire la storia egizia, e anche una quantità di informazioni precise sui popoli stranieri cicostanti.

A noi resta solo da stupirci che la narrativa biblica, di un popolo che non ci ha lasciato nulla di lontanamente paragonabile al materiale documentario dell’Egitto, e sicuramente non disponeva come quello di archivi di Stato risalenti a secoli e millenni addietro, abbia avuto la meglio sulle testimonianze egizie, che tale narrativa smentiscono in modo così documentato.

Ma perchè, in fondo, stupirsi? Noi contemporanei abbiamo pur visto nel ventesimo secolo l’affermarsi della narrativa ebraica sulla Shoah sulla nuda storia della Shoah, che – quanto più il tempo passa – prolifera e si discosta dalla storiografia oggettiva dei fatti: anzi i fatti non devono essere indagati, per legge penale.

E’ un’abilità peculiare della comunità, affinata e perfezionata da secoli: cosa di cui dovrebbe tener conto chiunque si interroghi su quanto nella Bibbia è storico, e quanto sia narrativa (5).

Naturalmente, quanto sopra non intacca il senso spirituale della Scrittura. Ognuno di noi è in condizione di esodo, e ognuno di noi sperimenta le deviazioni che furono del popolo ebraico, i dubbi, le mormorazioni, i vitelli d’oro, il rimpianto per le cipolle d’Egitto e la schiavitù. Ognuno di noi è guidato nel deserto, ad ognuno di noi sono dati i comandamenti, questa prima legge universale.

In questo senso, realmente, la Bibbia è vera. Dio sa scrivere dritto su righe storte.




1) Un guerriero egiziano, Ahmose figlio di Ebana, partecipò alla guerra contro gli Hyksos e ne ha lasciato preziosa testimonianza in una parete della sua sepoltura, ricca messe di informazioni sui sovrani che servì, della 17ma e 18 ma dinastia, e sul misterioso popolo nemico. Ahmose racconta di aver partecipato alla presa di Avaris, la capitale Hyksos, al seguito del faraone (e omonimo) Ahmose I: dice di aver ucciso due nemici (di cui ha tagliato le mani come prova) e perciò di essere stato premiato dall’imperatore con «loro del valore». «Avaris è stata saccheggiata... Io ho portato bottino da lì: un uomo, tre donne, quattro in tutto. Allora sua maestà me li ha donati come schiavi».
2) Va notato che Giuseppe Flavio racconta la storia suddetta, nel suo Contra Apionem, in un contesto polemico: vuole ribattere, dichiara, alle «calunnie» che Manetone aveva gettato sul suo popolo. E la sua rettifica è parecchio nebulosa. Secondo Giuseppe Flavio, un faraone Amenofis «desiderò contemplare gli dei», ma gli fu risposto che l’avebbe potuto fare solo quando avesse obbedito alla consegna di «espellere i lebbrosi e gli altri impuri dal Paese». Il faraone dunque fece radunare tutti i malati e «li mandò a lavorare nelle cave ad est del Nilo». Ma più tardi i lebbrosi ottennero un luogo di rifugio, «lantica città dei pastori, Avaris, allora abbandonata». I «Pastori» sono palesemente gli Hyksos, dei quali Flavio ha avuto notizia dal testo di Manetone; evidentemente i lebbrosi che vi trovano rifugio sono una storia diversa e successiva. Nella loro città, gli impuri si diedero un capo, «un sacerdote di Hierapolis chiamato Osarsif», che proclamò molte leggi «in contraddizione assoluta coi costumi degli egizi», sempre secondo Giuseppe l’ebreo. Non contento, Osarsif eccitò alla rivolta i lebbrosi e gli autoctoni, incitandoli ad unirsi ai Pastori espulsi da un precedente Amenofis, che si erano asserragliati a Gerusalemme. La rivolta ebbe successo, tanto che i rivoltosi instaurarono il terrore e gli Egizi fuggirono in Etiopia. Ma infine, tornati con una potente armata, gli egizi espulsero di nuovo i lebbrosi «fino alla frontiera della Siria». S’intende che «il prete di Hieropolis che diede ai lebbrosi una costituzione e una legge, Osarsif che così si chiamava dal nome del dio Osiride, passato dalla parte di quel popolo cambiò nome, prendendo quello di Mosè» (Contra Apionem, I, 223-253).
3) Un simile e più stridente anacronismo nel libro della Genesi (24) attribuisce la proprietà di cammelli persino ad Abramo, che dovrebbe essere vissuto circa il 1900 avanti Cristo, nove secoli prima dell’addomesticamento del prezioso animale. In realtà, i carovanieri dell’epoca di Abramo usavano come animali da soma gli asini. Ciò prova che i redattori del Genesi non poterono scrivere se non dopo il 1000 avanti Cristo, quando i cammelli erano realtà quotidiana. Sempre Genesi (26) asserisce che Isacco trovò ospitalità presso «Abimelech, re dei Filistei». Ma l’archeologia ha dimostrato che i Filistei non erano presenti in zona all’epoca presunta di Isacco, ma solo molti secoli dopo, almeno dopo il 1200 avanti Cristo.
4) Questa fantastica astuzia è suggerita da YHVH in Esodo 11 e 12 «Il Signore disse a Mosè: ‘Ancora una piaga manderò contro il faraone e lEgitto; dopo, egli vi lascerà partire di qui. Vi lascerà partire senza restrizione, anzi vi caccerà via di qui. 2 Didunque al popolo, che ciascuno dal suo vicino e ciascuna dalla sua vicina si facciano dare oggetti dargento e oggetti doro’ (...) 35 Gli israeliti eseguirono lordine di Mosè e si fecero dare dagli Egiziani oggetti dargento e doro e vesti. 36 Il Signore fece sì che il popolo trovasse favore agli occhi degli Egiziani, i quali annuirono alle loro richieste. Così essi spogliarono gli Egiziani. 37 Gli israeliti partirono da Ramses alla volta di Succot, in numero di seicentomila uomini capaci di camminare, senza contare i bambini. 38 Inoltre una grande massa di gente promiscua partì con loro e insieme greggi e armenti in gran numero». L’episodio non dice nulla di storicamente vero, ma la dice lunga sull’invidia giudaica e le sue fantasie dettate dall’odio per gli altri.
5) Artapano, uno storico ebreo vissuto nell’Egitto in età alessandrina (terzo secolo avanti Cristo) sostenne addirittura nelle sue due opere di cui ci restano frammenti (Iudaika e Perì Iudaion) che Mosè era stato il maestro del mitico Orfeo, che poi avrebbe insegnato i segreti della sapienza ebraica ai greci e agli egizi. Del resto, Artapano assicurava anche che era stato Abramo ad insegnare l’astrologia al Faraone, e probabilmente anche il monoteismo. E questa narrativa fu anche superata da un altro storico ebreo alessandrino, Aristobulo (vissuto verso il 180 avanti Cristo) che non ebbe scrupolo a proclamare: «Ben si vede che Platone ha seguito la nostra Legge, e si vede che ne ha scrutato i minimi dettagli (...) esattamente come Pitagora traspose molti dei nostri dogmi nella sua dottrina». Insomma tutta la filosofia greca, così come la sapienza egizia, dipendevano secondo questi ebrei dalla cultura ebraica. Non stupirà sapere che molti cristiani (per lo più anglosassoni) nei secoli scorsi, abbiano creduto a questo preteso primato ebraico sui vertici della cultura ellenica, e in generale su tutte le più antiche culure. Si è scritto che il faraone Akhenaton, che per primo concepì l’idea del Dio unico, fosse stato influenzato da Mosè, se non da Abramo. Spero di non dover spendere parole per dimostrare l’assoluta improbabilità che un impero di altissima e antica cultura subisca l’influsso culturale di tribù di nomadi arretrati. Magari si può ritenere più probabile il contrario?


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