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Il «Primo Stato» della repubblica
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In un giorno memorabile del 1789 la nobiltà francese, il «Primo Stato» (la prima classe sociale), rinunciò spontaneamente (la folla rumoreggiava) ai suoi privilegi ed alle esenzioni fiscali. Era la fine dell’Ancien Régime, e di un’aristocrazia diventata parassitaria, che spendeva cifre colossali per feste e abbigliamento alla corte di Versailles.

In Italia, quel giorno deve ancora arrivare. Quando Bersani ha «disciplinato» gli artigiani, secondo lui troppo riparati dalla concorrenza, e Visco ha esercitato la torchia fiscale strangolatrice contro le piccole imprese e alcuni «evasori», si sono dimenticati spontaneamente (la folla non rumoreggia) dei più grandi evasori della repubblica: le mega-COOP e i sindacati. Quelli, ai privilegi e alle esenzioni fiscali non hanno mai rinunciato.

Non dico nulla di nuovo; è uscito «L’altra casta» di Stefano Livadiotti che racconta per filo e per segno i privilegi e le esenzioni dei sindacati, sottratti alle leggi e ai tributi che gravano sugli italiani qualunque.

Si parla di duemila miliardi di vecchie lire per la sola CGIL, di un patrimonio immobiliare, colossale e inaccertabile, di 20 mila dipendenti – sottratti, per volontà antisindacale dei sindacalti, allo Statuto dei Lavoratori.

L’analisi di Livadiotti (giornalista de L’Espresso) è però qualcosa di più: consente di vedere i meccanismi con cui si perpetua in Italia una costosissima «burocrazia inadempiente» - ossia che non svolge i compiti cui è destinata - grazie al suo torbido intreccio sub-giuridico di pubblico e privato, alle sue complicità col potere cosiddetto politico e l’amministrazione pubblica.

Se il titolo - solo quello - è sbagliato (perchè i sindacati non sono un’«altra» Casta, sono una sottocasta del blocco di potere strangolatore, clientelare e parassitario che chiamiamo Casta), il libro consente di constatare la sostanziale  identità fra ciò che chiamiamo «Casta» e ciò che si autonomina «Sinistra».

Un caso di scuola, da studiare nelle facoltà di economia.

Che i sindacati siano inadempienti, e che esistano e ingrassino a dispetto della volontà popolare, lo dice l’opinione pubblica: la percentuale di italiani che dichiarano fiducia nei sindacati è scesa in un decennio dal 10 al 4 %. Solo 4 italiani su cento hanno fiducia nella cosca: nulla di male, se se la pagassero loro. Ma la cosca inadempiente la paghiamo tutti, e due o tre volte: come lavoratori dipendenti, pensionati e come contribuenti.

Bilanci segreti

Ogni tanto la Guardia di Finanza fa irruzione in conventi di suore che fabbricano ostie, e li multa se trova «irregolarità» fiscali. Anche quei conventi, visto che svolgono un’attività produttiva, devono tenere un bilancio. La «Sinistra» cosiddetta ha condotto campagne feroci contro la depenalizzazione del falso in bilancio: non basta che gli autori del falso paghino ammende e sovrattasse, devono andare in galera.

Sola eccezione: i sindacati. Solo loro non sono tenuti a presentare un bilancio consolidato, tanto meno ai fini tributari. La Guardia di Finanza lì non irrompe mai. Secondo Daniele Capezzone, il giro d’affari di CGIL-CISL-UIL ammonta a 3.500 miliardi di vecchie lire. Si parla di un miliardo di euro per la CGIL, di 116 milioni per la UIL.

Non lo sapremo mai con precisione: «Fare i conti in tasca alle organizzazioni sindacali, che hanno ormai raggiunto un organico-monstre dell'ordine dei 20 mila dipendenti, è difficile, scrive Livadiotti, anche perchè le loro fonti di guadagno sono le più disparate», contributi, patronati, CAF (Centri di assistenza fiscale).

Posso confermare. Anni fa collaborai a una rivista sindacale per due o tre numeri. Ricevetti compensi di 300 mila lire. Attesi invano che mi arrivasse l’attestazione da allegare al 740 per cumulare quel reddito con gli altri ai fini tributari. Nulla. Non ce n’è bisogno, se paga il sindacato.

Posso quindi smentire Padoa Schiopppa: «non» pagare le tasse è bellissimo. Un compenso di 300 mila esentasse, netto e «legalmente in nero», equivale a un compenso da 500 mila da dichiarare. Bellissimo. M’immagino quanto sia bello per quelli che dai sindacati ricevono compensi per decine di milioni.

Come sono riusciti i sindacati a difendere questa loro esenzione, che risale a tempi immemorabili – esattamente come le esenzioni del «primo stato» di Versailles?

Nel 1998, un progetto di legge firmato da 160 parlamentari, guidati da un deputato di Forza Italia, cercò di obbligare i sindacati a dichiarare i loro redditi e introiti. I caporioni di CGIL-CISL-UIL gridarono all’«attacco contro i lavoratori». I deputati del centro-sinistra mandarono a picco il progetto di legge, con la scusa che le sanzioni previste per le violazioni, da 50 a 100 milioni, erano «antisindacali». Il falso in bilancio merita la galera solo se lo fanno i padroni.

Prelievi da paghe e pensioni

Questa esazione para-fiscale è la voce maggiore degli introiti sindacali. Come noto, con referendum del '94 il popolo italiano bocciò a schiacciante maggioranza questo prelievo automatico dalle buste-paga da parte di entità private (quali sono i sindacati). Come in tutti i referendum di allora, la volontà popolare è stata calpestata. Il prelievo abrogato esiste ancora. Come?

I sindacati fanno inserire questa clausola a loro favore nei contratti collettivi. Un semplice trucco che richiede la complicità di Confindustria e delle altre organizzazioni padronali, insomma delle «controparti». Non vorrete mica che la Fiat tolga il pane di bocca alla CGIL, a cui tanto deve. E’ così che agiscono le caste: Casta gratta Casta.

Bersani, nel suo decreto Bersani, s’era dimenticato di questo prelievo. Un emendamento di Forza Italia stava per metterlo in pericolo: richiedeva che la delega pro-forma, con cui il pensionato o il dipendente danno il loro consenso al preliero (consenso estorto, come vedremo), oggi praticamente a vita, venisse di tanto in tanto rinnovata. Un pericolo estremo. Sventato: il governo Prodi, la «sinistra», ha dato parere negativo.

I datori di lavoro si accollano il compito e i costi del prelievo, esattamente come fanno per i prelievi fiscali. Insomma tutti, anche quelli che dovrebbero essere gli avversari della Cosca, la trattano come fosse un pezzo di Stato.

Per i pensionati, il prelievo se lo accollano gli enti previdenziali. Nel 2006, soltanto l’INPS ha «girato» in questo modo 110 milioni di euro (220 miliardi di lire) alla CGIL, 70 alla CISL, 18 alla UIL. Il prelievo è dell’1% sui lavoratori, dello 0,40% per i pensionati.

Frutta alla Cosca, secondo Giuliano Cazzola, almeno un miliardo (di euro) l’anno: con precisione non si sa, non essendoci appunto bilanci. In teoria, un lavoratore o pensionato può chiedere per iscritto di essere esentato dal prelievo. I pensionati che ci hanno provato hanno scoperto che l’INPS ci mette almeno 14 mesi ad eseguire. L’INPS strascica i piedi.

Non è un caso: l’INPS «è» il sindacato. La Triplice gestisce l’ente previdenziale istituzionale. Non a caso, 6.220 posti e poltrone all’INPS sono occupate da sindacalisti ed ex-sindacalisti in pensione. Tutti a carico dei contribuenti, e dei pensionati.


Ma fossero solo quelli i costi per la società, potremmo essere contenti. Invece no: la Triplice conta 700 mila delegati sindacali, che prendono permessi retribuiti per un milione di giornate lavorative al mese. Con un costo per le imprese e in genere per la società produttiva di 1 miliardo e 854 milioni di euro l’anno.

Come si vede, il costo della Casta sindacale si avvicina già ai 3 miliardi di euro annui, 6 mila miliardi di lire.

Ma altri introiti vengono da:

CAF, Centri Assistenza Fiscale dei sindacati. Aiutano i pensionati a fare la dichiarazione dei redditi. Per questo servizio non richiesto (possono farlo commercialisti e consulenti del lavoro), la triplice riceve dall’INPS ogni anno 90 milioni, pari a 180 miliardi di lire. Per i lavoratori in attività paga invece il ministero delle Finanze: che gira ai CAF, ossia ai sindacati, 15,7 euro per ognuna delle 12 milioni e passa inviate al fisco dai CAF. Altri 180 milioni di euro, 360 miliardi di lire.

Non contenti, i sindacati si fanno pagare anche dal pensionato-contribuente che aiutano: 25 euro in media come contributo «volontario». La Corte di Giustizia Europea ha contestato già nel 2005 questo monopolio indebito su un servizio. Sindacati e governi se ne sono infischiati, e continuano ad  infischiarsene.

Ai 3 miliardi di cui sopra si devono aggiungere dunque questi altri 300-500 milioni di euro, considerando che i CAF si fanno pagare un’altra cinquantina di milioni per stilare i redditometri delle famiglie che chiedono contributi sociali.

I patronati. Sono gli enti dei sindacati che assistono i cittadini nelle pratiche previdenziali, cosa che dovrebbe e potrebbe fare l’INPS stesso. Per questo servizio superfluo i sindacati incassano lo 0,226% del totale dei contributi riscossi dagli enti previdenziali. Prima del 2000, questa cifra era calcolata solo sui contributi dei pensionati del settore privato, perchè le amministrazioni statali provvedevano in proprio a questo servizio per i loro dipendenti. Dal 2000, con legge votata quasi all’unanimità, i sindacati hanno ricevuto lo 0,226% anche sui contributi dei pubblici dipendenti. Sono almeno 350 milioni di euro l’anno (cifra del 2006).

Invece sono i sindacati che dovrebbero pagare, perchè i loro patronati sono  il loro primario mezzo di reclutamento. Chiunque si presenti a un patronato per farsi aiutare nella domanda di pensione, si vede sottoporre la delega – da firmare – in cui «volontariamente» acconsente alla trattenuta sulla busta-paga. Firmare è obbligatorio. Un vero racket, altro che Mafia. Secondo Cazzola, con questa trappola, solo nel 2005, i sindacati si sono aggiudicati 450.000 mila nuovi iscritti (e paganti).

I radicali, nel 2000, hanno proposto un referendum abrogativo dei patronati-sindacati: bocciato dallla Cosca Costituzionale, pardon, Corte. Bersani, nel suo famoso decreto in cui ha liberalizzato taxisti e barbieri, s’è dimenticato di liberalizzare questo monopolio-racket. Un emendamento di Forza Italia per liberalizzarlo è stato respinto. Dalla «sinistra». I patronati hanno sedi all’estero, anche in Australia. E naturalmente «gestiscono» i voti degli emigranti.

Formazione. Altro introito: 1,5 miliardi di euro l’anno vengono stanziati dalla UE per la «formazione professionale» in Italia. E dei 14 enti di formazione, 10 sono CGIL-CISL-UIL. Quei soldi se li prendono loro, almeno per metà.

Avete tenuto il conto? Dovremmo aver superato di molto i 4 miliardi di euro, 8 mila miliardi di lire. E’ già una mezza finanziaria.

Patrimonio immobiliare. A cui si deve aggiungere il patromonio immobiliare dei sindacati: inestimabile e inestimato, ossia mai valutato dal fisco. Solo la CGIL ha 3 mila sedi in Italia, di sua proprietà. La CISL, 5 mila. La piccola UIL fa gestire i suoi investimenti immobiliari da una società per azioni posseduta al 100% da Labour UIL.

Dovremmo ormai essere vicini ai 5-6 miliardi annui. Di euro. La Cosca Sindacale ci costa, come Paese, già come metà di una finanziaria. Mantiene così 20 mila dipendenti, di cui il 40% con qualifica da dirigente: un generale ogni soldato. Paghe medie, si può indovinare, sui 51 mila euro l’anno. Più telefonino con tetto di spesa di 780 euro l’anno: anche questo
un benefit in esenzione fiscale.

Vero è che i dipendenti non hanno le garanzie dello Statuto dei Lavoratori: quando imposero tale statuto, i sindacati, imposero anche la propria esenzione dagli obblighi dello Statuto. Dunque i dipendenti sindacali sono licenziabili senza causa: il che aumenta la loro «fedeltà» alla Cosca - proprio come i picciotti sono fedeli al capo-bastone - anche perchè la fedeltà è premiata con posti: all’INPS o al Parlamento, per i più meritevoli. I sindacalisti che finiscono a fare i parlamentari sono una miriade.

Come curano le nostre paghe. E magari si limitassero a divorare e a poppare, contentandosi di essere parassiti. No, naturalmente: vogliono anche «governare». Sedere ai tavoli col governo. Essere «consultati». La «concertazione» permanente, tanto raccomandata da Ciampi (il Venerato Maestro da 800 mila euro l’anno) è un elemento fondamentale del potere sindacale. Un potere, sia notato, non democratico (e chi li ha mai votati? Chi ha contato gli iscritti?), extralegale.
Un potere di fatto, come tutti i poteri delle Caste.

E questo potere ci costa ancora di più. Come mai il Paese col sindacato più potente abbia anche le paghe più basse d’Europa, è presto detto: perchè i sindacati impongono la contrattazione nazionale. Vogliono un solo contratto uguale per tutti i metalmeccanici, sia quelli Fiat sia i dipendenti di un battiferro di Canicattì. E’ ovvio che il salario metalmeccanico sarà quello dei battiferro di Canicattì. La Fiat ringrazia. E i sindacati mantengono il loro ferreo potere, con tutti gli artigli e le ventose succhianti della Prima Casta.

Non potrebbero mantenerlo, se non fosse grazie alla complicità di tutte le altre Caste: Confindustria, «Sinistra», magistratura, uffici tributari (durissimi coi deboli, inesistenti per i sindacati), Ciampi ed altri presidenti.

Come faccio a diventare un sindacato? La domanda nasce spontanea. Anche io, anche voi, in teoria, possiamo diventare un sindacato, ed avere le esenzioni e i privilegi della Casta. Dico diventare un sindacato, e non «un sindacalista»: dei 43 sindacati-Scuola, gli ultimi quattro sono composti di 1, dicesi uno, iscritto. Il più piccolo sindacato dei controllori di volo ha cinque tesserati.

Quindi anche voi, anche io, possiamo diventare un sindacato.

Sogno ad occhi aperti: Sindacato Maurizio Blondet. Segretario generale, Maurizio Blondet. Iscritti uno, Maurizio Blondet. Pensate che bello: niente più bilanci, niente più fatture, niente più controlli fiscali. Detassazione della casa (la sede). E denaro pubblico che arriva in varie forme. Potrei aprire un ente di patronato e farmi pagare dall’INPS. O un ente di formazione (per fancazzisti, per giornalisti, per ignoranti matricolati) ed accedere ai fondi europei.

Come si fa a diventare un sindacato di un solo iscritto? Eh, non è così facile. Bisogna, anzitutto, che ti facciano accedere a «un tavolo di trattativa». Bisogna insomma che la controparte - poniamo, un ente come Alitalia - ti riconosca come «rappresentativo», e ti faccia sedere al tavolo della «concertazione» quando si tratta di rinnovare i contratti.

Ovviamente, per non essere cacciato da quel tavolo, bisogna che CGIL-CISL-UIL  riconoscano la tua «rappresentatività». Che ti conoscano. Che ti strizzino l‘occhio. Pappa e ciccia. Aum aum.

E’ così che fuinziona il sistema della Casta in Italia. Cooptazione reciproca. Occhiolino. Pappa e ciccia. Sei «dei nostri». Aum aum. Lingua in bocca. Culo e camicia. Il tutto a spese del sistema-Paese.

E chi ha il coraggio di smantellare una simile cosca?


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