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Guardiamoli morire: il Reich lo vuole
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No, non si può dire che Gaza è ridotta a un campo di concentramento. Il nostro ambasciatore per primo – sempre i primi nella viltà – ha interrotto la riunione del Consiglio di sicurezza in cui il delegato libico ha fatto il paragone proibito.

Pierluigi Battista, il sub-direttore del Corriere, applaude. Anzi vi vede «il segnale di un sentimento politico di insofferenza per chi, all’interno e fuori del Palazzo di Vetro,  indugia ancora nel paragone tra la situazione di Gaza e quella dei campi di concentramento nazisti, avanzata dal rappresentante della Libia. La reazione stavolta è stata fulminea: non restava che lasciare quell’importante riunione per non accettare in silenzio quell’ennesima ingiuria contro Israele».

Si noti en passant la minaccia implicita: l’insofferenza per chi accusa Israele di genocidio cresce anche verso chi lo dice «fuori del Palazzo di Vetro». Ossia anche contro di noi, che da tempo chiamiamo Israele, con prove e fatti alla mano, Quarto Reich.

Ma non è qui il punto. Il lato sporco e ripugnante di questa uscita del nostro ambasciatore, Spatafora, e del giornalista-Batista è che essa avviene il giorno stesso in cui l’UNRWA, l’agenzia dell’ONU che distribuisce cibo d’emergenza ai più miserabili fra gli assediati di Gaza, ha smesso le distribuzioni perchè Israele non fa arrivare più il carburante.

Un milione di prigionieri, sul milione e mezzo dei rinchiusi a Gaza, non ricevono più questa sussistenza essenziale. Ma non si  può dire, non si deve. Cresce l’insofferenza contro chi lo dice. Questo, dopo oltre dieci mesi di quello che gli aguzzini chiamano, ridacchiando, «la cura dimagrante».

«I trasporti pubblici non funzionano più», scrive Le Monde (1), «le università e molte scuole sono chiuse. Le ambulanze, i generatori, le pompe per l’acqua  funzionano al rallentatore. Quindici motori diesel per i pozzi sono fermi, privando di acqua 70 mila persone, Dal 15 al 20 per cento della popolazione  ha l’acqua solo da tre a cinque ore al giorno», annuncia l’UNRWA. Le riserve degli ospedali sono sotto la soglia critica. La spazzatura non può più essere raccolta . 60 mila metri cubi d’acqua di fogna sono gettate in mare ogni giorno non trattate. «In certi quartieri c’è un odore terribile, certi viali sono sepolti dall’immondizia perchè il municipio non ha più carburante», dice Sarah Hammond, responsabile della Oxfam, agenzia umanitaria britannica.

Il sub-direttore dice che a giudicare Israele non ha diritto la Libia, «in cui il diritto è totalmente inesistente, le carceri rigurgitano di prigionieri politici, la tortura è una pratica diffusa e impunita, le libertà politiche e civili cancellate da regimi asfissianti». Ma Sarah Hammond non ha un nome libico, e non pare al soldo di Gheddafi.

E così nemmeno John Ging, il direttore della UNRWA sul campo, ha un nome libico.  Eppure  ha detto: «Le condizioni di vita nelle prigioni del mondo sono migliori di quelle della vita quotidiana nella striscia di Gaza».

Ha detto questo l’8 aprile, il blocco dei carburanti era cominciato solo da due giorni. Ora, 20 giorni dopo, la somiglianza con Auschwitz è più prossima.

«Sono tre settimane», dice John Ging, «che abbiamo avvertito le autorità israeliane del disastro che minaccia, e nulla è accaduto. Non avremmo dovuto arrivare a tanto. E’ un insulto alla dignità dei palestinesi e una violazione dei diritti dell’uomo e della legislazione internazionale» (2).

Taci, John: in Battista, e nei suoi padroni, cresce l’insofferenza per chi dice la verità. Farai una brutta fine, specie se sei americano. Perchè anche in USA «la tortura è una pratica diffusa e impunita, le libertà civili cancellate» dal Patriot Act. La Legge del Patriota ti ingiunge di tacere.

Macchè, lui insiste. Dice a Le Monde: «Gli israeliani dicono di aver abbandonato la striscia di Gaza, ma controllano tutto e fanno praticamente ogni giorno delle incursioni. Dall’inizio dell’anno , sono stati uccisi 53 ragazzi e bambini di meno di 18 anni e 117 sono stati feriti. Tutto questo fa’ parte della responsabilità di Israele. Tutto questo porta solo a più estremismo, più violenza, più odio. Perchè continua la politica del blocco?».

E’ facile rispondere, John: perchè Hamas ha offerto una tregua nei giorni scorsi, purchè Israele levi il nodo scorsoio alla sua popolazione. E perchè il coraggioso presidente Carter è andato a parlare con i responsabili di Hamas in Siria, e ne è tornato dicendo che la pace è possibile.

La risposta isrealiana è stata questa: stringere  il nodo scorsoio, accelerare lo strangolamento dei suoi prigionieri.

Quanto a Carter, Nobel per la Pace, è stato sepolto dagli sputi. «Carter è venuto nella regione con mani sporche ed è tornato con le mani sporche di sangue dopo averle strette a Khaled  Mashaal, il leader di Hamas», ha ruggito Dan Gillerman, ambasciatore di Sion all’ONU (3).

Lui sì, lui può usare questo tipo di linguaggio, può insultare una degna persona,  senza  suscitare «insofferenza». Battista  si unisce allo sputo.

Kanan Ubaid, viceministro dell’energia di Gaza (Gaza è un lager autogestito e bombardato quasi ogni giorno, una novità rispetto ad Treblinka; la prigionia con spese a carico dei prigionieri) dice  a Le Monde: «E’ la condanna collettiva a una lenta morte del popolo e dell’economia. E’ un crimine commesso sotto gli occhi della comunità internazionale che se ne fa’ complice».

E’ la pura e semplice verità. La Comunità europea sa quel che avviene, tanto che ha «esortato» il Reich giudaico a riprendere i rifornimenti; è la stessa Europa che – Italia in prima fila, sempre prima nel calcio al debole oppresso  – si alza e interrompe la seduta all’ONU, quando la verità viene detta.

Kanan Ubaid è persino troppo buono: la «comunità occidentale» è direttamente complice dello sterminio al rallentatore, ha contribuito allo strangolamento di Gaza da dieci mesi.

Ma si sa, Kanan Ubaid non è ascoltabile.  Bisognerà che stia attento il giornalista di Le Monde, che vede e testimonia la verità: deve capire che cresce l’insofferenza per la verità, che ci saranno conseguenze per chi osa dirla ancora. 

La questione è che Pierluigi Battista non maca di carburante nè di cibo. E’ ben pagato al Corriere; forse non tanto quanto Magdi Allam, ma certamente molto, molto. E’ pagato tanto appunto per manifestare la sua minacciosa  «insofferenza» verso la verità dei fatti. C’è chi è pagato molto e c’è chi manca di tutto, e viene lasciato morire di fame.

Tutto questo è stato previsto: «...che nessuno potesse vendere nè comprare all’infuori di coloro che portavano il marchio, cioè il nome della Bestia o il numero del suo nome».

Sono tempi in cui c’è un ricco mercato per le menzogne e per chi le propaga come vere. Le menzogne fioccano come neve, di questi tempi.

Il 6 settembre 2007 – forse lo ricorderete – caccia israeliani bombardarono un sito in Siria. Il 24 aprile 2008 gli Stati Uniti confermano con «prove» fotografiche l’asserzione di Israele, ossia che quel sito bombardato era un reattore nucleare, in cui la Siria si costruiva una bomba al plutonio con l’aiuto dei nord-coreani.

Otto mesi dopo. Perchè non dirlo subito? Perchè otto mesi dopo?

Persino la BBC esprime dubbi (4). Il fatto ricorda «quel febbraio 2003 quando il segretario di Stato Colin Powell andò alle Nazioni Unite con immagini ed audio che ‘dimostravano’ la presenza di armi di distruzione di massa in Irak. La cosa, a quanto pare il meglio che fossero riuscite a produrre le agenzie di intelligence Usa combinate – risultò sviante, a dir poco. In seguito nessuna arma fu trovata». Sto citando letteralmente la BBC: Battista rivolga a questa la sua insofferenza per la verità.

La prova contro la Siria, continua il network britannico, consiste in un video di 10 minuti. Ma «è composto di immagini ferme che, si sostiene, sarebbero state prese dentro l’installazione durante la costruzione. Ovviamente non c’è modo di verificare quest’asserzione in modo indipendente».

E’ la BBC, Battista, non sono io. Quelli sono giornalisti, Battista. 

Le immagini sembrano quelle di «un reattore moderato a grafite raffreddata a gas del tipo del modello nord-coreano a Yongbyon», dice la BBC, «Ma non si vedono segni di altri impianti di un programma di fabbricazione di bombe: un impianto per separare il plutonio, e la fabbrica per assemblare effettivamente un’arma. E se, come dicono gli americani, il reattore era quasi completato, di dove sarebbe venuto il combustibile all’uranio?».

Ma soprattutto, perchè fare un video, composto però di immagini fisse? Come si fa a sapere che sono state riprese proprio in Siria, e non in qualunque altro posto del mondo?

 Un «anonimo US official» dice alla AFP: «è una presentazione tipo Powerpoint, non è un video dell’impianto».  Dunque una specie di lavoro elaborato per «presentazione». Esattamente come la «presentazione» di Colin Powell del 2003, quando agitò un flaconcino con polverebianca che, giurò, era antrace iracheno.... E un altro, «che chiede di non essere nominato in quanto non autorizzato a discutere temi segretati», dice alla Reuters: «Fra le foto di cui dispone l’intelligence degli Usa c’è un’immagine di ciò che appare essere gente di discendenza coreana» (5).

«People of Korean descent  at the facility». Frase cauta e ridicola, anche i servizi si vergognano un po’. Quelli non saranno proprio coreani, ma «di discendenza coreana».

E come si fa ad appurarlo? Dal DNA?  Come si distingue, da una immagine, un coreano da un giapponese o da un cinese? Indossa una T-shirt con la scritta «I survived in Pyongyang?».

Infine il Financial Times ci dà la verità ultima: il tizio nella immagine è Chon Chibu, scienziato atomico nordcoreano che lavora a Yongbyong.  Naturalmente, nessun riscontro. Questi coreani si somigliano tutti. Bisogna credere sulla parola. A una presidenza americana che è già stata scoperta a mentire decine di volte.

E l’ultima, come abbiamo riportato, accordandosi con Israele in segreto, consentendo a Sion di ampliare gli insediamenti in Cisgiordania, mentre diceva che Israele doveva congelare gli insediamenti.

E’ un gran momento per le menzogne di Stato. E’ il nazismo, ma con l’aiuto della buona stampa liberale. Anche questo previsto, dall’Apocalisse.
Converrà ricordare che nessuna «segnatura» radiattiva venne constatata dopo il bombardamento di otto mesi fa in siria, e questo da geologi occidentali petroliferi, che controllano costantemente la radiattività ambiente.

Il capo della AIEA El Baradei  ha deplorato il ritardo nella rivelazione. Palesemente irritato: «L’agenzia tratterà questa affermazione con la serietà che merita e ne investigherà la veracità».

Ma già, El Baradei si chiama Muhammad. Viene da un paese, in cui «il diritto è totalmente inesistente, le carceri rigurgitano di prigionieri rinchiusi senza regolare processo, la tortura è una pratica diffusa e impunita, le libertà politiche e civili cancellate da regimi asfissianti»: che non è – come si potrebbe credere dalla descrizione – Israele, ma l’Egitto. «Amico» degli USA, tra l’altro.

Battista eserciti la sua minacciosa insofferenza. Dia il calcio dell’asino alla gente che muore di fame, accrediti come vere le menzogne di cui dubita la BBC. Si guadagni il grosso stipendio.




1) Michel Bole-Richard, «Etranglée par le blocus, Gaza sombre dans la misére et les pénuries», Le Monde, 25 aprile 2008.
2) «A Gaza, l’Onu cesse d e distribuer des vivres en raison d’une pénurie de carburant», Le Monde, 25 aprile.
3) Verena Dobnik, «Israel’s UN ambassador calls Jimmy Carter a bigot», Associated Press, 25 aprile 2008.
4) Jonathan Marcus, «US Syria claims raise  wider doubts», BBC, 25 aprile.
5) «US says North Korea gave Syria nuclear assistance», Reuters, 24 aprile. «A U.S. official, who asked not to be named because he was not authorized to discuss classified matters, said that among the intelligence the United States has was an image of what appeared to be people of Korean descent at the facility.


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