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La catastrofe dell’Occidente (parte I)
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Avvertenza preliminare

Sono ormai diversi anni che lo scrivente, insieme a pochi altri amici, va tessendo un ragionamento teologico, filosofico e storico, volto a separare l’identità e le sorti di Santa Romana Chiesa da quelle di un Occidente sempre più in corsa, come un inarrestabile treno ad altissima velocità, verso l’abisso del nichilismo. Un abisso che, poi, si tenta di riempire con il far vedere i muscoli di una volontà di potenza essa stessa già in via di esaurimento tecnico, militare ed economico. Un tentativo, questo, portato avanti in mezzo al rancoroso astio di certi settori cristianisti del mondo cattolico, i cui rappresentanti si sentono vieppiù crociati in armi a difesa di un Occidente ateo devoto confuso con la sopravvivenza, seppur residuale, di una non più sussistente, ed ormai, perduta Cristianità. Naturalmente aver denunciato che quella dell’americanizzazione della Chiesa è una via errata, è costato allo scrivente una serie di gratuite accuse che vanno dal cripto-cattocomunismo fino al catto-islamismo. E’, certo, più facile offendere che ragionare pacatamente. Un ostracismo di cui lo scrivente non si lamenta mentre cerca piuttosto di praticare, con cristiana pazienza e carità, la virtù della sopportazione verso i gratuiti detrattori. Questa pazienza, tuttavia, non lo esime da approfondire le ragioni teologiche e storiche che lo hanno portato a sostenere le sue posizioni. Pertanto, rielaborando diverso materiale, ha messo giù un intervento, piuttosto lungo, volto ad indagare proprio nella storia contraddittoria dell’Occidente non solo, questa volta, con il fine di demolire le costruzioni cristianiste ma anche con quello, come sarà chiaro soprattutto in conclusione, di tastare il terreno di una possibile redenzione storica dello stesso mondo occidentale. E siccome l’Occidente è soprattutto anglo-centrico, al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico, questo intervento verterà sui catastrofici percorsi storico-teologici del mondo anglosassone.

«Occidente cristiano»:
una definizione equivoca

Quando si dice, con troppa fretta e poca riflessione, che l’Occidente attuale, per via delle sue radici ebraico-cristiane ed ellenistiche, ha valorizzato l’essenza razionale dell’uomo, e quindi di conseguenza anche sviluppato le capacità di conoscenza scientifica e di approccio tecnico al mondo, si dice senza dubbio una cosa vera a condizione però di precisare che quello stesso Occidente ad un certo punto della sua storia ha voltato le spalle, con conseguenze catastrofiche, a quelle sue radici. Ciò è avvenuto esattamente ad iniziare dalla destrutturazione della Fede inaugurata da Lutero. Da quel momento il cosiddetto Occidente ha imboccato una strada, avulsa dalla Rivelazione, che lo ha portato agli attuali esiti nichilisti. Questo, poi, spiega il contrasto essenziale tra i proclamati principi umanitari e pacifisti di questo Occidente e la volontà di potenza che esso nella sua storia, anche moderna, ha manifestato verso il resto del mondo, in termini di dominio, sfruttamento coloniale e di guerre umanitarie. Naturalmente la volontà di potenza dell’Occidente post-cristiano non ha nulla a che fare con la fede in Cristo e ne è ad un tempo luciferina imitazione e tradimento. Ecco perché sbagliano quegli apologeti che, sulla scorta di certa storiografia americana alla Rodney Stark, schiacciano la Chiesa sull’Occidente. Se è vero che anche la porzione cattolica dell’Europa che fuoriusciva dall’età medioevale si lanciò protesa alla conquista del mondo, e non solo per evangelizzare, è altrettanto vero che le differenze tra europei cattolici ed europei protestanti si palesarono immediatamente e concretamente. Sotto questo aspetto, infatti, non bisogna mai dimenticare il differente approccio, verso i popoli nativi del nuovo mondo e quelli extra-europei, che la colonizzazione della Spagna asburgica, ed in misura minore del Portogallo e della Francia, ha adottato rispetto a quello dell’Inghilterra protestante e riformata: la prima tesa all’integrazione ed acculturazione tra la cultura dei nativi e quella dei coloni cattolici, fino alla creazione di nuove realtà popolari e culturali come già era accaduto con l’arrivo dei barbari durante l’ultima fase dell’impero romano, e la seconda, al contrario, fondata sostanzialmente sull’apartheid culturale e razziale.

Per volontà di Nostro Signore, la Chiesa cattolica è la depositaria della Rivelazione. Questa, la Rivelazione, di cui la Chiesa è appunto depositaria, è anche svelamento dell’ordine ontico (ossia il diritto naturale: già presentito, sebbene non pienamente, dai classici della Grecia e di Roma antica) che, per dirla con San Tommaso d’Aquino (I Ethic. Lez. 1-6), «ratio non facit sed solum considerat». Il che significa che al di fuori dell’alveo spirituale e culturale cattolico l’ordine ontico, il diritto naturale, non è più pienamente approcciabile e comprensibile all’uomo, proprio perché porsi al di fuori della Chiesa equivale a rifiutare la Rivelazione stessa, sigillata definitivamente da Nostro Signore Gesù Cristo, e quindi l’ordine naturale su di Essa fondato e che Essa svela pienamente. Da tale rifiuto derivano, poi, inevitabilmente tutta una serie di errori teologici, filosofici, politici.

Così, ad esempio, se l’etica antica e cristiana era ancorata al principio liberi nella verità, l’uomo occidentale moderno, che nasce dalla rivoluzione luterana e diventa maturo nell’area anglosassone ed oltreoceanica, si fa banditori della massima liberi dalla verità. Anche quando, è il caso del cristiano protestante, alla verità sembra tendere ma in realtà, rifiutando con la Chiesa cattolica la Tradizione apostolica, la ripudia. Solo il Logos cristiano che si è fatto carne, annunciato dal prologo al Vangelo di Giovanni, erede per il tramite ellenistico del Logos greco, ha reso possibile, come si è detto, lo giusta valorizzazione della razionalità umana, perché, contrariamente a quanto ha affermato in passato una storiografia filosofica ormai datata che utilizzava in maniera polemica il presunto contrasto tra Fede e ragione, la storia del pensiero cristiano, sin dalle origini patristiche, è quella dello sforzo incessante per rendere manifesto l’accordo della ragione naturale, reintegrata nella e dalla Grazia, e della Fede, ove questo accordo già esiste, e per realizzarlo ove in apparenza sembra non esistere.

Tutti coloro che ritengono l’attuale modello americano della libertà religiosa, di tipo soggettivista, in sostanziale continuità storico-filosofica con la Cristianità medioevale, per il tramite anglicano e preilluminista del giusnaturalismo moderno ispirato principalmente da Locke e da Burke, trascurano di riflettere a fondo sul processo storico che maturò in Europa con la Riforma e che se ha portato ad esiti diversi, rappresentati dalle due Rivoluzioni, quella Inglese/Americana e quella Francese, non è però diverso nella spuria radice teologica e filosofica che ne è all’origine, perché – sia detto con chiarezza – il giusnaturalismo moderno, anche quello preilluminista, è cosa assolutamente differente dal giusnaturalismo cattolico. Tanto che il primo si dovrebbe più propriamente chiamare gius-contrattualismo e non giusnaturalismo. Questo perché nel momento in cui, con la Riforma, si fuoriesce dall’alveo apostolico e cattolico, nel quale era maturata, come conseguenza dello svelamento cristiano dell’ordine ontico da Dio posto nel mondo, la conoscenza piena del diritto naturale, tutti i concetti teologici, filosofici, giuridici e politici, che di quel patrimonio teologico e filosofico fanno parte, cambiano completamente di significato, sia teoretico che pratico, assumendone ben altro, di tipo contrattualista ed individualista, anche laddove, come nel mondo anglicano, si pensi al tentativo di Richard Hooker, considerato una sorta di San Tommaso d’Aquino dell’anglicanesimo, si è cercato, nell’impossibilità non dichiarata di conservare la sostanza, di conservare perlomeno le forme cattoliche e medioevali senza però riuscirvi (cosa che è verificabile anche nell’architettura: basta, infatti, guardare alla cupezza, perlomeno interna, delle chiese inglesi riformate anche quando, come quella di San Patrizio a Dublino, risalgono nelle loro strutture esterne ad epoca medioevale cattolica).

Il covo inglese

Nell’estate del 2008 in TV fu trasmesso, a puntate, uno sceneggiato sui Tudor che descriveva abbastanza fedelmente (non certamente con esegesi filocattolica essendo un film di produzione britannica) la scena storica nella quale maturò la frenetica deriva dell’Inghilterra del XVI secolo verso lo scisma. La trama si snodava tra le lussurie di Enrico VIII, le avidità dei nobili cortigiani inglesi, l’infedeltà e la corruzione, salvo casi particolari ed eroici, del clero inglese, la dignitosa resistenza di Caterina d’Aragona molto amata dal popolo, i generosi quanto infruttuosi tentativi di San Tommaso Moro di fermare l’infezione protestante che avanzava.

Una scena di tale sceneggiato dava, in modo particolare, il senso di quanto andava accadendo in quello sventurato Paese agli inizi della modernità. Vi veniva raffigurato l’onesto ambasciatore spagnolo che, credendo di trovare attenzione, incalza il padre di Anna Bolena, assurto a ministro del re, per paventare con preoccupazione il clima ereticale che, come aveva potuto constatare di persona, si stava diffondendo ovunque . L’ambasciatore di Carlo V tentava di rammentare al suo interlocutore, in nome del Sangue redentore di Cristo e del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo, i diritti della Chiesa di Roma. Per tutta risposta, con suo totale stupore tanto che si segnava esorcisticamente con il segno della croce invocando l’aiuto della Madre de Dios, si sentiva dire dal Bolena che gli Apostoli erano stati soltanto dei farabutti interessati a sfruttare Cristo per il loro potere.

Ecco: questa scena cinematografica ha rappresentato molto bene la cesura storica del XVI secolo e la fuoriuscita di parte dell’Europa dall’alveo cattolico. Questa cesura, come si è detto, ha comportato anche l’impossibilità di restare saldi, pur nella conservazione apparente di forme tradizionali, nell’autentico Depositum Fidei Apostolico e, di conseguenza, nell’autentico patrimonio teologico e filosofico giusnaturalista senza inquinarlo in senso contrattualista e liberale. Quella cesura ha fatto perdere all’Inghilterra, più o meno repentinamente, come tralcio distaccato dalla vite e perciò destinato a seccare, ogni contatto con la Fonte stessa della Rivelazione, veicolata unicamente dalla Chiesa apostolica. Sul piano della filosofia politica ne è derivata conseguentemente l’incapacità per l’uomo anglicano di cogliere, sia teoricamente che praticamente, l’ordine ontico sul quale si basa ogni autentica e legittima politica.

Viene, in proposito, da chiedersi se i catto-conservatori, che anglicaneggiano sulla scorta di Edmund Burke, John Locke e Russel Amos Kirk, abbiano presente le aporie della loro posizione. E’ sufficiente allearsi con i settori conservatori dell’anglicanesimo, senza che questi tornino in seno a Santa Madre Chiesa, se poi tutto quel tralcio è un tralcio staccato dalla Vite?

La Chiesa cattolica allalba della modernità

La Chiesa, agli albori del XVI, era appena, faticosamente, uscita dallo Scisma d’Occidente del secolo precedente in condizioni a dir poco pietose. Mentre la cultura umanista tornava a ripaganizzare l’Europa, la Chiesa sembrava priva di forze, esangue, rassegnata alla mera conservazione di una gloriosa ma passata eredità, incapace di comprendere le possibilità ma soprattutto i pericoli del nuovo clima, spirituale e culturale, che l’età moderna andava diffondendo. Senza, poi, parlare della grande corruzione che regnava nei ranghi ecclesiastici, anche quelli più in alto. Un Alessandro VI Borgia, Papa peccatore ma anche umile confessore dei suoi peccati (tanto che non reprimeva le voci popolari sulla sua lussuria e si raccomandava alle preghiere di un sant’uomo come Francesco di Paola) – pur grande come sovrano e pur impeccabile nella difesa del Depositum Fidei – è in qualche modo l’emblema della decadenza, sotto il profilo morale, della gerarchia del tempo.

Sotto questo profilo la rivolta protestante ha svolto un ruolo provvidenziale nel senso, ben noto nella storia della Chiesa, per il quale Dio sa trarre, a confusione di Lucifero e seguaci, dallo scatenamento, che Egli permette, del mistero di iniquità un bene maggiore per la Sua Chiesa. Infatti la risposta alla rivolta luterana fu la Riforma Cattolica, quel magnifico Concilio di Trento con il quale la Chiesa seppe riaffermare e chiarificare la dottrina salvifica lasciatale in custodia da Nostro Signore e dare inizio ad un’opera di interna purificazione dei costumi, la cui precedente depravazione era stata per Lutero il pretesto polemico allo scopo di distruggere, se mai gli fosse stato possibile, la corporeità stessa della Cattolicità.

La grande fioritura di santità che anticipò, annunciò, accompagnò e seguì il Concilio Tridentino (Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Roberto Bellarmino, Camillo de Lellis, giusto per citare qualche nome) sta lì a dimostrare l’opera provvidenziale di Dio nel sostenere e sempre purificare la Chiesa: perché sono, appunto, i Santi e non gli eretici a riformare la Chiesa.

Ci piace riportare, in proposito, un editoriale di Civiltà Cattolica (1998 - 3562 - pagine 356-357) perché, a parte un ingeneroso appunto su Carlo V (in realtà lasciato solo e senza consiglio da parte di una Chiesa traballante ed incerta) descrive in modo eccellente l’opera della Provvidenza in quel XVI secolo, del quale stiamo trattando:

«Nel cinquecento la Chiesa ha visto il trionfo del paganesimo rinascimentale, il dilagare della corruzione, giunta con Alessandro VI fino al soglio pontificio, unincredibile ignoranza del clero, labbandono delle sedi vescovili, le pratiche simoniache, la scissione della cristianità occidentale a causa delle Riforme luterana e calvinista, il sacco di Roma, la minaccia dellinvasione turca. Sembrava che sotto tanti colpi la Chiesa dovesse crollare, tanto più che Carlo V, il difensore ufficiale del cattolicesimo, si alleava con i prìncipi protestanti, i quali si impadronivano della maggior parte delle regioni settentrionali dellEuropa, e Francesco I, re di Francia, si alleava con Solimano, il nemico della cristianità. Eppure, forse in nessun secolo della sua storia come nel Cinquecento la Chiesa diede segni più forti di vitalità. E straordinario il numero dei santi canonizzati vissuti nel Cinquecento. Eccone alcuni: Girolamo Emiliani, Antonio Maria Zaccaria, Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Gaetano da Thiene, Giuseppe Calasanzio, Filippo Neri, Francesco Saverio, Pietro Canisio, Francesco Borgia, Giovanni di Dio, Francesco Caracciolo, Giovanni Leopardi, Andrea Avellino, Pietro di Alcantara, Tommaso da Villanova, Tommaso Moro, Giovanni Fisher, Pio V, Stanislao Kostka, Luigi Gonzaga, Pasquale Baylon, Camillo de Lellis, Lorenzo da Brindisi, Turibio di Mongrovejo, Giovanni della Croce, Francesco Solano, Roberto Bellarmino, Angela Merici, Teresa di Gesù, Maria Maddalena de Pazzi (ci sia permesso aggiungere anche Teresa dAvila, nda) ecc.. E un elenco impressionante, anche se incompleto: si tratta, nella maggior parte dei casi, di giganti della santità cristiana, della carità, della mistica e dellapostolato cattolico. Non è tutto. Nel Cinquecento fu celebrato il Concilio di Trento il quale, da una parte, mise in chiaro la dottrina cattolica e, dallaltro, pose le basi per la riforma della vita cristiana; furono fondati molti ordini religiosi (teatini, scolopi, barnabiti, cappuccini, gesuiti, fatebenefratelli, camilliani, carmelitani scalzi, ecc.) che costituirono una delle forze ecclesiali più vive e attive; vennero aperte al Vangelo lAsia, lAfrica e lAmerica Latina; fu definitivamente respinta la minaccia turca con la vittoria di Lepanto; si riuscì a fermare la diffusione del protestantesimo nel sud dellEuropa e a riconquistare in parte il terreno perduto con la riforma luterana. Lo storico che si pone di fronte a questi fatti non può non essere sorpreso dalla capacità della Chiesa di riprendersi da pesanti sconfitte e di rinnovarsi continuamente; ma la sua sorpresa crescerà, se rifletterà che non soltanto essa è stata ed è combattuta da forze esterne ad essa assai superiori, ma è debole interiormente. Certo, se la Chiesa fosse stata e fosse forte e vigorosa e potesse quindi combattere con i suoi avversari ad armi pari, la sua sopravvivenza potrebbe spiegarsi; ma sfortunatamente la Chiesa è debole e divisa; ci sono in essa mediocrità, debolezze, peccati; cè spesso mancanza di intelligenza dei problemi, di strategie adeguate, di iniziativa e di coraggio. In realtà, i colpi più duri si sono abbattuti sulla Chiesa non dal di fuori, ma dallinterno, per opera dei suoi stessi figli: per causa loro essa ha versato le lacrime più amare e ha corso i più gravi pericoli per la stessa esistenza. La storia è piena di debolezze e di tradimenti perpetrati dai suoi figli ai suoi danni. Eppure, sottoposta ad attacchi combinati esterni e interni, la Chiesa non è finita, ma ogni volta si è ripresa vigorosamente, mentre i suoi avversari, tanto più forti di essa, sono scomparsi».

Lo scisma di Enrico VIII

Quando Lutero nel 1517 proclamò il suo non serviam, scambiato da papa Leone X – un Medici troppo occupato a favorire gli interessi della sua famiglia di banchieri per comprendere quel che stava accadendo – per una bega tra monaci, unico tra i sovrani d’Europa a prendere immediata posizione in difesa della Fede cattolica e romana fu Enrico VIII d’Inghilterra, che pubblicò un libello contro l’eretico tedesco (in realtà scritto dal suo consigliere, Thomas More, che più tardi farà giustiziare perché non consenziente con lo scisma da Roma). Questo gli valse il titolo di defensor Fidei.

Quanto, quella del Tudor, fosse una sincera professione di fede o invece una posizione strumentale è difficile dire. Probabilmente fu entrambe le cose. Fino a quel momento, infatti, Enrico VIII era davvero un cattolico fervente, nonostante le debolezze della carne già evidentissime in lui. Per il Tudor la conservazione della fede cattolica in Inghilterra era questione che egli sentiva come il principale suo dovere di sovrano. Tuttavia, Enrico aveva anche ereditato un regno dissanguato dalla trentennale guerra, civile, delle due rose, tra gli York ed i Lancaster, che si era conclusa con la vittoria di Enrico VII Tudor, padre di Enrico VIII ed erede dei Lancaster, a Bosworth, nel 1485, su Riccardo III di York.

Quando il giovane Enrico successe al padre, l’Inghilterra era una landa desolata ai margini dell’Europa. Onde poter rafforzare il regno, Enrico strinse alleanza con la Spagna asburgica, la potenza dell’epoca. Egli aveva sposato Caterina d’Aragona, sorella di Giovanna la Pazza (così detta perché, innamoratissima del marito Filippo il Bello, figlio del Sacro Romano Imperatore Massimiliano I - il loro fu uno dei rari matrimoni d’amore tra monarchi -, finì per manifestare una forma di latente ed ereditaria pazzia sconvolta dalle infedeltà del coniuge, poi stancatosi di lei).

Giovanna era la figlia dei re cattolici, Ferdinando ed Isabella, e madre di Carlo V. Caterina d’Aragona, pertanto, era la zia dell’Imperatore asburgico. Enrico VIII il 29 maggio 1520 concluse un trattato di alleanza con Carlo V, senza per questo chiudere i ponti con Francesco I di Francia, il grande rivale di Carlo per il trono imperiale, con il quale il sovrano Tudor si incontrò, nel giugno dello stesso anno. Enrico, in sostanza, giocava il ruolo del terzo incomodo tra i due litiganti, in attesa di poter fare le sue mosse nella direzione giusta per i suoi interessi.

Con Carlo V sul trono imperiale, Enrico capì che, alla lunga, l’Inghilterra non aveva speranze sul suolo europeo. Ma quella della Spagna asburgica era anche una potenza marittima globale: sull’impero di Carlo, secondo la propaganda dell’epoca, non tramontava mai il sole. Essendo essa un’isola ai margini dell’Europa, con la scoperte delle terre oltre oceaniche e con l’espandersi delle rotte commerciali verso oriente per via oceanica, l’Inghilterra si trovò nella naturale posizione di poter aspirare ad un impero coloniale di nuovo tipo, marino e non terrestre come nonostante tutto rimaneva per gran parte l’impero spagnolo ancora sostanzialmente eurocentrico. Lo scontro di interessi con la Spagna di Carlo era inevitabile.

A complicare questo quadro geo-politico intervenne il problema matrimoniale. Enrico invaghitosi di una cortigiana, Anna Bolena, spinta a sedurre il re dal padre e dallo zio, nobili di second’ordine che aspiravano ad entrare bene nel giro di corte, era intenzionato a ripudiare la buona e fedele Caterina d’Aragona. Roma, naturalmente, anche per via del fatto che si trattava della zia di Carlo V, imperatore cattolicissimo impegnato nella difesa dell’Europa dai turchi, nell’evangelizzazione del Nuovo Mondo e nella repressione dell’infezione luterana, negò l’assenso al divorzio. Si aprì una lunga disputa nella quale il re coinvolse i maggiori teologi e cardinali del regno per dimostrare la legittimità del suo atto di ripudio verso Caterina.

Era l’età nella quale i poteri dei monarchi stavano diventando assoluti e nella quale stavano nascendo le monarchie nazionali superiorem non reconoscentes che, alla lunga, avrebbero frantumato l’unitarietà politica della Cristianità europea proprio mentre, a causa della rivolta protestante, andava in pezzi anche l’unità religiosa. Non a caso, insieme alle monarchie nazionali apparvero immediatamente anche le chiese nazionali, la luterana, la anglicana, la gallicana.

Enrico, forse, avrebbe voluto evitare lo scisma ma non esitò a fare lo sciagurato passo quando gli sembrò necessario sia per poter sposare la Bolena (che, più tardi, avrebbe a sua volta ripudiato e mandato al patibolo) sia, soprattutto, per portare fuori l’Inghilterra dall’orbita asburgica e, in concorrenza con la Spagna, farne una grande potenza marina. Fu lui a porre le basi, poi consolidate dalla figlia Elisabetta, dell’impero globale inglese, che conservò la sua egemonia coloniale fino al secondo dopoguerra, per essere poi sostituito dal naturale erede statunitense. Un impero che fu caratterizzato da quella volontà di potenza occidentale, della quale si diceva prima, che pur agitando apparenti nobili scopi quali l’esportazione della libertà, e più tardi della democrazia e dei diritti umani, ha espresso nel corso dei secoli le peggiori e sanguinarie infamie dell’umanità, in termini di sfruttamento, genocidi, violenza. Un impero che, per i motivi che vedremo quando passeremo a trattare dei risvolti occulti e religiosi della storia dell’Inghilterra moderna, si è sempre ed ovunque fatto portabandiera dell’anticattolicesimo più fanatico.

Che Enrico perseguisse moventi politici e non innanzitutto religiosi è dimostrato dal fatto che, pur operando uno scisma, ponendosi a capo della chiesa anglicana, ossia separando la Chiesa d’Inghilterra da Roma, conservò, sostanzialmente, sia la dottrina che la liturgia cattolica. La svolta protestante, vera e propria, si avrà con sua figlia Elisabetta. Inevitabilmente, dobbiamo aggiungere. Infatti, quando il tralcio si separa dalla Vite è destinato a seccare. La Chiesa inglese una volta separata dalla sede di Pietro restò esposta ai venti ereticali che all’epoca scuotevano l’Europa. La gerarchia ecclesiale cedette ad Enrico, salvo rare eccezioni, sia per corruzione sia per l’inaudito potere che la monarchia nazionale aveva acquisito soffocando ogni autonomia religiosa, politica e sociale. Morto Enrico, e fallito il tentativo di restaurazione dell’altra sua figlia Maria, con l’avvento al trono della sorellastra Elisabetta le istanze ereticali penetrarono anche nel corpo dottrinale e liturgico della chiesa anglicana, facendone una sorta di luteranesimo con parvenza gerarchica. Della cui continuità apostolica si è sempre dubitato, tanto è vero che sin dai tempi di Leone XIII quando qualche vescovo o prete anglicano rientra in seno alla Chiesa cattolica è soggetto alla riconsacrazione sub conditione, ossia sotto la condizione che la consacrazione ricevuta con rito anglicano non sia più valida agli occhi di Dio.

La svolta protestante della chiesa anglicana non la preservò dalle critiche dei protestanti più radicali, i calvinisti, che, nel XVII secolo, trovarono in Cromwell un capo politico capace di instaurare per un breve periodo una repubblicana teocratica delle più intolleranti. Da questi protestanti radicali discendono i puritani che emigrarono verso le sponde nord-americane per fondarvi i primi insediamenti coloniali dai quali si svilupparono gli Stati Uniti.

Nel film Elisabeth, realizzato qualche anno fa, dedicato alla regina vergine – opera di chiara propaganda filoinglese nella quale l’intera operazione messa in atto tra Enrico e sua figlia è presentata come l’alba radiosa della moderna libertà contro l’oscurantismo medioevale cattolico ed ispanico –, vi è una scena nella quale Elisabetta, alla notizia dell’avvicinarsi della Invencible Armada,  si erge davanti all’assemblea dei nobili proclamando che se l’Inghilterra fosse stata invasa sarebbe tornata l’Inquisizione.

In realtà, l’Inquisizione dall’isola non si era mai allontanata. A quella cattolica, sostanzialmente mite perché non dipendeva sempre e comunque dagli interessi dei sovrani di turno, si era sostituita quella anglicana, di Stato, molto più ferrea e crudele. Della cui ferocia fecero le spese, insieme agli irlandesi, gli inglesi rimasti fedeli alla fede cattolica.

E’ ormai acclarato che la gloria nazionale inglese, William Shakespeare, fosse uno dei tanti cripto-cattolici costretti a nascondere la propria fede per tema della spietata inquisizione elisabettiana. A differenza di tanti altri cattolici inglesi, Shakespeare ebbe almeno modo di far intendere, a chi aveva orecchie per farlo, la propria fede cattolica tra le righe delle sue opere teatrali. Da parte nostra – sia detto per inciso – siamo tra quelli che volentieri avrebbero scambiato il successo della sfortunata Armada, che Filippo II spedì per invadere l’Inghilterra, con un pareggio a Lepanto (quest’ultima, infatti, fu una battaglia certamente importante ma vinta nell’ambito di una guerra, quella per Cipro, persa dai cristiani; una battaglia che non fermò affatto l’avanzata turca, tanto è vero che, sebbene ormai la Sublime Porta non possedesse più, se mai l’ebbe, la forza di invadere l’Europa, un secolo dopo i turchi erano alle porte di Vienna).

Le trasformazioni sociali nellInghilterra tudoriana

Vi è un altro aspetto da tenere in considerazione per comprendere quanto avvenne in Inghilterra nel XVI secolo, all’alba della modernità. Lo scisma fu, infatti, il risultato anche di trasformazioni sociali interne all’Inghilterra tudoriana. La vecchia aristocrazia feudale fu scalzata da un nuovo ceto di nobili ambiziosi di accaparrare terre e domini a scapito della Chiesa cattolica, in questo appoggiati dalla monarchia che aveva mire analoghe per rafforzare il proprio assolutismo regio, nonché da una borghesia finanziaria e mercantile, spesso in stretti rapporti, e non solo d’affari, con le coeve comunità ebraiche, che reclamava a gran voce una politica volta verso il dominio degli oceani e delle terre oltremarine.

Le idee del libero scambio, ossia la teorizzazione dello scambio ineguale che si instaurò poi nel Commonwealth britannico rendendo le economie dei Paesi colonizzati dipendenti da quella inglese, iniziarono a forgiarsi nelle temperie religiosa e politica che andava scuotendo l’Inghilterra tudoriana. Gli stessi parenti di Anna Bolena facevano parte di questo nuovo ceto aristocratico-borghese che si stava impadronendo delle redini del Paese. A danno, certamente, della Chiesa, che infatti, con lo scisma di Enrico prima e la successiva radicalizzazione elisabettiana del medesimo, fu letteralmente depredata di ogni suo avere immobiliare, ma anche – mai lo si dimentichi – a danno dei ceti più poveri che per secoli nella Carità della Chiesa, che Essa poteva esercitare proprio per mezzo dei suoi possedimenti, avevano trovato sostegno.

Dalle terre che venivano tolte, dalla corona e dai nobili, alla Chiesa, i contadini, ridotti in condizioni peggiori di quelle nelle quali vivevano sotto il paternalismo cattolico e privati dell’uso comunitario delle terre ecclesiali, venivano cacciati o costretti ad andarsene per ingrossare la massa dei mendicanti del sottoproletariato urbano necessario all’espansione marittima del Paese.

Le trasformazioni sociali dell’età tudoriana sono state ben descritte da uno scrittore inglese, non certo sospettabile di simpatie cattoliche, Aldous Huxley in un’opera che vede come protagonista una famiglia della nuova borghesia mercantile del XVI secolo:

«Enrico VIII – scrive il nostro autore – aveva bramato una donna giovane e desiderato un figlio e Papa Clemente VII non aveva voluto concedergli il divorzio. I monasteri di conseguenza furono soppressi. Ma i Tantamount acquistarono alcune dozzine di miglia quadrate di terra arabile, di foreste e di pascoli. Pochi anni dopo, sotto Edoardo VI, si impadronirono di due istituti soppressi, e i ragazzi rimasero ignoranti perché i Tantamount potessero arricchirsi. Le loro terre erano coltivate scientificamente e ne traevano il maggior profitto» (1).

E’ da notare che questo aspetto di rapina sociale a danno della Chiesa e dei poveri ha costituito, nei secoli successivi, una costante dell’aggressione rivoluzionaria contro la Fede cattolica. La cupidigia di mettere le mani, con la scusa dell’improduttività della manomorta ecclesiale, sulle terre della Chiesa, dalle quali traevano sostentamento i ceti più poveri, la ritroviamo puntualmente tra i giacobini, i liberali risorgimentali, i mazziniani, i comunisti.

Per approfondire la questione, lasciamo la parola ad una storica:

«Come in ogni epoca di rapido sviluppo sociale – scrive Maria Luisa Rizzatti – il boomdellInghilterra elisabettiana crea un vasto numero di spostati e di disadattati. Il fenomeno è più vistoso nelle campagne, dove è in atto una radicale trasformazione dalleconomia dei tempi medioevali e dallassetto sociale che ne derivava. Ormai quasi tutti i lavoratori sono uomini liberi, almeno formalmente e prestano la loro opera come salariati, pagando un affitto per la casa (il solito cottage ricoperto di stoppie) e per il podere ai grandi proprietari terrieri. E una posizione più fluida rispetto a quella dei villani del Medioevo, tutti più o meno vincolati alla terra ricevuta in cambio del lavoro (…). Una situazione più fluida… ma altrettanto difficile. Durante il regno di Enrico VIII sono praticamente scomparse le proprietà monasteriali, inglobate dai latifondisti, che, sotto la spinta della crescente richiesta di lana per i mercati interni ed esteri, sono sempre più propensi a dedicarsi allallevamento intensivo di pecore, destinando a pascolo la maggior parte delle terre. Nascono le enclosuresossia i vasti recinti limitati da palizzate, entro i quali le greggi dei padroni possono brucare interminabilmente, sorvegliate da un paio di pastori; mentre tutti gli altri lavoratori agricoli che solevano un tempo essere impiegati nella medesima campagna restano a guardare per aria sul sagrato della chiesa. Alcuni allevatori di pochi scrupoli… arrivano a includere nelle palizzate anche i commons’, ossia gli apprezzamenti di terre comuni a ciascuna parrocchia, che servivano alla gente del villaggio per farvi pascolare le proprie bestie. Il paternalismo del Medioevo sparisce rapidamente; la nuova società non conosce che le dure leggi del profitto. Così la situazione degli anziani, degli ammalati e dei disoccupati diviene presto disperata. Dice un osservatore del tempo: ‘Giacciono nelle strade, come capita di vedere sovente, e sono lasciati morire come cani, come bestie, senza misericordia’. (…) il proletariato agricolo (è costretto a) cerca(re) altre mète…: il miraggio sono le città lontane. Chi può si inurba. Laffluire delle masse rurali verso le città, caratteristico dellepoca elisabettiana, va ad ingrossare le fila della manodopera artigianale e industriale, e contribuisce ad abbattere il sistema medioevale delle corporazioni, a profitto del nascente capitalismo. Le Guilds’ (corporazioni darti e mestieri) un tempo potentissime, ora savviano al tramonto. Contro di esse lottano… i grossi imprenditori, insofferenti dei limiti che gli statuti corporativi pongono alliniziativa individuale… (alla fine del sistema corporativo contribuiscono coattivamente) gli stessi lavoratori pronti ormai ad accettare salari da fame pur di uscire dalla disoccupazione (…). La presenza delleGuilds in epoca medioevale aveva in molti casi ostacolato il libero svolgimento dei traffici. Tipico il caso dellindustria della lana, pilastro delleconomia inglese sin dal quattordicesimo secolo (…). Il numero delle operazioni da compiersi prima che la lana grezza sia trasformata in tessuto è molto complesso (…) Per eseguire una commissione occorreva mettere daccordo quindici corporazioni. Al tempo di Elisabetta, questi sistemi antiquati sono giudicati intollerabili. Al posto delle Guilds sorge la nuova classe dei mercanti capitalisti. Hanno danaro; comprano vasti quantitativi di lana e pagano degli operai per cardarla, filarla, tesserla. Poi rivendono il panno rifinito. I profitti sono grossi, e grossi anche gli abusi (che le Guildsun tempo reprimevano): uno di questi mercanti, John Winchcombe, accumula una vistosa fortuna e paga ai suoi operai tariffe da fame: circa sei soldi al giorno. Il governo… cerca di sostituirsi alle corporazioni nella tutela dei lavoratori (…). I salari devono essere fissati e approvati dai Giudici di Pace. Tuttavia gl’imprenditori trovano la maniera di aggirare anche questa legge, ingaggiando lavoratori fuori delle città e distribuendo loro del lavoro a domicilio, perché il controllo risulti pressoché impossibile; inoltre è noto che i campagnoli, perennemente minacciati dalla disoccupazione a causa del sistema delle enclosures’, accettano qualsiasi salario, per iniquo che sia. Il governo, per procurare maggior lavoro alle città, emana leggi che impongono ladozione di berretti di lana a tutti gli operai e artigiani (…). Inoltre, per incoraggiare il sorgere di nuove industrie, concede monopoli sul rame, sul sale, sullo stagno a diversi capitalisti per un certo numero danni (tra questi monopoli comparirà, nel 1694, quello concesso al finanziere ed avventuriero rosacruciano William Paterson sull’emissione della moneta, atto che costituì la nascita della Banca d’Inghilterra, prima Banca Centrale privata della storia, nda). (…). Il nuovo tipo di datore di lavoro, che compera materiale grezzo allingrosso e vende poi il prodotto finito, fa sorgere i primi esemplari di stabilimenti (…). Durante il regno di Enrico VIII… un certo James Newbury allinea ben duecento telai in un unico stanzone e dà lavoro a duecento tessitori. (…) favorevole alla borghesia… il governo dei Tudor (e specialmente quello di Elisabetta) sostiene lintraprendenza della classe mercantile (…). La regina probabilmente non dimentica che un antenato di sua madre, Anna Bolena, si guadagnava la vita col commercio della seta e della lana. Questo nonno mercante, allepoca in cui i Boleyn ottennero patenti di nobiltà, fu tenuto nascosto come una vergogna di famiglia: ma con i tempi nuovi e la nuova mentalità che si diffonde, un simile atteggiamento appare sempre più incomprensibile. Le imprese dei grandi mercanti, la loro scalata alla prosperità, colpiscono limmaginazione popolare come un tempo le storie dei cavalieri erranti e dei paladini. Sir Richard Whittington, per tre volte sindaco di Londra, diviene… una delle prime celebrazioni del mito anglosassone del self made man’, luomo che si è fatto da sé (…). Whittington, grande commerciante, prestò danaro alla Corona e… si rifece ampiamente con i diritti di dogana. Un altro nome celebre è quello di William Canynges, mercante di stoffe di Bristol, che ha ai suoi ordini ottocento marinai (…). Questo mercante riceve in casa propria delle teste coronate… in una sola sera intrattiene a banchetto ben cinque re» (2).

L’ultima speranza

Nel 1547, alla morte di Enrico VIII, l’entourage di corte spinse l’acceleratore in senso filo protestante per completare gli effetti dello scisma. Come si è detto, il vecchio re Tudor pur postosi a capo della chiesa d’Inghilterra, separandola da Roma, non aveva permesso trasformazioni dottrinali e liturgiche di rilievo. Suo figlio, Edoardo VI, frutto del terzo matrimonio dopo la decapitazione della Bolena, era minorenne quando salì al trono. Il governo del Paese cadde pertanto nelle mani degli esponenti di corte più compromessi nel mercimonio dei beni ecclesiastici e che non intendevano certo restituire il maltolto. Per costoro un passaggio deciso verso il protestantesimo era ormai faccenda di prioritaria importanza.

L’ostacolo maggiore che si presentava ai reggenti filo-protestanti era il popolo inglese rimasto, nella sua maggioranza, cattolico. Esso aveva già dato segni di forte malcontento quando Enrico proclamò lo scisma – ed infatti il re fu costretto a reprimere diverse ribellioni popolari – ma il mantenimento di dottrina e liturgia aveva in qualche modo placato l’indignazione popolare. Ma quando i nuovi reggenti optarono per il calvinismo, la ribellione riprese forza e con essa anche la repressione sanguinosa. Insieme alla svolta calvinista, il nuovo regime intensificò la spoliazione dei beni ecclesiastici, consolidando il potere fondiario e finanziario del nuovo ceto aristocratico-borghese sul quale si appoggiava la corona nella debole figura di un bambino. Edoardo, però, gracile di salute, morì nel 1533.

La morte del piccolo sovrano rischiò di mettere fine al disegno dei riformatori politico-religiosi, che si trovarono nella situazione di non poter impedire che sul trono salisse, secondo la legittima linea dinastica, Mary Tudor, figlia della sfortunata Caterina d’Aragona, prima moglie di Enrico VIII.

All’atto del divorzio, la piccola Mary era stata separata dalla madre, che, in previsione del suo futuro ruolo di regina, l’aveva educata cattolicamente. Mary, relegata lontano dalla corte, subì ogni angheria possibile da parte della Bolena, soprattutto quando costei diede alla luce sua figlia Elisabetta. La Bolena si adoperò in ogni modo per favorire l’ascesa della figlia a scapito della sorellastra di primo letto. Mentre in tutto il regno imperversava lo scisma e si diffondeva il protestantesimo, Mary, degna figlia di una grande regina spagnola di sangue asburgico, continuò a praticare pubblicamente, a rischio della vita, la fede cattolica ereditata dalla madre e mai volle cedere né a minacce né a lusinghe per indurla all’abiura.

Quando il sedicenne Edoardo morì, i reggenti protestanti tentarono di impedire che al trono salisse Mary incoronando una discendente protestante del vecchio Tudor, Lady Jane Grey, nuora dell’ambizioso duca di Northumberland, uno tra i più decisi fautori della Riforma. La Grey regnò per soli dieci giorni perché la risoluta Mary marciò su Londra, forte soprattutto dell’appoggio popolare, e vi entrò trionfante, benché dal cugino Carlo V non gli giungesse alcun soccorso, nonostante essa fosse sposata a suo figlio Filippo.

L’ascesa di Mary, in mezzo ad un tripudio popolare indicibile che fece comprendere ai protestanti quanto il Cattolicesimo non sarebbe stato sradicato dall’Inghilterra senza violenza, comportò il momentaneo ritorno del regno alla fedeltà alla Chiesa di Roma e la fine dello scisma.

La storiografia ha col tempo corretto molti giudizi sulla figlia di Caterina d’Aragona, la cui memoria è stata propagandisticamente oltremodo infangata dai tempi di Elisabetta. Mary fu regina amatissima dal popolo inglese che lo scisma lo aveva subìto più che voluto.

Persino un testo di storia filo-elisabettiano è costretto a riconoscerlo:

«Gli inizi del suo regno furono felici ed ella, che non mancava di intelligenza né di coraggio, fu una regina amata (…). Maria è passata alla storia come la Sanguinaria’, anche se i roghi da lei accesi furono pochi …» (3).

L’accusa storica che è stata fatta pesare su di lei è quella di aver praticato l’intolleranza religiosa perseguitando i protestanti e condannandone un’enormità al rogo. Tuttavia questo giudizio non tiene conto del fatto che nel XVI secolo nessuno, né da parte cattolica né da parte protestante, aveva idea di cosa fosse la tolleranza religiosa nel senso in cui la si intende oggi. Si tratta dunque, per Mary, di un giudizio storicamente viziato da anacronismo e, come detto, caricato di intenti propagandistici di parte protestante.

Le guerre di religione del XVI secolo furono cruentissime da una parte e dall’altra, vittime e carnefici vi sono distribuiti in pari misura. La propaganda protestante è riuscita a consegnare alla storia il mito, falso, della Bloody Mary, di Maria la sanguinaria, perché serviva per contrapporla, sempre con intenti propagandistici, all’altrettanto falso mito della Good Queen Bess, la buona regina, Elisabetta. Ma la storiografia per sua natura è sempre revisionista. I giudizi, con il tempo, si raffinano, ed a volte cambiano, mano a mano che più accurate ricostruzioni, più approfonditi esami documentaristici e la scoperta di nuovi documenti consentono agli studiosi di meglio comprendere il passato. Il che non significa necessariamente giustificare.

I roghi di Mary ci sono stati. E’ innegabile. Ma non nella misura voluta dalla propaganda protestante. Quei roghi furono, poi, spesso causati da spirito di vendetta non della regina quanto di alcuni suoi collaboratori, tra i quali gente di malaffare che aveva già cooperato con Enrico VIII nello scisma e che, cambiato il vento, aveva pensato di ritornare all’ovile, per poi, con Elisabetta, riprendere la strada dell’apostasia religiosa. Gente avvezza a cambiar repentinamente partito ed a saltare sul carro del vincitore, come tanta ve ne è sempre stata in ogni epoca e tanta ve n’è anche oggi. Gente che, per zelo di lacché o per far dimenticare antiche scelte rivelatesi strategicamente sbagliate, è adusa più di altra alla vendetta, spesso contro gli antichi commilitoni.

«… tra i nobili e i vescovi scrive Elisabetta Sala – , quelli che erano stati i cattolici apostati che, diversamente da Mary, si erano piegati come fuscelli sotto Enrico ed Edoardo, vollero dimostrarle il loro ritrovato ardore…; fu anche per questo che partirono i roghi. E qui il discorso si fa complesso. Innanzitutto lunica autorità in materia, lunico documento che li attesta con precisione non è lopera di uno storico ma bensì di John Foxe, un fervoroso apologeta protestante che ai tempi della persecuzione maryana non era nemmeno in Inghilterra. Fu Foxe a coniare lepitoteBloody’, sanguinaria, maledetta (…). Nel suo celebre Book of Martyrs egli enumera ben 273 vittime (…). Diversi storici del nostro tempo hanno però dimostrato come egli avesse gonfiato le cifre (…). I roghi, quanti che fossero, rimangono comunque un fatto storico e non si può certo difenderli. Però si possono, anzi, si devono collocare nel loro giusto contesto (…). Le condanne alla pena capitale erano in quei luoghi e in quei tempi talmente frequenti e diffuse che i roghi maryani non andarono ad incidere che minimamente sulle esecuzioni annuali, che erano circa ottocento lanno e si applicavano anche ai reati minori quali il piccolo furto; né i condannati a vari misfatti smisero di essere arsi dopo la morte di Mary. Furono certo ingiusti, ma non crearono scalpore. Quelli che per Foxe furono i martiri più santi… erano in realtà… i peggiori nemici politici della regina, quelli che avevano continuato a tramare contro di lei ed a insultarla in quanto illegittima, i quali sarebbero stati comunque condannati a morte per alto tradimento. Ebrutto dirlo, ma i roghi ebbero luogo anche perché la gente non li disapprovava; al contrario, li incoraggiava e persino, a volte, li strumentalizzava per regolare vecchi conti in sospeso e per vendicare… i torti subiti sotto Edoardo (…) numerose condanne furono una dimostrazione di zelo da parte di chi si era macchiato di apostasia e ora voleva dimostrare la propria ortodossia alla regina… i condannati erano mandati al rogo da coloro che fino a pochissimi anni prima li avevano portati fuori strada, predicando che il Papa era lanticristo e ora avevano ritrattato dichiarando di essersi leggermente sbagliati (…). Non furono pochi (poi) coloro che, appartenenti ai ceti medio-bassi, furono mandati a morire proprio dai loro dotti correligionari, i quali, dal loro comodo esilio, li spingevano a resistere fino alla morte (…). Molti dei condannati erano fanatici che insistettero deliberatamente nel bestemmiare il Santissimo Sacramento anche dopo essere stati graziati. La vulgata ufficiale dimentica… che la maggior parte dei processi si concluse in realtà con lassoluzione, non con la condanna. Nellultimo anno del regno di Mary, il 1558, sia i persecutori che i perseguitati divennero meno intransigenti. Nel frattempo il programma di rieducazione del popolo, affidato al grande cardinale Reginald Pole (1550-1558) procedeva a gonfie vele e secondo i dettami dei decreti tridentini, che furono così applicati in Inghilterra ancor prima della chiusura del Concilio. Fu tutto un rifiorire di entusiasmo e di vocazioni religiose, che languivano dai tempi di Enrico VIII. Lélite protestante era disperata e invocava il regicidio come unico rimedio. Sennonché a questo punto, commenta lo storico Christopher Haigh Mary commise il suo unico errore grave, anzi, fatale: morì’. E il trono andò alla sorellastra protestante» (4).

Mary aveva fatto arrestare, rinchiudendola nella famigerata Torre di Londra, la sorellastra Elisabetta perché sospettata di aver partecipato alla congiura di sir Thomas Wyatt, fanatico protestante che tentò di uccidere la sovrana. Tuttavia, un po’ per motivi politici – ossia dimostrarsi giusta e non vendicativa –, un po’ per rispetto del legame paterno che la univa a lei, Mary, dopo tre mesi, graziò Elisabetta pur spedendola in esilio a Woodstock, un triste castello nell’interno del regno.

La fazione protestante, alla morte di Mary, rialzò immediatamente la testa. Durante il regno della figlia di Caterina, l’élite riformata non aveva cessato di mantenere stretti rapporti con la rete internazionale protestante europea. E non si trattava, come vedremo fra breve, di legami esclusivamente politici.

(continua)

Luigi Copertino





1) Confronta A. Huxley, Punto contro punto, Mondadori, Milano, 1980, pagina 19.
2) Confronta M. L. Rizzatti, schede numero 7, 28 e 29, pagine 115-117, in autori vari, I Grandi della storia -Elisabetta I dInghilterra, volume 11, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1970.
3) Confronta Enrica Cantani, in autori vari, I Grandi della storia - Elisabetta I… opera citata, pagina 20.
4) Confronta E. Sala, Maria la sanguinaria, in Il Timone, numero 93, anno XII, maggio 2010, pagina 24. Si veda della stessa autrice anche il recente Elisabetta La Sanguinaria, Ares, Milano, 2010, che smonta la leggenda nera sulla povera Maria dimostrando che quanto a lei imputato fu invece pratica di governo, sanguinaria, della sorellastra Elisabetta I.


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