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L’impero della comunicazione, e noi vittime
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Un lettore scrive:

«Caro Direttore,

stiamo vivendo un momento cruciale della nostra storia cattolica. E se Lei, e quelli come Lei, cercano meritoriamente di investigare su questo, su quello, sul passato e sulle risultanze archeologiche, per altro verso ogni giorno si fa sempre più pressante, più soffocante il laccio che stringe il nostro collo di cattolici che vogliono proclamarsi tali nei fatti, pur se chiaramente uomini e donne peccatori/trici. Ma come si fa a difendersi, di più, a contrattaccare queste forze del Male che si stanno insinuando in ogni dove, senza che qualcuno di noi possa fronteggiarle seriamente? Dove sono i cattolici, dov’è occultata la loro voce che dovrebbe tuonare, quando ad esempio un Corriere della Sera nel suo inserto periodico del 14 ottobre, spara in copertina il libro di quella grandissima puttana che risponde al nome di Melissa P., la quale, ispirata in negativo, celebra il rapporto a tre come una normale “nuova frontiera”
cui tendere? E’ evidente che un'acquiescenza generalizzata da parte di chi si professa cattolico, porta acqua al mulino dei “progressisti” che Lei ben conosce? Ma anche gli uomini di Chiesa perchè non muovono le acque, perchè non parlano di moralità massacrata?

Le vicenda dei preti pedofili è stata veramente una sciagura per la Chiesa, ma ciò non deve giustificare assolutamente questa apatia generale del clero che ritengo in grandissima parte ancora sano. E allora? Cosa si aspetta a muoversi? Perchè i cattolici non si mobilitano? Che cosa fanno questi dannati ciellini, sempre pronti ad organizzare convegni, incontri, dibattiti, invece di organizzare manifestazioni di dissenso civile, ampio, duraturo, non violento, ma visibile, riscontrabile sulle piazze, nei circoli, in TV, per radio, nelle scuole contro questo dilagare dell’amoralità? Da chi andremo, se non sappiamo neanche farci rispettare?


Luciano
»



Capisco la sua esasperazione per l’afonia spettrale del cattolicesimo di fronte all’oltraggiosa, onnipervadente ideologia che i media trasmettono senza un attimo di respiro: in incitamento continuo ad allargare il campo dell’argomentabile, in nome della trasparenza e del diritto allinformazione e alla lotta contro i tabù, in cui tutti possono discutere tutto, rifiutando ogni giudizio di valore e persino ogni punto di riferimento culturale, rifiutando ogni responabilità educativa in nome della comunicazione totale, un trionfo ripugnante di relativismo al ribasso.

Noi cattolici sappiamo per esperienza che per il solo fatto che un argomento omicida e anticristico venga inserito nel dibattito pubblico (dei talk-show, in TV), abbiamo già perso: laborto è un diritto, leutanasia, perchè no?, droga libera: parliamone, parla il transessuale appagato, è una lunga storia di sconfitte. Non ce la facciamo, siamo comunque perdenti e insultati (moralisti oscurantisti, reazionari, liberticidi) per il fatto che oggi si può parlare di ciò che per secoli è stato escluso dal discorso pubblico, per comune senso del pudore. Mi aspetto, in un prossimo futuro, il movimento cannibalismo fra adulti consenzienti: con relativi dibattiti TV. Sappiamo già che il cannibalismo diverrà un diritto accettabile nella civiltà occidentale, da regolamentare con legge dello Stato. Ci diranno pure: voi cattolici volete la censura...

Ma non mi chieda dove sono i cattolici capaci di tuonare. Lei sembra pensare ad eserciti di credenti, che non ci  sono più; sono anche loro stati ingoiati dell’antropologia mediatico-relativista che tutti ci domina – e che ci cambia dentro.

Quanto agli uomini di Chiesa, io che ho lavorato per oltre 15 anni ad Avvenire, ho toccato con mano la loro patetica incomprensione del sistema mediatico e dell’ideologia totalitaria vigente nell’informazione, dei suoi trucchi sporchi, dei suoi padroni, delle sue regole interne e non scritte, ma d’acciaio.

Anzitutto, nessun cardinale parlerebbe, come lei, di moralità massacrata: espressione troppo forte, troppo antagonizzante, dal Concilio mai nessuna polemica (figurarsi un conflitto) col mondo, meglio dire la (mezza) verità col linguaggio untuoso e spento, ripetitivo e catechistico, che i prelati hanno imparato 50 anni fa nei seminari, e che non ha luogo nel sistema TV. Si fanno dei giornali e cercano di ringiovanirli (veda la grafica giovanilista di Avvenire, l’incursione nell’attualità dell’Osservatore Romano), ma sono condannati alle eterne poche copie. Il sistema mediatico si accorge di loro solo quando, per caso, attaccano Berlusconi.

Basti evocare Sat 2000, la TV che i vescovi italiani hanno voluto comprare pagandola parecchie centinaia di miliardi di lire, per poi affidarla al loro Dino Boffo, il laico più clericale disponibile sul mercato: risultato, una TV a telecamera fissa sul monsignor X e il cardinale Y, conduttori in triste giacca marrone e facce da sacrestia, concerti classici, che nessuno guarda mai.

Ma si arrabattano, poveretti. A volte giornalisti (laici credenti, non preti) osano giudizi forti e taglienti, parlano nel duro linguaggio del Vangelo, sempre sconvolgente (se non vengono censurati dai prudenti prelati). Il fatto è che il clero resta attaccato ai suoi bollettini parrocchiali, e che l’alto clero non ha la minima nozione di vivere sotto il tallone dell’unica utopia del ventesimo secolo che abbia avuto successo dopo fascismi e comunismi: l’utopia della comunicazione. La sola, temo, che sia riuscita davvero a creare l’Uomo Nuovo: l’Homo Communicans, un essere senza interiorità e senza principii, per il quale vivere è scambiare comunicazione senza aver niente da dire, insomma andare in TV, su Facebook, su Twitter, postare il proprio video cretino o teppistico su YouTube, partecipare al Grande Fratello, lavare i panni sporchi di famiglia sotto lo sguardo trucido della De Filippi, applaudire Platinette, mostrarsi a Chi l’ha Visto dopo aver appena strangolato la nipote, lei pure quindicenne sessualizzata...

E’ la nuova dittatura senza dittatore visibile, che esercita la censura senza bisogno di KGB, a cui accendiamo ceri e grani d’incenso senza esservi obbligati.

Giusto a futura memoria e per un contributo alla storia, bisogna sapere che tutto ciò non è spontaneo. E’ una vera e propria ideologia elaborata punto per punto far gli anni 1940-'50. Ecco una cosa che non si insegna nei vari corsi universitari di Scienza delle Comunicazioni (dove non c’è scienza, e men che meno comunicazione).

Norbert Wiener
   Norbert Wiener
L’autore riconosciuto di questa ideologia è Norbert Wiener, matematico del MIT, e del gruppo multidisciplinare con cui comunicava, quello che costruì la (pseudo) scienza chiamata cibernetica (1). In greco, kybernètes è il pilota navale. Tutta una serie di scienziati riparati in America, avendo partecipato alla sforzo bellico contro il nazismo, coltivarono l’illusione di creare macchine per governare il mondo, sottraendolo ai politici, e agli uomini in generale, che avevano prodotto «la barbarie di Bergen Belsen e Hiroshima», e nel dopoguerra si mostravano incapaci di instaurare una società libera, democratica, egualitaria (2).

In realtà, costoro avevano contribuito attivamente alla barbarie. Erano stati Enrico Fermi, Leo Szilard e infine Einstein a premere sul politico Truman perchè l’America si dotasse della bomba atomica, e avevano faticato a convincere quell’uomo di concreto buonsenso. Wiener ed altri avevano contribuito alla decrittazione dei codici tedeschi. Von Neuman, inventore del calcolatore, era quello che aveva calcolato l’altezza ottimale a cui la Bomba doveva esplodere per provocare il massimo di distruzione; nonostante ciò o proprio per questo, condivideva con il suo amico matematico britannico Alan Turing il pacifismo integrale, il sogno di un governo mondiale delle macchine (da loro già chiamate «cervelli elettronici»), di «trasformare gli intellettuali in gente ordinaria» e soprattutto di «aggirare il potere» politico. Agiva lì un oscuro senso di colpa rimosso, e nella cibernetica sociale questi scienziati vedevano probabilmente la propria purificazione.

Il potere che aveva prodotto Belsen era opaco; la società libera sarebbe stata totalmente trasparente. «Mantenere libera le vie di comunicazione» e diffonderle totalmente, in una vera simbiosi fra uomini e macchine intelligenti, era necessario, secondo Wiener, a «perpetuare la nostra civiltà» e a scongiurare la ricaduta nella barbarie. Una società in cui «la gente ordinaria» avrebbe avuto le stesse informazioni e canali degli «intellettuali» sarebbe stata una società capace di autoregolarsi. L’autoregolazione (feedback), le applicazioni dell’umile termostato (che regola da sè la temperatura di una caldaia ad esempio) erano stati il campo degli sviluppi bellici di questi scienziati. Aspiravano a costruire i primi modelli artificiali del cervello umano purificato dalle pulsioni emotive, irrazionali perchè non trasparenti alla scienza informatica.

Fabbricarono le prime tartarughe cibernetiche, piccoli robot capaci, ad esempio, di fermarsi sull’orlo di un tavolo prima di cadere giù, grazie a semplici sensori. Le macchinette simulavano l’istinto di conservazione animale-umano; quegli scienziati si proposero di creare macchine capaci non più di simulare, ma di emulare la coscienza razionale umana.

Dopotutto, a buon diritto la scienza non può che interessarsi del campo dell’osservabile. Per Wiener e i suoi pari, antimetafisici radicali influenzati dal Circolo di Vienna, nel comportamento umano non c’è nulla oltre l’osservabile. La tartaruga elettronica che si ferma sull’orlo del tavolo e l’automobilista che frena davanti a un ponte crollato sono, in fondo, lo stesso tipo di robot. Nell’un caso e nell’altro è tutta una questione di sensori e termostati che raccolgono informazioni dall’ambiente, e innescano azioni e retroazioni (feedback).

«Essere viventi è partecipare a una corrente continua dinfluenze che vengono dal mondo esterno e di azioni che agiscono su di esso, in cui noi non rappresentiamo che una stadio intermedio», scriveva Wiener. Per lui e il suo gruppo, i comportamenti umani, come i fenomeni naturali e quelli sociali, possono interamente spiegarsi in termini di informazione e comunicazione.

Naturalmente un uomo è più complicato di una tartaruga elettronica, e per questo la cibernetica si volle multidisciplinare, chiamando a sè antropologhi (Gregory Bateson), psicologi (Paul Watzlawick), neurologhi, sociologi insieme agli informatici e ai matematici; ma presupporre dietro i comportamenti una coscienza, non- osservabile – sostenevano tutti loro – è restare attaccati a un residuo di metafisiche di altri tempi.

Invece, la fisica ci avrebbe salvato. Ogni sistema fisico degrada nel disordine (entropia), ma l’introduzione di informazione vince almeno localmente l’entropia. La società è parimenti minacciata da entropia (Hitler sarebbe un fenomeno entropico); per cui connettere gli uomini in un vasto sistema di comunicazioni dove l’informazione circoli con assoluta trasparenza sicchè ognuno possa ricevere, trattare ed analizzare le informazioni di cui ha bisogno per vivere, significa liberare la società dalla barbarie.

Del resto l’uomo (come il reale tutto) è costituito d’informazioni, basta renderlo ancor più totalmente un essere comunicante, senza residui nè angoli oscuri.

Ciò rappresenta, come si può capire, il rovesciamento della concezione classica dell’umanesimo, che voleva formare, come vero uomo, l’uomo capace di auto-direzione, ossia diretto dallinterno, più precisamente dalla ricchezza della sua vita interiore, dalla sua fede, convinzione, profondità culturale e coscienza morale. I cibernetici aborrivano precisamente questo tipo umano, perchè «spinto da forze interiori oscure».

Gregory Bateson
   Gregory Bateson
L’uomo nuovo ideale è un essere sociale che non agisce, ma «reagisce a una reazione» (Gregory Bateson), un uomo senza interiorità; diverso dalla tartaruga elettronica (o dal cane di Pavlov) solo in quanto è capace di mettere in atto dei processi mentali: di ragionamento, che però questi padri dell’informatica concepivano, naturalmente, come calcolo computeristico. Da qui la convinzione di poter giungere alla Intelligenza Artificiale, un filone di ricerca fallimentare, in cui sono stati impiegati decenni di ricerche e una quantità imprecisabile di finanziamenti.

Invece quegli scienziati, cattivi filosofi ma sagaci tecnologi, hanno avuto successo nel dare impulso al mondo in cui oggi siamo immersi e impregnati: il mondo della società della comunicazione, del villaggio globale in cui siamo tutti connessi al flusso di informazioni continuo, via SMS, portatile con wi-fi ed oggi cellulare con internet, dove la TV è realtà onnipresente e ininterrotta, dove da mane a sera non cessiamo (non possiamo) di comunicare (3).

E pazienza se si trattasse solo di strumenti troppo abbondanti a cui ci lasciamo connettere. Il tragico è che a trionfare è proprio la comunicazione come ideologia, come valore ultimo: accettato dalle masse più sprovvedute come dagli intellettuali progressisti dei media proprio perchè è un valore vuoto, senza contenuto (e dunque senza moralismi), accessibile a tutti – anche e soprattutto a chi non ha niente da dire – ma comunica nei talk show, nel Grande Fratello, in Chi l’ha Visto, e aspira a diventare un personaggio dell’Isola dei Famosi o almeno ad essere invitato nella platea plaudente di Santoro. Perchè, privato della interiorità, l’homo communicans sa di non esistere se non va in TV.

Ora si comincia ad intuire, agghiacciati, cosa muove la cugina Sabrina che ha contribuito all’assassinio della quindicenne Sarah, e per giorni ha dato interviste in TV, ma non prima di chiedere qual' è il vostro share?.

I giornalisti si domandano se la ragazza grassoccia e abilissima a comunicare la sua innocenza abbia una doppia personalità. La verità è che, non avendone nessuna – nessuna interiorità, nessun valore – può simularne (anzi, «emularne) quante ne vuole davanti alle telecamere.

E’ la Nuova Donna impregnata del dogma implicito nell’impero comunicazionale: che non solo non ci sono più valori, ma che l’idea stessa secondo cui i valori possano (o debbano) guidare le azioni è superata, oscurantista, clericale. Sabrina stessa, la vittima, era la quindicenne con l’Iphone in permanenza attaccato all’orecchio, oggetto di continui video da cellulare, sessualizzata dalla TV-spettacolo, ignara di attrarre le voglie dello zio, anche lui mediatizzato dalla tele-pornografia (4).

Ma quella famiglia è vittima, come milioni di noi (tutti noi in qualche misura) illusi di aver accesso al significato degli avvenimenti semplicemente perchè ne siamo informati – ormai ignari dell’abisso che passa fra informazione e conoscenza (per non parlare di saggezza e sapienza), tutti illusi che la pan-comunicazione abbia fatto cadere tutti i tabù e non ci siano più zone di privato e di segreto, anzi non debbano più esserci.

Ben più grave, imperdonabile è la responsabilità dei media, progressisti e televisivo-consumisti soprattutto, nella distruzione dell’idea stessa di verità. Essi si chiamano fuori: non pretendiamo di detenere la verità – non siamo un potere – ma ci limitiamo a comporre la verità a partire dai punti di vista degli invitati al talk-show (Platinette luccicante di lustrini accanto al monsignore giallastro e in nero, il pubblico di Santoro che reagisce alle parole del competente economista), e soprattutto vi facciamo vedere che non esiste verità, ma solo punti di vista.

Il trucco centrale di questi eventi mediatici (dibattiti) è di fare ammettere all’intervistato preso di mira che il suo punto di vista è, al meglio, relativo (infatti il pubblico rumoreggia, i sondaggi contraddicono). Chi non si sottomette a questo diktat implicito – il medico cattolico contrario all’eutanasia e all’inseminazione zoologica artificiale, poniamo – è un reazionario dogmatico, non parla per sè ma ripete i dogmi della Chiesa, quindi la sua comunicazione è squalificata e illegittima.

Nè da un singolo media, da questo o quell’anchorman strapagato, bensì da tutto il colossale sistema di comunicazione planetaria promana l’antropologia invadente, relativista per principio, che rigetta ogni giudizio di valore, ed amplia all’infinito lo spazio dell’argomentabile, proclamando che tutto deve essere discusso (cannibalismo? Parliamone! Ci vuole una legge, altrimenti è il Far West e i cannibali vanno a farlo nella più progredita Olanda!), e che non occorrono punti di riferimento per prevalere nel dibattito.

Vorrei sperare che Wiener, se tornasse tra noi, agghiaccerebbe a vedere l’esito della sua utopia. Come la società della totale trasparenza comunicativa, fornita di tutto il software e l’hardware più geniale, sia diventata un vero impero della menzogna (tutti quelli che contano fanno finta di credere alla versione ufficiale dell’11 settembre, peggior delitto di Stato di tutti i tempi altrimenti non mi intervistano in TV), dove a bella posta la fiction distorce e domina l’informazione e si confonde con essa, dove guerre durano da dieci anni senza suscitare proteste, e dove i patrioti resistenti vengono chiamati terroristi (come già i partigiani dai nazisti) senza che nessuno provi a eccepire.

Perchè la società dell’assoluta trasparenza e comunicazione ha reso possibile un conformismo mai visto nella storia, in forza dell’eliminazione sistematica di ogni espressione critica dallo spazio pubblico, in quanto il solo essere ammesso al dibattito è l’uomo che pensa positivo.

Forse Wiener, redivivo, avrebbe modo di meditare sul fatto che il voyeurismo oggi non è più un difetto di moralità, ma una virtù necessaria alla vita sociale. Forse potrebbe esercitare le sue indubbia capacità deduttive sul fatto che l’uomo nuovo da lui sognato, l’uomo senza interiorità e senza corpo (l’uomo tutto-software, razionale come un computer) è capace di uccidere corpi altrui con cui ha appena fatto l’amore – appunto perchè dietro quel corpo desiderabile non c’è nessuno – ed esercitare forme di violenza diverse da quelle che cercò di eliminare con la comunicazione, ma non meno mostruose: per l’occasionalità, l’impulsività, la futilità delle motivazioni e l’assenza di ogni scrupolo che rivelano.

Forse Wiener sarebbe agghiacciato dai supercomputer ultraveloci, che lui sperava avrebbero governato razionalmente al posto dell’uomo, usati per le più vergognose speculazioni ad alta frequenza a Wall Street da una genia di finanzieri-spettacolo; chissà cosa direbbe dei politici-spettacolo privi di ogni senso di responsabilità sociale, governanti virtuali governati dal virtualismo globale, che la mediatizzazione della vita fa emergere nel favore popolare.

Forse, ma forse no. Dopotutto, Wiener già sognò un essere umano collegato alla rete informatica con elettrodi piantati direttamente nel cervello. Ed espresse una esplicita ostilità per il diritto: secondo lui la nuova umanità poteva fare a meno di giudici, di leggi e di norme, perchè poteva risolvere i suoi problemi e dissidi (che Watzlawick identificava con «disturbi nella comunicazione») nella continua ricerca dell’accordo e della massima trasparenza, a tu per tu, senza un terzo – il giudice – ad intromettersi come tutore della verità, del torto e del diritto; insomma, era l’abolizione del concetto di colpa e responsabilità quello che voleva. Il fatto che l’immediato corollario del rifiuto della legge sia – come vediamo oggi – l’irrompere della violenza, lo lasciava indifferente.

Nel 1964, poco prima di morire, scrisse un saggio dal titolo significativo: God Golem Inc., a comment on certain points where cybernetics impinges on Religion: l’uomo cibernetico da lui auspicato, con arti artificiali e sensori innestati nel cervello per collegarlo in rete a macchine intelligenti, privo di ogni interiorità e totalmente irersponsabile, doveva evidentemente molto al sogno ebraico del Golem, la statua di argilla che può eseguire gli ordini del rabbino Loew quando questi gli mette in bocca il cartiglio col Tetragramma, immagine fantastica e profetica del software.

Forse i cibernetici volevano proprio, come utopia, questa manipolazione delle coscienze fino all’azzeramento delle coscienze. Forse l’uomo-robot collegato a robot-server in una rete senza fine, dove a governare è l’anonimo sistema, e non uno Stato, era davvero negli auspici di questi riduzionisti estremi, antimetafisici assoluti.

Di fatto, l’Uomo Nuovo siamo tutti noi in qualche misura – anche noi credenti – che il trillo del cellulare, il notiziario permanente e la connessione continua rimbalzante. lo sfondo musicale dozzinale e la rivelazione dell’ultimo scandalo, la caduta dell’ultimo tabù non ci lascia più abbastanza tempo per meditare, per studiare, per pregare, per l’esame di coscienza; non più tempo per renderci conto dove siamo finiti. Ci lascia l’alibi per sfuggire a noi stessi in modo assoluto, e quindi anticristico.

E’ il trionfo della superficie sulla profondità, del presente immediato da arraffare, perchè senza futuro.

Un simile uomo, temo, è un Golem, diventato ermetico ad eventuali e improbabili mobilitazioni di cattolici. Immagino che dobbiamo affidarci al tempo in cui «Dio farà nuove tutte le cose», unica salvezza.

Temo che poco possano fare i giornali cattolici, e i convegni cattolici, minuscoli nani di fronte a questo sistema-Golem colossale. Del resto, Platinette buca lo schermo meglio del sacerdote, il comico che si fa gioco di ogni valore (tabù) viene meglio in TV della persona seria che avverte che stiamo andando in rovina. Pensare positivo!

Ed ora, consigli per gli acquisti!




1)
Norbert Wiener (1894-1964) espose la sua utopia sociale nel saggio «The Human Use of the Human Beings» (Delluso umano degli esseri umani). Qui Wiener propone la comunicazione come valore centrale per l’uomo e la società, contro tutti i regimi (fascisti, ma anche democratici liberali) che secondo lui fanno un «uso non umano» degli esseri umani.
2)
Philippe Breton, Lutopie de la communication, Parigi, 1992.
3)
Temo che molti lettori replicheranno che telefoni, internet, radio TV e wi-fi rispondano ad esigenze comunicazionali della società umana. Tali esigenze non sono state sentite per millenni, e la comunicazione fra esseri reali non ci ha mai perso nulla: basta pensare alle arti in Grecia, all’architettura a Roma, e a quel che è ridotta l’arte oggi, quarti di bue in formalina, edifici da archistar... In realtà, la scienza rifiuta e ci ingiunge di rinnegare quel tipo di problemi che non è in grado di risolvere, e ci offre con grande abbondanza soluzioni a problemi che non ci siamo mai posti – e che poi diventano esigenze. «La scienza si può definire il processo attraverso cui si sostituiscono problemi privi di importanza a cui sa trovare risposta, al posto di problemi importanti a cui non si può trovare risposta» (K.E. Boulding). Galileo ha sostituito il significato sacro del cosmo con misure esatte del cosmo. Il Tao te Ching fu scritto con difficoltà su tavolette di bambù, risparmiando parole; il computer consente di scrivere con facilità estrema, estreme sciocchezze da parte di milioni di sciocchi.
4)
Bisognerebbe anche chiedersi se le pratiche di rischio inconsulte cui si dedicano tanti giovani, ma anche adulti (abuso di coca, gioco d’azzardo) non siano per le masse sprovvedute l’alternativa alla crisi di valori indotta dall’imperio assoluto del valore-vuoto, la comunicazione.


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