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Antisemitismi
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Gigantesca mobilitazione di tutte le branche della Israeli lobby per impedire che, il 13 novembre, l’Oscar alla carriera venga attribuito a Jean-Luc Godard. Il celebre regista della Nouvelle Vague, ottantenne icona delle cineteche e dei gauchistes, è accusato di essere un razzista e odiatore degli ebrei. Ciò fin dal 1976, quando con il documentario Ici et Ailleurs denunciò l’oppressione contro i palestinesi, paragonando Golda Meir ad Adolf Hitler.

Jean-Luc Godard
   Jean-Luc Godard
La rivista ebraica Forward si domanda incredula e indignata: «Daranno un Oscar a un antisemita?»; il critico Richard Cohen l’ha definito «una Leni Riefenstahl francese», come lei «impenitente»; la Zionist Organization America (ZOA), in un appello alla Film Academy ricorda puntigliosamente che, oltre 40 anni fa, Godard diede dello «sporco ebreo» al produttore francese Braudenberg; che nel 1973 replicò al regista Gorin, che reclamava un compenso per un film girato assieme: «Gli ebrei ti chiamano appena sentono il rumore del registratore di cassa», che nel '91 definì Israele «un cancro nella mappa del Medio Oriente».

Inoltre, Godard ha commentato Schindlers List, il leccatissimo film di Spielberg sulla Shoah, «una produzione Max Factor».

Qualche mese fa l’ottantenne regista ha rifiutato di recarsi in Israele per un giro di conferenze, in protesta per i massacri di Gaza, e ha dato appoggio alla campagna di boicottaggio delle merci made in Israel.

«VIA I NEGRI DA SION!» - E’ il grido di dolore lanciato dal deputato israeliano Yaakov Katz, che presiede la commissione sui lavoratori stranieri alla Knesset.

Yaakov Katz
   Yaakov Katz
«Centomila africani si stabiliranno a Tel Aviv nei prossimi anni, sicchè la popolazione ebraica dovrà fuggire a questa alluvione, magari in Samaria!», ossia nei territori occupati.

L’allarme è dovuto al fatto che un numero crescente di africani entrati in Israele stanno andandosene dai piccoli centri («Dove si sentono indesiderati», spiega l’agenzia Arutz Sheva) e si stabiliscono nella grande città.

Ytzchak Aharonovitch
   Ytzchak Aharonovitch
Mister Katz non è isolato in questa preoccupazione. Il ministro dell’Interno Ytzchak Aharonovitch ha recentemente invitato il governo a prendere misure, perchè «due milioni e mezzo di africani sul suolo egiziano non aspettano altro che infiltrarsi in Israele». Il ministro valuta che già 155 mila africani sono nello Stato ebraico, e ne entrano al ritmo di 1.200 al mese.

Il motivo non confessato: gli immigrati neri trovano facilmente lavoro, perchè gli ebrei non vogliono far lavorare i nativi palestinesi, in base alla politica israeliana di affamamento e di pulizia etnica: negando il lavoro ai locali, si conta di indurli ad espatriare. Una volta dichiarati irreperibili (absentee), le case e i terreni di questi palestinesi vengono sequestrate per i coloni ebraici.

Ma siccome in Sion servono dei lavoranti, arrivano i negri. L’ex parlamentare Ysrael Eichler, un lubavitcher, ha accusato «i cuori teneri israeliani» – i famosi teneri cuori – come la causa che sta facendo di Israele «un rifugio per goym e delinquenti», che oltretutto «cambiano la natura ebraica dello Stato».

Effettivamente, gli immigrati sudanesi cominciano anche loro ad abbandonarsi ad atti di antisemitismo (apparentemente non influenzati da Jean-Luc Godard). Il sopra lodato deputato Katz propone di riunire tutta la razza inferiore in una sola città, appositamente allestita, imponendo il soggiorno obbligatorio. Lo stesso Katz, l’estate scorsa, ha mandato la Polizia a fare irruzione nelle case degli africani, e a sequestrare 400 bambini che ha espulso, strappandoli ai genitori: i bambini neri, nati in Israele, frequentanti scuole israeliane e parlanti ebraico, avrebbero magari preteso un giorno la cittadinanza ebraica. (‘Ketzaleh: Tel Aviv Jews Will Flee to Yesha from ‘African Flood’)

E’ solo un appunto. Da spedire a Gad Lerner la prossima volta che accuserà di razzismo gli italiani del Nord Est, e che ci denuncerà perchè non accogliamo volentieri gli zingari e la loro cultura.

POLITICA DI DELIBERATA RIDUZIONE - La benemerita organizzazione ebraica per i diritti umani Gisha, con una lunga azione legale, è riuscita a strappare al governo di Sion alcuni documenti riservati sulla politica dei rifornimenti applicata agli assediati di Gaza. I documenti resi pubblici (che sono solo una parte delle disposizioni) rivelano che Isarele adotta una «politica di riduzione deliberata» (l’espressione è nei documenti) delle razioni alimentari dei palestinesi chiusi a Gaza, da quando hanno avuto la colpa di votare Hamas.

Chi fosse interessato ai dettagli, può leggere i documenti, tradotti dall’ebraico in inglese: http://gisha.org/DefenseMinistryDocuments.pdf

Lo scopo evidente è di mantenere il milione e mezzo di abitanti (di cui la metà sotto i 15 anni) ad un livello di carestia, ma sorvegliando attentamente che la situazione non sbocchi mai in morti per fame.

Il documento è pieno di formule ed equazioni come quella riprodotta qui sotto, agghiaccianti:


Si tratta dei metodi con cui il ministero della Difesa ebraico calcola – dividendo gli alimenti e i mangimi per animali che entrano in Gaza più le riserve eventualmente già presenti nel lager per il consumo quotidiano dei residenti – dopo quanti giorni la gente di Gaza resterà senza provviste (nel documento indicato come Lenght of breath, lunghezza del respiro) , e converrà consentire l’entrata di nuovi riforimenti per evitare la morte per fame.

Si tratta di alimentari; nessuna fornitura di carattere riabilitativo (ossia materiali che consentano di ricostruire scuole, case, ospedali, come cemento e banchi scolastici) è permessa dai capi del Gulag.

Anche beni «percepiti come di lusso» (sezione c. b., pagina 6) sono vietati: come il cumino, la cioccolata e i fogli di carta da scrivere.

Ciò è contrario al diritto internazionale, che consente all’occupante di restringere la fornitura di beni solo per serie ragioni di sicurezza. Ovviamente, i documenti comprovano che Israele attua una cosciente e sistematica politica di punizione collettiva, contro l’intera popolazione, un delitto secondo il diritto instaurato a Norimberga.

Aldo Grasso
   Aldo Grasso
BENVENUTO A UN NUOVO CRETINO - Aldo Grasso, il critico televisivo del Corriere (e intimo della casa editrice Adelphi), ha recentemente stroncato l’ultimo libro di Umberto Eco, dove l’Eco deride l’idea del complotto universale:

«Si scherza su queste cose», scrive l’adelphiano, «ma neanche tanto, se si pensa che in giro ci sono dei cretini che giurano che la strage dell11 settembre è stata provocata ad arte dagli americani stessi. Si scherza, ma neanche tanto, perché largomento principale del romanzo di Eco riguarda quel clamoroso falso che si chiama I protocolli dei savi di Sion».

Che c’entra l’11 settembre coi Protocolli? Cosa vuol insinuare il Grasso? Che chi non crede ad Al Qaeda è un antisemita. Ma sorvoliamo.

Comunichiamo che è arrivato fra noi un nuovo cretino, di quelli che non credono alla versione ufficiale dell’11 settembre. Si tratta di Noam Chomsky, il guru della sinistra americana, che finora aveva sempre evitato di prendere di petto l’argomento. Ora, si può vedere il venerabile vecchietto mentre dichiara alla TV iraniana PressTV:



«Il motivo dichiarato della guerra (in Afghanistan) era di costringere i Talebani a consegnare agli USA le persone che accusavano di avere un ruolo negli atti terroristici del World Trade Center e del Pentagono. I Talebani chiesero delle prove (...) e lAmministrazione Bush ha rifiutato di darne alcuna. Più tardi abbiamo capito la ragione per cui non hanno esibito prove: non ne avevano nessuna».

Dunque, anche per Chomsky non c’è uno straccio di prova che Al Qaeda e Bin Laden siano gli autori dell’11 settembre. Cretino, ma di buona memoria, ci ha fatto ricordare quel periodo: il regime talebano era disposto a consegnare Bin Laden, suo ospite, ma voleva almeno qualche prova della sua colpa. E Bush preferì invadere l’Afghanistan, piuttosto che darla.

Però, ai media e ai giornalisti occidentali, le prove le ha date, nel lontano ottobre 2001, l’amministrazione USA. E i giornali le hanno pubblicate. Come questa immagine della terribile fortezza in cui Osama Bin Laden si nascondeva nelle impervie montagne di Tora Bora: un bunker multipiano scavato nella roccia, con generatori elettrici alimentati dai fiumi di montagna, sofisticati sistemi di ventilazione, deposito d’armi compresi missili Stinger, letti a castello capaci di ospitare mille uomini, «entrata principale lunga 15 metri e capace di far passare un autocarro», «uscite segrete corazzate e protette da mine»...



Formidabile Al Qaeda. Ci voleva un esercito per snidarla da quella fortezza sotterranea. Come abbiamo ammirato lo spionaggio americano, in grado di poterne stilare la mappa e distribuirla ai media!

Naturalmente, nulla di questo straordinario scavo è stato mai trovato in Afghanistan. Bin Laden è introvabile, e passi... ma questi immane bunker?

Eppure, il Corriere pubblicò questa immagine. Perchè il Corriere crede sempre alla versione ufficiale: e non osate chiamare cretino Aldo Grasso, altrimenti siete per i Protocolli dei Savi di Sion, ossia antisemiti.



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