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La fedeltà alla tradizione italiana, per finirla con l’egemonia della cultura fittizia
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Alla radice della fragilità culturale a destra stava la sciocca disistima degli autori italiani e la conseguente inclinazione a collezionare scrittori scelti fra i protagonisti del decadentismo e/o dell’occultismo europeo, Nietzsche, Wagner, Ossendowskij, Guénon, Blawatskij, Steiner, Wirth, Heidegger, Smitt, Junger, Burkhardt, Drieu La Rochelle, Eliade, Benn, Celine, Cioran, Lorenz, De Benoist.

Infatuati dalle teorie della scuola neoliberale di Vienna, gli avventizi oppositori alla sinistra radical chic, hanno rinunciato alla vincente identità, che è conferita dalla tradizione cattolica, e si sono messi a loro volta in cammino verso le sabbie mobili, nelle quali sono affondate le chiacchiere della destra d’orientamento euro-crepuscolare.

I ripetuti, umilianti insuccessi dell’opposizione italiana al radicalismo di massa dipendono dalla colpevole ignoranza dell’ispirazione anticattolica e antinazionale della meccanica rivoluzionaria, concepita da Antonio Gramsci ed esposta a chiare lettere nei «Quaderni dal carcere». La spiacevole notizia che provocò la dura e risentita reazione anti italiana di Gramsci era, infatti, la manifesta indifferenza del popolo italiano alle suggestioni dell’umanesimo assoluto, predicato dagli ideologi e dagli agitatori comunisti.

La Controriforma cattolica aveva comunicato alle genti italiane la refrattarietà alle eresie e alle ideologie che agitavano e tormentavano l’Europa moderna. I comunisti erano pertanto costretti a trasformare la loro cultura in sistema finalizzato alla diffamazione del pensiero cattolico. Il delirio iconoclastico fece avanzare Gramsci fino alla formulazione del giudizio che respingeva la filosofia di Giambattista Vico «in un angoletto morto della storia». Altrettanto ingiusti furono i giudizi gramsciani sui protagonisti del primo Novecento letterario, Papini, Soffici, Angioletti e Bachelli.

Gramsci ammetteva a malincuore che «la coscienza teorica del proletariato» era in aperto contrasto con il pensiero del partito comunista e di conseguenza progettava un'azione pedagogica intesa «a non mantenere i semplici nella loro filosofia primitiva del senso comune, ma invece a condurli a una coscienza superiore della vita», ossia alla fede materialista.

Di qui la convinzione che «una classe rivoluzionaria non può non creare una nuova cultura, che esclude quella tradizionale» e, anzi tutto, attuare una campagna finalizzata a squalificare e demonizzare tutte le opere teologiche, filosofiche e letterarie ispirate dalla fede cattolica.

La cultura gramsciana, per un verso, dipende dall’estetica anticlericale professata da Francesco De Sanctis, per l’altro verso da una sconfinata ammirazione per romanzieri europei, quali Hugo, Balzac, Dikens, Tolstoi, Dostojewskij e Zola.

Le tesi anti italiane formulate da Gramsci interpretano fedelmente l’avversione degli apostati europei a San Tommaso d’Aquino, a Dante, a Manzoni e a tutti i filosofi e i letterati cattolici di profilo alto. Il gramscismo ha fatto propri i pensieri anti italiani lanciati dalle cattedre luterane, dalle logge massoniche e dai raffinati salotti inglesi. Dopo il Concilio Vaticano II la squadra dei demolitori ha goduto anche dell’immunità accordata dalla diserzione clericale.

Se non che l’azione gramsciana si svolge sopra una scena plumbea e appiattita dalla latitanza di pensieri alti.

La casa della cultura rivoluzionaria è abitata da guitti, che ora ripetono la stucchevole pedagogia di Bertoldt Brecht, ora imitano lo sguaiato avanspettacolo allestito dagli ateologi Dario Fo e Franca Rame. La cultura elitariamente rivoluzionaria si è pertanto rifugiata nel rapinoso delirio dei nichilisti di scuola francofortese e nelle filastrocche eleusine declinate dagli economisti di scuola viennese.

È illusorio pensare che i discorsi politichesi dei sedicenti moderati e/o le umilianti riflessioni dei patrioti sui patetici versi di Goffredo Mameli siano in condizione di rovesciare il potere del partito radicale di massa. Il potere della sovversione fu instaurato calunniando e ostracizzando la memoria italiana, dunque l’onesta politica deve cominciare dalla restaurazione del patrimonio spirituale della nazione.

Un efficace contrasto alla sinistra, ultimamente rovesciata nel partito radicale di massa può essere attuato soltanto sulla base della preventiva riabilitazione dell’ingente biblioteca tradizionale. I politici militanti nella destra perdente devono cercare le ragioni profonde della loro azione nelle idee conservate e diffuse da efficienti agenzie culturali, centri studi, case editrice, redazioni di riviste, che lavorano generosamente e senza il sostegno della politica al riscatto della filosofia e della letteratura italiana. Senza una virtuosa circolazione delle idee la politica è condannata a ridursi alla vana e ridicola guerra delle parole sguinzagliate intorno all’assenza di autentici pensieri.

Piero Vassallo





 
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