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Teppisti sopra, teppisti sotto
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E chi dice che a questa società mancano i «valori»? Il presidente  Fini ci ha appena dato la scala dei valori vigenti nel nuovo regime dell’ordine-e-sicurezza:  bruciare bandiere israeliane è più grave che massacrare un passante per strada, come hanno fatto gli skinheads veronesi  giusto perchè gli girava così. L’amico Siro Mazza commenta che così Fini torna alle origini: meglio un assassinio che un «sacrilegio».

Anche se non c’entrava niente nel discorso, Fini  ha voluto infilarci la sua personale condanna per quelle bandiere bruciate: vuole mostrare la sua sottomissione, deve continuamente sdebitarsi con quelli che l’hanno messo lì, assicurarli che lui  pensa continuamente a loro, che farà tutto per loro. 

Per sua fortuna, la sinistra s’ingegna a superarlo in malafede e stupidità. Ha interpretato il pestaggio degli skin veronesi come «un’ondata neofascista», risultato del «governo delle destre», che farebbe sentire i teppisti sicuri dell’impunità. 

Nel bla bla mediatico, s’è sentito di tutto. Tranne una diagnosi che sia anche un inizio di autocrtitica. I massacratori di Verona, gli scolari di Viterbo che incendiano i capelli al compagno povero e campagnolo, lo riprendono con il telefonino e diffondono l’impresa su Internet, la dodicenne che paga il bullo di classe perchè bastoni un’altra dodicenne rivale in «amore», l’innamorato che accoltella l’ex fidanzata,  le centinaia  che a Torino hanno aggredito i vigili urbani in pieno centro per difendere uno di loro che veniva multato,  sono il frutto di 40 anni di «educazione» scolastica sempre più facile e perciò più vacua e vuota, e che infine ha rinunciato ad insegnare anche le semplici buone maniere; di una «pedagogia» anti-repressiva  che ridicolizza la disciplina  ed ogni autorità.

In questo modo, la società ha smesso di civilizzare i barbari, ossia i neonati che nascevano dalle mamme italiane; ora i barbari hanno trent’anni e agiscono, semplicemente da barbari, quali sono rimasti: senza educazione nè istruzione, senza cultura e quasi senza parola per esprimersi, obbediscono solo ai loro impulsi momentanei, che sentono imperiosamente invincibili, e a cui danno sfogo  identificandoli con «la felicità», tanto più «trasgressiva».  

Ne ho già parlato in «Selvaggi col telefonino», non mi dilungo. Ora che la quantità e demenziale ferocia di queste manifestazioni di barbarie giovanile diventa fatto comune, e supera ogni previsione e (per qualche giorno) allarma, si vorrebbe vedere qualche ammissione d’errore, che invece manca. Perchè in quella quarantennale «pedagogia» della stupidità violenta c’entrano tutti: il progressismo idiota dell’educazione post-sessantottino («Vietato vietare») divenuto luogo comune, come le tv di Berlusconi, che scelgono i comportamenti più bassi e meschini possibili in esseri umani come i più degni di «rappresentazione», siano nel Grande Fratello o nelle porcherie alla De Filippi; esibiscono litigi, urla e panni sporchi ripugnanti sventolati in pubblico, e così li promuovono e propongono a modello. Subito imitate, ovviamente, dalla Rai di stato.

C’entra la società-spettacolo, il fanatismo calcistico come passione nazionale totalizzante, che ne eslcude ogni altra, ed alimentato da miliardi e affari, ed epicizzato dalle tv e dai giornali. 

C’entrano, nella formazione dei barbari, il sociologismo «avanzato» giustificazionista, la psicologia di massa trasgressiva e da salotto progressista, la pubblicità puttanesca, la Chiesa di manica larga che ha ridotto il suo messaggio a «dottrina sociale» senza  motivazioni superiori (di cui si vergogna), che mette tra parentesi l’evocazione del «castigo eterno» (ecco la sola espressione-tabù, quella che non si può pronunciare in pubblico).

C’entra, nelle ultime violenze, di sicuro la cocaina, la droga dell’aggressività, venduta  in ogni discoteca (e non si dica che le discoteche vanno chiuse).

C’entrano i genitori che non negano nulla e insegnano come apprezzare uno dalle «griffes» che indossa; c’entra la glorificazione massiccia, corale, gridata da tutti i mezzi, dell’arricchimento ingiusto, della furbizia aggressiva, della maleducazione provocatoria.

C’entra una magistratura che commina arresti domiciliari per quadruplice omicidio colposo: chi altri svaluta l’omicidio come veniale? Il 70 per cento degli omicidi in Italia restano direttamente impuniti perchè non si trova  (o non si cerca) il colpevole. 

C’entrano le burocrazie inadempienti, eccome.

Gli stessi massacratori di Verona usciranno in un anno e mezzo, affidati a case-accoglienza o come diavolo le chiamano. Lo stesso fatto che in Italia vige un solo tipo di pena – la detenzione – per qualunque reato gravissimo o amministrativo (come l’evasione fiscale o il falso in bilancio),  dovrebbe indurre a qualche riflessione autocritica: i giovani barbari  richiedono pene che siano rieducative; che so, la condanna a separare la spazzatura in una discarica (condanna comminata al comune cittadino dai municipi); ma no, non si vuole. Si è voluto far sparire dalla pena giudiziaria ogni idea di «contrappasso», di analogia-proporzione  con il delitto.

L’espressione «la pena non deve essere afflittiva» vuol dire, in fondo, solo questo:  che non deve ferire la coscienza del reo, per esempio punendo l’arroganza con l’umiliazione, la violenza inflitta con la violenza subìta. Perchè ciò, s’intende, è troppo «paleo-cristiano».

Probabilmente è questo il punto. «I giovani non hanno valori», sento dire ai commentatori radiofonici – come se loro li avessero, i valori.

I valori non valgono nulla, quando tutto il destino di un uomo è rinchiuso nell’aldiquà. Se non c’è nulla dopo, i soli «valori» che contano sono il godere subito finchè si può, arraffare quel che si riesce.

In una società patologicamente chiusa ad una speranza superiore (o a un superiore timore), dove ciascuno è chiamato incessantemente ad «affermarsi» ed essere povero  è diventata  la sola ragione di vergognarsi («Non ho avuto successo»), nessuna polizia basterà a tenere a freno i teppisti pullulanti.

E’ significativo già il fatto che in una simile società – dove è vietato evocare l’inferno, la dannazione dell’anima, e nessuno indirizza alla «sola cosa che conta» – si parli, come surrogato di tutto questo, di instillare «valori».

La parola «valori» ha la sua origine esatta nella Borsa: la Borsa-valori. Dove i valori sono le quotazioni azionarie, che variano secondo la domanda. Per la gentilezza, lo spirito di sacrificio, la decenza e l’onestà, la richiesta è scarsa: non è da stupire se la loro quotazione è bassa e nessuno li compra. Tali valori, diciamolo, non servono a nulla.

E chi ce lo dimostra? Quelli stessi che pretendono, dall’alto del potere, di imporci i «valori». Vincenzo Visco ha giustificato la sua ultima mascalzonata (la pubblicazione degli elenchi dei redditi) dicendo che aveva consultato, prima, il Garante; cosa smentita dal Garante medesimo. Ecco un comportamento da teppista, arrogante e poi vile.  Del resto, il moralizzatore Visco non è proprietario di villa abusiva, e condonata?

E Fini, colui che pontifica dal seggio di terza carica dello stato, non è il ragazzo-padre, che ha ingravidato una velina semi-nota? Che senso volete che abbiano le sue lezioni di morale, siano sulle bandiere da non bruciare o sui teppismi omicidi.

I giovani barbari capiscono da chi vengono quelle lezioni e quelle prediche. E ne traggono la conseguenza: teppisti sopra, e noi teppisti sotto.

Spero così di rispondere a quei lettori che mi hanno rimproverato di aver criticato il nuovo governo di «destra» con tanto anticipo. Ma quale «destra», scusate: le idee di Fini su Israele sono quelle stesse del comunista Napolitano, l’uno e l’altro le hanno aggiornate per adeguarle al potere vigente. Berlusconi spende denaro pubblico con la stessa irresponsabilità dei governi «di sinistra», per perpetuare caste. E tutti  si apprestano alle abboffate palazzinare ed edilizie, esattamente come gli altri (chi ha visto l’ultimo «Reporter» sa cosa intendo: Geronzi e Ligresti sono sempre lì, sia la giunta «di destra» o «di sinistra»).

Non ci sono più nemmeno le ideologie  come surrogato della morale o della religione: se ne sono liberati perchè erano d’impaccio, obbligavano a qualche coerenza. E perchè questi o quelli dovrebbero  dedicare un solo attimo di fatica al bene comune, alla spesa oculata, all’onestà nel servizio pubblico? In base a quali «valori»?

Nessuno che cominci un esame di coscienza. Nessuno che dica: è anche colpa nostra, cambiamo le cose, perchè i bambini ci guardano.

Teppisti sopra e teppisti sotto.


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