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Putin è tornato. Appena in tempo
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Odio, disprezzo, irrisione, insulti: è il modo in cui i media occidentali hanno salutato l’elezione di Vladimir Putin. Tutti insieme come a un segnale convenuto. Naturalmente il Corriere e Repubblica si superano: «Mosca in piazza grida la sua rabbia, la Polizia carica, picchia e arresta». «L’Europa critica il voto russo: riscontrate gravi violazioni». «La spaccatura del Paese che predice tensioni e caos».

Sembra che Putin abbia arraffato il potere a dispetto del suo popolo che rumoreggia e soffre sotto la ferocia poliziesca come i siriani di Homs sotto Assad, e anela all’intervento umanitario NATO. Che Putin abbia il 64% dei voti da una parte non conta perchè è un dato truccato («Gravi brogli»), dall’altra indica che «la sua stella è in declino», è «diventato vulnerabile», perchè a Mosca non ha avuto la maggioranza. Le Monde si interroga: «Putin, quelle legitimité?». Strano che non si interroghi sulla legittimità dei candidati francesi all’Eliseo, che al primo turno andrà bene se prenderanno il 20% dei voti, depurati dall’immane consueto astensionismo francese. O magari, perchè non porre domande sulla legittimità della Commissione Europea su cui il Parlamento Europeo, organismo eletto, non ha alcun controllo?

Bella anche l’insistenza nel ricordare: «Diventa presidente un ex colonnello del KGB». Quando George H. Bush (il padre) diventò presidente degli Stati Uniti nel 1988, nessuno fece notare con pari disgusto che entrava alla Casa Bianca, udite udite, l’ex direttore della CIA. Che per giunta nel 2000 sarebbe riuscito a piazzare alla stessa Casa Bianca il figlio scemo (Dubya Bush, il suo Trota), grazie ai brogli approntati dal governatore della Florida, che per caso era il fratello furbo Jeb Bush: una dinastia in piena regola monarchica nella più indiscussa demokràzia della storia.

Sul francese Le Point, l’inviata speciale Anne Pivat, dopo aver obbedito alla consegna («Evidentemente» ci sono stati brogli «abbastanza innumerevoli» – sic ), deve ammettere con un sospiro: «Anche senza le frodi, monsieur Putin sarebbe stato eletto... ».

Purtroppo, Putin è popolare. Il che è peggio, come ha subito messo in chiaro Tonino Picula (un croato), coordinatore della missione OSCE in Russia: «Il senso delle elezioni è che l’esito dovrebbe essere incerto; non è stato questo il caso in Russia». Secondo questo è ideale quella democrazia dove tutti i candidati prendono suppergiù gli stessi voti, tranne qualche centinaio di differenza. Le migliori democrazie in assoluto sono quelli con le maggioranze più risicate, perchè le decisioni dell’esecutivo vengono inceppate, quando non paralizzate; come succede di solito in Italia, ma anche in Germania dove si devono formare governi di coalizione, per lo più fragili. Ma non si parli, in questo caso, di «Angela Merkel vulnerabile». È Vladimir Putin, col 64% dei voti, ad essere vulnerabile; è il suo Paese ad essere «spaccato», non quelli europei del 51% contro 49%. Le manifestazioni della classe media a Mosca dicono che «la stella di Putin è in declino», ma le manifestazioni di Occupy Wall Street e in generale la revulsione degli elettorati euro-americani verso i loro governanti asserviti alla finanza e alle lobby più discutibili, non segnalano che la democrazia è al capolinea.


David Miliband (J) “prevede” che i giorni di Putin siano contati


Naturalmente, è tutta e solo disinformazione. La realtà è che l’OSCE non ha potuto far altro che constatare che le elezioni sono state regolari. Altrimenti un’altra esponente dell’OSCE, Heidi Tagliavini, non avrebbe dichiarato: «Abbiamo semplicemente monitorato l’evento e controllato che fosse secondo gli standard internazionali e la legge nazionale. Non ho il diritto di parlare della legittimità delle elezioni, perchè è il popolo russo che deve deciderlo». Oh, se avessero constatato vere e gravi violazioni degli standard, sì che avrebbero contestato la legittimità.

La fonte della disinformazione, del disprezzo e del dispetto che ha accolto il ritorno di Putin alla presidenza non è difficile da trovare. Sono centri come l’americano National Endowment for Democracy (NED), che coi soldi del Congresso ha finanziato l’organizzazione GOLOS, sguinzagliandola a cercare brogli elettorali (inevitabili in qualche misura in un territorio così vasto) e a tener conferenze-stampa sulle sue «scoperte», come si legge nel sito ufficiale:



La NED ha pagato anche il gruppo DA!, che in russo significa Sì, ma in americano sta per Democratic Alternative, tenuto da Mrya Gaydar, figlia dell’ex Primo Ministro sovietico Egor Gaydar (J), che «promuove ardentemente la democrazia in Russia» e non vuol far sapere di essere pagata dai senatori americani.

Michael Mac Faul
  Michael Mac Faul
È la fonte che ha mandato in Russia, come ambasciatore degli USA, il professor Michael Mac Faul, uno che si è definito in un’intervista «un esperto in democrazia, in movimenti anti-dittatura, in rivoluzioni»: l’ambasciatore che, appena arrivato, ha convocato nell’ambasciata decine di esponenti dell’opposizione e di protestatari russi. In altre parole, è l’agitatore professionale della rivoluzione colorata che si è tentato di innescare in Russia, senza riuscirvi.

Dal punto di vista della sovversione americana e britannica, il dispetto è ben fondato. Londra non perdona a Putin di aver fatto perdere a Lord Rotschild i 250 milioni di dollari da questo dati a Khodorkovski, per comprare la Yukos (oggi Gazprom) a un cinquantesimo del suo valore – mettendo in galera il detto Khodorkovski e recuperando al popolo russo la Gazprom (1). Il potere americano ha un motivo più serio ancora: il presidente russo è quello che si riserva la politica estera, e gli americani si trovavano meglio con Medvedev, più accomodante, più «democratico», più «filo-occidentale». Tanto accomodante, che, pochi mesi fa, non ha posto il veto, al Consiglio di Sicurezza ONU, contro l’invasione «umanitaria» della Libia da parte della NATO, limitandosi all’astensione.

Una omissione che al Cremlino (e a Pechino) è stata valutata come un grave errore, errore confermato da quel che ne è seguito, compresa la «spontanea» insurrezione nell’amica Siria: da cui il massiccio veto posto da Mosca e Pechino a sanzioni contro Assad. Il perchè lo ha spiegato a chiare lettere il professor Igor Panarin, rettore dell’accademia diplomatica del ministero degli Esteri russo.

Come si è visto «in Libia, gli alleati della NATO hanno creato un pericolosissimo precedente per intervenire all’interno di nazioni sovrane e seminarvi il caos. Oggi, vediamo lo stesso scenario creato in Siria. Dove dobbiamo aspettarci il prossimo: in Cina, in India, in Russia?».

Questa è la valutazione ufficiale, e d’ora in poi la politica estera concreta sarà volta a contrastare il pericolo estremo. Con mortale serietà: non a caso, Panarin esorta il nuovo presidente a stabilire una ideologia che ricostruisca la «spiritualità, grandezza e dignità», onde far della Russia «un centro pan-europeo di gravità sia in termini economici, sia spirituali». Questa evocazione della «spiritualità», che sarebbe impossibile trovare in un’analisi politica occidentale, non solo ha profonde risonanze storiche in Russia. Indica anche che la valutazione che le migliori menti russe fanno del presente momento storico è «escatologica».(Russia’s new president and the transforming world)

Con Putin alla presidenza, dunque, l’errore in cui è incorso Medvedev non si ripeterà. Fra parentesi, in uno dei suoi ultimi discorsi, Putin ha chiarito che l’intelligence russa interpreta «tutte» le primavere arabe avvenute come rivoluzioni colorate, manipolate da «ingerenze esterne», che sembrano «non motivate dalla preoccupazione del rispetto dei diritti umani, ma dalla volontà di ridistribuire i mercati».

«Dietro il pretesto di prevenire la diffusione di armi di distruzione di massa, essi tentano qualcosa di completamente diverso: il cambio di regime», ha aggiunto. Gli USA, piazzando il sistema antimissile a ridosso delle frontiere russe, mirano «ad acquisire la totale invulnerabilità», ed hanno rifiutato di garantire per iscritto che il sistema non sarà mai rivolto contro il territorio. E «quando una parte raggiunge l’llusione della invulnerabilità alla rappresaglia... emergono immediatemente grandi quantità di conflitti, e l’aggressività». Una politica estera, anche in Medio Oriente, «dispendiosa, inefficiente, e molto imprevedibile», che giudica evidentemente un pericolo per il mondo, oltrechè una minaccia diretta alla Russia.

Per questo, il nuovo presidente del Cremlino ha centrato la sua campagna elettorale sulla sicurezza nazionale; in ciò rispondendo ad una preoccupazione profonda di parti qualificate dell’opinione pubblica russa, che si sente umiliata nel suo senso di grandezza storica dall’unilateralismo aggressivo americano; va ricordate che il patriarca Kirill, lo ha recentemente incitato a intensificare la modernizzazione e la «preparazione» dell’armata, invitandolo ad emulare in questo Pietro il Grande (2).

Putin ha risposto: «Qualche anno fa ci fu detto – non direttamente, ma sappiamo che gli USA lo hanno detto ai loro colleghi nella NATO – ‘lasciate che i russi facciano, non gli è rimasta altro che roba arrugginita’», un’allusione ai residuati dell’Armata Rossa. «Bene, oggi non è più così... Abbiamo qualcosa che può spingere i nostri colleghi e partner a un atteggiamento più costruttivo di quello che abbiamo visto finora», aggiungendo che «la parità strategica ha contribuito a prevenire molti conflitti di prima grandezza».

Non si tratta di vane parole. In Siria, nella loro base militare di Tartus ma anche sul territorio siriano, i russi hanno installato potenti dispositivi di guerra elettronica. Lo conferma il noto sito israeliano DEBKA Files, citando le sue fonti militari:

«I russi hanno potenziato la loro stazione di sorveglianza elettronica a Jabal Al Harrah, a sud di Damasco, di fronte al Mar di Galilea israeliano, aggiungendovi apparati concepiti appositamente per dare a Teheran l’allarme precoce di un attacco USA o israeliano»; «la porta-elicotteri Ammiraglio Kuznetsov», aggiunge DEBKA, «è stata mandata a Tartus dov’è rimasta fino al 13 febbraio, proprio per coprire con le sue contromisure elettroniche di bordo la protezione della Siria durante i lavori di potenziamento di Jabal Al Harrah».

Solo a gennaio, l’ambasciatore russo presso la NATO, Dimitri Rogozin, aveva chiarito che «se accade qualcosa all’Iran, se viene trascinato in qualche traversia politica (leggi: rivoluzione colorata) o militare (leggi: bombardamento preventivo), questo sarà considerato una diretta minaccia alla nostra sicurezza nazionale». (Any conflict on Iran is a direct threat to Russia’s security – Rogozin)

I russi hanno anche molto rafforzato la militarizzazione di Kaliningrad (l’antica prussiana Koenigsberg), la loro enclave tra la Polonia e i Paesi baltici – tutti oggi membri della NATO. Hanno piazzato sistemi offensivi, gli SS-26 Iskander terra-terra, ma si ritiene anche batterie anti-aeree di SS-300 e SS-400 che sono i migliori sistemi anti-aerei oggi esistenti. In quell’area, F-16 americani, F-16 polacchi e caccia dei Paesi NATO pattugliano regolarmente i cieli: con«funzione di dissuasione» nella melliflua neolingua occidentalista, ossia – in linguaggio concreto – con funzione di provocazione, come sarà interpretata da Mosca in caso di tensione imprevista, la presenza di aerei non appartenenti ai Paesi dell’area. (La Russie et l'évolution du monde)

E infine, la Russia ha ancor oggi più testate nucleari degli Stati Uniti, e missili da crociera supersonici che possono penetrare qualunque «scudo antimissile» (specialmente quelli esistenti solo nelle fantasie neocon).

La deterrenza resta dunque intatta, e fa della Russia un ostacolo inamovibile all’espansionismo terminale occidentalista. A maggior ragione, i circoli anglo-americanisti tenderanno a destabilizzare sempre più la Russia dall’interno, appoggiandosi alla sovversione e ai «diritti umani». I giochi pericolosi continueranno.

Hanno coscienza i governanti europei del pericolo in cui si sono cacciati, per servilismo verso gli USA, con le loro risibili forze militari? Si sentono «coperti» dal Pentagono e dalla presunta invincibilità della superpotenza. Hanno presto dimenticato la stangata che Mosca ha inferto alla Georgia, armata, addestrata e rifornita da americani ed israeliani per infliggere un’altra umiliazione al Cremlino – conclusasi con una sconfitta degli eversori, paralizzati e impotenti a soccorrere militarmente «l’alleato». Le «lamiere arrugginite» dell’ex Armata Rossa hanno mostrato che restano efficaci nelle mani politico-militari di qualità superiore, capaci di audacia, senso della sfida, e di rischiare sul campo (vero è che, dopo, Mosca ha acquistato la nave francese Mistral, per arrivare prima nelle zone di questo tipo d’interventi).

«Quando è questione della Russia», ha detto al sito Dedefensa una fonte delle istituzioni europee, «le sole reazioni all’evocazione delle sue capacità militari e della sua decisione ad agire, vanno dal sorrisetto sprezzante e saputo alla derisione sarcastica».

Per fortuna Putin e i suoi giudicano la politica europea «sotto influenza» degli USA, e mantengono un atteggiamento conciliante verso i nostri vacui governanti, considerando che è necessario aiutarci ad uscire da detta influenza: è sul tavolo la loro proposta di Unione Eurasiatica. Ma le cose possono cambiare e farsi molto serie, di colpo: Putin ha una chiara visione dell’ostilità degli ambienti occidentalisti, della loro ingerenze, delle loro strategie di destabilizzazione democratica; sa che deve opporsi al saccheggio delle risorse energetiche russe continuamente ritentato, perchè senza il petrolio russo e iraniano in mano alle democrazie, senza il monopolio energetico, l’Impero del Bene orwelliano resta incompleto e monco. E si situa come centro d’attrazione per tutta la parte del mondo che a quella strategia di umanitarismo bombardiere e diritti delluomo da proteggere con i caccia, hanno motivo di opporsi. La Cina anzitutto.





1) Un certo David Clarck, presidente di una certa «Russia Foundation» e già consigliere di Robin Cook, sostiene sul Guardian che Londra ha un’arma segreta invincibile per piegare i dirigenti russi: negare loro i visti e congelarne gli attivi nelle banche inglesi. «Ciò rende i dirigenti russi estremamente inquieti. Questa idea li terrorizza, perchè amano fare shopping a Londra.Non è più come ai tempi sovietici, quando tutti campavano in uno Stato insulare e non potevano viaggiare. I burocrati del Cremlino, oggi, sono globali. Proclamano il nazionalismo russo, ma si considerano cittadini globali». La bassezza di questa idea («Non lasciamoli venire da Harrod’s») dice il livello a cui è arrivato il pensiero strategico occidentale. E oltretutto, rivela che per i britannici i governanti russi sono da trattare come i caporioni della Corea del Nord, contro i quali è stato elevato l’embargo sul whisky e sui sigari di lusso. (Putin's election victory is a headache for the west)
2) In risposta a questa posizione della Chiesa ortodossa, i liberal e democratici hanno spedito quattro punk-rockers femministe dal nome rivelatore – Pussy Riots – ad esibirsi sul sagrato della chiesa del San Salvatore (quella che Stalin fece abbattere con la dinamite) con insulti al «capo del KGB» colpevole di aver mandato «il Gay Pride in Siberia». Tutto fa pensare ad una spontanea manifestazione teleguidata, di quelle che anche noi italiani siamo abituati a vedere contro la Chiesa cattolica; dopo la «provocazione trasgressiva», l’opposizione democratica e progressista si è data a difendere le Pussy Riots, minacciate dalla «Chiesa repressiva». Il patriarca Kirill ha infatti chiesto pene esemplari, denunciando la «delegittimazione della cristianità». Vale la pena di riportare un passo del giornale italiano La Repubblica, prevedibile portavoce della provocazione occidentalista: «la polizia ha arrestato cinque donne e le ha accusate del reato di ‘teppismo e vilipendio dei luoghi sacri’ che vuol dire anche sette anni di galera. Le ragazze finite in cella negano e giurano di essere vittime di uno scambio di persona. Due hanno un bambino piccolo e non sanno a chi affidarlo». Che disperato, patetico, déjà vu.


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