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Come spregiare e sfruttare il goy
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Talmud /5
I non-ebrei accettano senza sospetti il fatto che gli ebrei, da sempre, si riferiscano al resto del genere umano come ai «gentili» o alle «nazioni»: sembrano termini generici per indicare gli altri popoli od etnie. Gentili viene dal latino «gentes», che indicava equanimamente sia i clan romani che condividevano lo stesso nome gentilizio (per esempio, Cesare apparteneva alla «gens Julia»), sia in termini giuridici «gli stranieri» in generale. Nel tempo, come sappiamo, il diritto romano sviluppò un «diritto delle genti», jus gentium, sempre più universale ed avverso a discriminazioni sulla base dell'etnia, lingua o cultura nazionale. Per questo, ai più sfugge che i termini ebraici che gli ebrei – quando parlano con gli altri – traducono con «gentili», sono offensivi e segno di disprezzo. «Goy» è un termine che denota paganesimo, culti sessuali orientali, invocazione dei demoni e simili. Insomma, idolatri e svergognati. La solita Jewish Encyclopedia, alla voce «Gentiles», è chiara: «I farisei tennero per certo che solo gli israeliti sono uomini»… «i gentili sono definiti non come uomini ma come barbari» (Baba Mezia 108 b).

Ma i barbari son pur sempre uomini, dirà l’ingenuo lettore. Ragionamento che vale per noi eredi del diritto romano e cristiano, ma non per l’ebraismo. Basta leggere più avanti la stessa voce dell’Encyclopedia, per trovare la franca ammissione che per loro, siamo bestie.

Per esempio, nel trattato Mikwahot (VIII – 4), i rabbini trattano la questione di donne ebree violentate da goym, «cose frequenti specialmente nelle invasioni e dopo gli assedi». Come considerare la prole? E come il marito deve trattare la moglie che ha generato il figlio di un gentile? Ripudiarla? No. «I rabbini dichiarano che in (questo) caso (…) a tale prole non deve essere permesso di intaccare la relazione di una donne ebrea con suo marito, perchè “La Torah ha dichiarato la prole di un gentile come quella di una bestia”». Tanto più che «la massima talmudica detta: “Chiunque non ha leggi di purificazione non può contaminare” (Trattato Nazir 61b)». La donna in questione, è come fosse stata assalita da un cane – possibilità effettivamente contemplata dai talmudisti – ed assolta. Come se nulla fosse avvenuto. Non si fatica a capire il destino che i rabbini riservano ai «prodotti» delle bestie goym.

Come «giustificazione» biblica per l’inferiorità dei goym è citato Deuteronomio 33, 1. Non stupirà constatare ancora una volta che il passo dice il contrario. Tratta dell’ultima benedizione di Mosè sul suo popolo. «Disse: (Dio) brillò dal monte Paran… tu ami tutti i popoli, tutti i santi sono nella tua mano...». Secondo i talmudisti, e come spiega la Jewish Encyclopedia, il passo dice che effettivamente «l’Onnipotente offrì la Torah alle nazioni gentili, ma siccome la rifiutarono, Egli ritirò la sua ‘brillante’ protezione legale da loro, e trasferì i loro diritti di proprietà ad Israele che osserva la sua Legge». Ciò significa che le proprietà dei gentili sono in realtà degli Eletti, e possono – quando non vi sia rischio – accaparrarsele. Dovunque si possano stabilire tribunali ebraici con giurisdizione estesa ai goym, dice la Encyclopedia, «i barbari gentili non devono prevalere su chi osserva la legge, né possono invocare a loro favore le leggi civili ebraiche, costituite per regolare una società stabile e ordinata e basate sulla reciprocità».

Sic. Reciprocità che vale solo fra ebrei. Il contrario esatto della legge biblica dichiarata in Numeri 9: 14 e 15; 29: «Una sola legge e un costume sarà per te, e per lo straniero che soggiorna con te». Senza parlare del Levitico 19: 34-5 che raccomanda di trattare lo straniero «come uno nato tra voi… Non gli farai ingiustizia nel giudizio, nei pesi, nella misura».

I talmudisti hanno creato tutto un corpo di norme e dottrine sulla legittimità di sfruttare i goym e prendere il controllo su di loro, anche a forza di menzogne, frodi in commercio, corruzione di giudici e mazzette. C’è un solo «peccato» da evitare: fare tutto ciò in modo da rendere avvertito il non-giudeo del doppio standard che regge il «diritto» talmudico, e così danneggiare gli interessi ebraici. Ingannare e sfruttare, nascondere e dissimulare.

Il Baba Kamma 37 b tratta della situazione in cui «un bovino appartenente a un privato incorna quello di un altro», e stabilisce il risarcimento. Ecco come: «Ove il bue appartenente ad un israelita ha incornato un bue appartenente a un cananeo (goy), non c’è responsabilità. Mentre dove un bue di proprietà di un cananeo incorna un bue di un israelita, spetta completo risarcimento». La nota relativa della Soncino Edition spiega: «Dal momento che i cananei non riconoscevano le leggi della giustizia sociale… non potevano pretendere di essere protetti da una legge che non riconoscevano nè rispettavano». L’uso dei verbi al passato non deve far credere che questa e altre norme a danno dei gentili siano cose superate. Sono esattamente i principii che il diritto sionista ebraico applica oggi ai palestinesi che gemono sotto il dominio israeliano.

Esempio: «la rapina contro un pagano è vietata, (…) perché è detto: ‘E tu consumerai tutti i popoli che il Signore Dio tuo metterà nelle tue mani’ (Deuteronomio VII, 6), ossia in tempo di guerra, quando i nemici sconfitti vanno rapinati, per così dire, collettivamente». Commenta il Talmud: «Ciò significa che (la rapina con violenza) solo nei tempi in cui (i goym) sono consegnati nelle tue mani è permessa». Così Baba Kamma 113 b. In compenso, un oggetto smarrito da un gentile, non occorre restituirglielo (Baba Kamma 113 b). Perché, dice la Encyclopedia Judaica, «la legge di Mosè impone la restituzione di un oggetto perduto al suo proprietario se è un ‘fratello’ e ‘prossimo’», ma non se è un gentile. «È permesso approfittare di un suo (del goy) errore» nel commercio. E si cita il caso di rabbi Samuel, che «comprò una coppa d’oro da un pagano che la credeva di rame per quattro zuz, e gli lasciò pure uno zuz in meno» (ibidem).

«Come uccidere un gentile senza farsi accorgere» è il senso generale del Trattato Abodah Zara, folio 26 a e b. Vi si decreta che i non-ebrei non devono essere gettati in un pozzo (bontà loro) perché ciò susciterebbe antipatia per gli ebrei (vedete a quali pretesti si aggrappa l’antisemitismo), ma «non si è obbligati a tirarli fuori» (dal pozzo). Ma come tutte le regole talmudiche, anche questa soffre eccezioni»:… però minim (cristiani), informatori e apostati possono esservi gettati, e non tirati fuori». Per informatori si deve intendere coloro che riportano ai non-ebrei i segreti talmudici.

Tutti gli altri, «uno è obbligato a tirarli su (dal pozzo) in considerazione dei cattivi sentimenti anti-ebraici che potrebbe suscitare il comportamento contrario. Tuttavia, il salvataggio ha da essere ‘a pagamento’, esattamente come solo a pagamento una levatrice ebrea può aiutare il parto di una donna non-ebrea» (1): l’ebreo non fa piaceri a nessuno, mai. E inoltre Abodah Zara insegna come aggirare anche questo obbligo: «Il Savio Anziano Abaye disse che si potevano esibire scuse come “Devo correre da mio figlio che sta sul tetto” (e rischia di cadere), “devo correre in tribunale dove ho un’udienza”». Altrove vien consigliato di portare via la scala a pioli che si trovasse nelle vicinanze del pozzo in cui è caduto il goy, dicendo: «Mi serve per aiutare a far scendere mio figlio dal tetto», e simili infantilismi malvagi.

La proprietà di un gentile «è sullo stesso piano di un terreno deserto; chiunque lo occupa per primo ne acquista la proprietà»: così Baba Batra, 54 b. Tutte le volte che ciò è possibile senza rischio, i possessi dei goym possono essere presi. Infatti viene raccontato che Ashi, un celebre Savio anziano di Sion, «visto in un vigneto un ramo di vite con un grosso grappolo, istruì il suo servitore di prenderlo, se la vigna apparteneva a un gentile; se a un ebreo, di lasciarlo. Il proprietario goy per caso sentì, e chiese: «È dunque giusto prendere da un gentile?». Ashi ebbe la prontezza di spirito di replicare: «Sì, perché un gentile chiederebbe denaro, mentre un ebreo no» (Baba Kamma 118 b). Commenta la Jewish Encyclopedia, dopo aver apprezzato questa «abile e sarcastica risposta» di Ashi. «Siccome si presume che il gentile abbia ottenuto il possesso con un atto di rapina, la proprietà è considerata proprietà pubblica, come terreno non reclamato nel deserto» (Baba Batra 54 b). Di fatto quindi, nel diritto talmudico, la proprietà di un non ebreo «si presuppone» illegittima in ogni caso, ed è quindi saccheggiabile a piacere.

I poveri palestinesi provano ogni giorno, subendo confische, danneggiamenti di coltivi e sradicamento di oliveti, la natura di questo «diritto ebraico». A dire il vero rabbi Simeone il Pio era contrario, ma per un motivo preciso: perché (dice la Bibbia) «E tu consumerai (‘divorerai il bottino’) di ogni popolo che il Signore tuo Dio ti darà nelle mani (Deuteronomio VII 6), il che significa che gli israeliti possono impadronirsi dei terreni (altrui) solo come conquistatori, non altrimenti». Questo sancisce il Baba Kamma 113 b. Per i palestinesi, non cambia molto: o sono derubati, o sono «conquistati». Per noi, è una minaccia imminente: ci «consumeranno». Anzi, hanno già cominciato.

«Per un israelita, non pagare il salario ad un Cuteano (straniero, goy) è permesso»: così sancisce il Sanhedrin 57 a. Mentre «un cuteano (che non dà il salario) a un altro cuteano, o un cuteano a un ebreo, è vietato». La nota 44 della Soncino Edition spiega che a un ebreo è permesso frodare del salario gli operai non ebrei, atto che «si avvicina soltanto al furto, il furto essendo il deprivare una persona di quel che possiede già». Il lavoratore non possiede «già» il salario, visto che lo aspettava dal suo padrone giudeo: quindi, che aspetti. Non a caso norme papali, e in tutti i Paesi europei fino alla Rivoluzione Francese, vietavano agli ebrei di prendere al loro servizio cristiani poveri, e specialmente giovani cristiane.

Nel futuro messianico felice, quando l’umanità intera sarà soggetta ai tribunali ebraici, «un pagano sarà condannato a morte su decisione di un solo giudice, su testimonianza di un solo testimone, su prova (portata) da un uomo ma non da una donna, senza formale preavviso». Così Sanhedrin 57 b. S’intende, per omicidio. «Anche per l’omicidio di un embrione» secondo rabbi Ishmael. Un solo giudice, un solo testimone basteranno a condannare un non-ebreo; giustizia davvero sommaria. I palestinesi d’oggi già fanno la prova, sulla propria pelle, di questo diritto spiccio. Per giustificare tale «diritto» di mandare a morte con un solo testimone a carico, o con un solo giudice, si cita Genesi 9: 5. Ma in questo passo biblico, Dio vieta di mangiare animali vivi, altrimenti «sicuramente il vostro sangue delle vostre vite reclamerò». Che cosa c’entra? C’entra, se si entra nello spirito dei talmudisti. E infatti, nella minaccia divina costoro vedono «l’uso del singolare, Io reclamerò i tuo sangue», e dunque ne deducono che un solo testimone basta a mandare al patibolo un non-giudeo.

«La Mishnah decreta che se un gentile querela un israelita, il verdetto è a favore dell’imputato (l’ebreo); se il querelante è l’israelita, egli ottiene il pieno risarcimento». Così la Jewish Encyclopedia, che come fonte di questa perla del diritto cita il trattato Baba Kamma, 4 capitolo 3° Mishnah: è il caso del bue che ne incorna un altro, evidentemente adesso esteso a qualunque situazione giudiziaria che opponga un giudeo a un non giudeo. Il goy avrà sempre torto. Ma questa perfezione sarà possibile solo nei felici tempi messianici, quando Israele avrà tutto il potere sul mondo, secondo la promessa, e i tribunali ebraici giudicheranno tutti. Per adesso, Baba Kamma Folio 113 b offre una scappatoia: «Quando una lite nasce tra un israelita e un goy, si può giustificare il primo secondo le leggi di Israele dicendo: “Tale è la nostra legge”, e così se si può assolverlo in base alle leggi dei pagani, lo si giustifichi dicendo all’altra parte: “Questa è la vostra legge”. Ma se questo non si può fare, usiamo sotterfugi per circonvenire (il pagano)». Oggi non ci mancano certo gli esempi di questo sfacciato «doppio diritto», doppio standard e bis-pensiero orwelliano. Tuttavia, in Baba Kamma 113 b, rabbi Akiba invita alla prudenza nell’uso di questi sotterfugi quando c’è il rischio di esporre la vera natura delle leggi talmudiche: ciò che viene chiamato «pericolo di violare la santificazione del Nome», ossia probabilmente il rischio che il Dio degli ebrei riceva una cattiva fama dal comportamento degli ebrei. «Ma se non c’è violazione della santificazione del Nome possiamo circonvenire costui» (il goy). Del resto, spiega la Encyclopedia, per gli ebrei «sarebbe poco saggio rivelare le loro leggi ai gentili, perché questa conoscenza poteva essere adoperata contro gli ebrei nei tribunali dei loro oppositori È per questo, conclude, che vale il detto: un ebreo che insegna a un gentile la Torah «merita la morte».

Andare a una festa cristiana per fare affari? Un pio ebreo non può e non vuole, deve tenersi lontano da «festival di idolatri», eventi religiosi, per esempio fiere e mercati dedicate a santi come accadeva nel Medio Evo. Ma se è per fare affari, può prendere la strada verso la festa «idolatra», per esempio al bazar di Gaza. purchè si accerti prima di questo: «Se la strada porta solo a quel posto, è vietato; ma se si può andare da questo in un altro posto, è permesso». Ovviamente, qualunque strada (a meno che sia un vicolo cieco) porta a un altro posto oltre al luogo della festa. L’ebreo farà finta di essere intenzionato ad andare «oltre» e ciò basterà ad assolverlo. I goy non devono mai smettere di lavorare, nemmeno il Sabato. L’Enciclopedia cita a questo proposito il Sanhedrin 58b: «Un gentile che osserva il Sabato merita la morte», e commenta che ciò «era probabilmente diretto contro i giudeo-cristiani» che «continuavano ad osservare il Sabato. Rabbina, che visse 150 anni dopo che i cristani avevano adottato la domenica come giorno di riposo, non poteva capire il principio sottostante a questa legge, sicchè ha aggiunto: «E nemmeno il lunedì» (al gentile è permesso riposare), intimando che il comando dato al Noachide, ossia «giorno e notte non cesserà» (Genesi VIII 22) va preso nel senso letterale.

Se si va a vedere quel passo del Genesi, si scopre che è la promessa che Dio, dopo il diluvio, volge a Noè e attraverso di lui a tutta l’umanità: «Finchè la terra durerà, semenza e raccolta, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno mai». La sottigliezza farisaica legge questa generosa assicurazione come un ordine di schiavitù per i noachidi. Si può obiettare che in fondo è coerente quando si ritengono i goym delle bestie, degli asini da lavoro. Ma la parola di Dio sul Sabato – Esodo 20, 10 – ordina di far riposare in quel giorno anche le bestie. «Il settimo giorno (…) non farai alcun lavoro, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo servo e la tua serva, il tuo bestiame, il forestiero che sta dentro le tue porte». Dunque l’interpretazione al contrario di questo comandamento è solo malanimo e malafede.

Si tenga presente che molti rabbini odierni già promettono che, nell’era messianica imminente, i goym verranno fatti lavorare come servi degli eletti «senza riposo giorno e notte». «I gentili devono soffrire nell’era messianica». Le tribolazioni annnunciate dai cristiani per l’arrivo del Messia sono «fittizie», dice la nota 52 in calce ad Ketuboth 111 a: esse non saranno «che i travagli di madre Sion per partorire il Messia – fuor di metafora, il popolo ebraico». Il popolo si rivelerà come Messia di se stesso. Il Sanhedrin 98 b riporta le parole esultanti di un maestro fariseo: «Gli ebrei sono destinati a mangiare a sazietà nei giorni del Messia». Poco sopra vierne citato quel che sembra un detto proverbiale: «Quando il bue corre e cade, il cavallo è posto nella sua stalla». La nota spiega: «Sarà difficile rimuovere i gentili senza infliggere molta sofferenza, ossia gli anni di abbondanza che il Messia porterà saranni goduti dagli israeliti».

In un altro passo si legge: «Un min (cristiano) chiese a rabbi Abbahu: ‘Quando verrà il Messia?’. Egli rispose: “Quando l’oscurità copre questa gente”, riferendosi all’interrogante e ai suoi compagni. “Tu mi maledici”, dice il min». A proposito dell’oscurità, si cita anche una sorta di parabola: «Il gallo disse al pipistrello: io aspetto la luce, perché ho la vista; ma a che serve la luce a te?». La nota 40 interpreta così: «Dunque Israele deve sperare nel riscatto, perché sarà un giorno di luce per loro, ma perchè dovrebbero (sperare) i gentili, vedendo che per loro sarà un giorno di oscurità?».

Sodomizzare un bambino gentile: pro e contro. Il trattato Abodah Zara 36b 37a riporta il parere dei saggi: «Un bambino goy causa contaminazione per emissione del seme, sicchè un figlio israelita non dovrebbe prendere l’abitudine di commettere pederastia con lui». Segue una disputa rabbinica sull’età in cui un bambino goy può cominciare a contaminare gli eletti per la sua impura eiaculazione non-kosher. Rabbi Zera pone la domanda a rabbi Assi, rabbi Assi la pone a rabbi Johanan, questo a rabbi Jannai; rabbi Jannai a rabbi Nathan ben Amram, e quest’ultimo al Rabbi per antonomasia. Tutti trovano difficile ottenere una risposta. Alla fine, il Rabbi (senza nome) «mi rispose: “Da un giorno” (ossia quando il bambino goy è nato da un giorno, già contamina). «Ma quando venni da rabbi Hiyya, egli mi disse: “dall’età di nove anni e un giorno”. Quando io tornai a discutere il caso con Rabbi, egli mi disse: “abbandona la mia risposta e adotta quella di r. Hiyya che ha dichiarato: ‘da che età un bambino goy causa contaminazione per emissione seminale? Dall’età di nove anni ed un giorno, perché in quanto è capace dell’atto sessuale egli rende impuro per emissione’”. Rabbina disse: “Si deve dunque concludere che una bambina goy (contamina un ebreo) dall’età di 3 anni e un giorno, perché nella misura in cui ella è capace di atto sessuale, essa condamina con un flusso. Questo è ovvio!”».

Leggere per credere:


Ho voluto dilungarmi su questo, per dare un’idea del tipo di sottilissime ed altissime dispute di cui è pieno il Talmud. È uno dei casi in cui si vedono i talmudisti «scolare il moscerino» di ciò che è kosher o no, e ingollare l’orribile cammello della pederastia e della pedofilia. L’idiozia che a tre anni una bambina sia capace dell’atto sessuale fa parte della «scienza» farisaica, e viene ripetuta molte volte in molti trattati.

(continua)

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1) Lo stesso Trattato prescrive: «Una donna israelita non deve allattare il figlio di una pagana, perché alleva un bimbo per l’idolatria, né una donna pagana deve allattare il figlio di un’israelita, perché può ucciderlo». Come? Per esempio può «strofinare con veleno le sue mammelle e così uccidere il bambino».


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