>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
I presìdi divelti
Stampa
  Text size
Guardo la foto di bambine che pregano nella chiesa della Vergine a Bartala, presso Mossul. Fissano arditamente nella macchina fotografica, hanno lievi sorrisi e si mettono un pochino in posa... Tutte, poiché sono in chiesa, hanno il velo bianco e ricamato sulla testa; nello sfondo, qualche donna anziana ha il capo coperto da un velo nero – come da noi non si usa più da 40 anni (non siamo più «tradizionalisti», noialtri). Adesso le piccole velate dove saranno? In quale campo profughi, fra quali tende di plastica fra cui si addensa l’odore di feci umane, per la mancanza d’acqua?

A Ninive, a Karakosh, chiese di 1500 anni, che erano lì prima dell’Islam, abbandonate dai fedeli, sono in balia dei satanici jihadisti armati ed addestrati dai satanici cristianisti statunitensi. Distrutte le iconostasi d’argento, calpestate e vendute le lampade traforate e misteriose del rito caldeo, spaccate le lapidi dei cimiteri con le croci e le scritte in aramaico e greco, le croci, le statue dei santi. Finite le funzioni. Mani consacrate non alzeranno più il calice all’Elevazione.

Poiché il Nemico sa perfettamente quello che sta facendo, non basta vedere nella fuga dei cristiani in Iraq (e Siria, ed Egitto) solo la catastrofe umanitaria. Ovviamente c’è anche quella, perché colui che è detto L’Omicida fin da Principio gode dei campi della morte, si inebria dell’odore dei cadaveri decomposti, tripudia nel sangue dei decapitati, e ancor più dei fumi dell’odio che «raffreddano la carità», delle fanciulle violate nell’anima e presto non più innocenti nei campi dei rifugiati, dove lerci servi satanici si aggirano a scegliere corpi indifesi, o anche parti di corpi da vendere ai ricchi occidentali... è il suo regno, se ne compiace; non a caso si fa chiamare Signore delle Mosche.

E tuttavia, il dolore e la morte, i sacrifici umani, il terrore, caos e fuga dalle case e dai villaggi antichi di secoli, sono solo un effetto collaterale. Il suo vero scopo, è spegnere da quei luoghi la Presenza Reale. Quelle Chiese fondate da apostoli, che quindi consacrano validamente, quelle Ostie elevate da sempre fra governanti ostili (mai sono state sotto re cristiani, Bisanzio non giunse fin là), accendevano ogni giorno la Luce eucaristica, nutrivano i fedeli (pochi o tanti non conta) del vero Cibo. Il Nemico non sopporta la fiammella di quella Luce, tanto meno che essa si faccia mangiare, incorporare in uomini, coprendoli della corazza della luce che al Nemico fa da ostacolo.



Un tempo (non so se oggi) la Chiesa missionaria si vantava che dovunque sorgesse il sole sulla sfera terrestre, si celebrava una Messa, si accendeva la Presenza Reale come ringraziamento, saluto al Padre e salute per gli uomini. Onde nessun Paese, nessun tratto continentale, fosse lasciato nelle tenere, e dovunque nella notte splendesse almeno una Luce. Con questa rotazione delle Messe, si coglieva qualcosa che oggi non si riconosce più, il valore cosmico dell’elevazione. In qualche modo Giovanni Paolo II lo affermò con questa frase: «Anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l'Eucaristia è sempre celebrata, in un certo senso, sull’altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra». O come disse con più precisione il cardinal Siri: «Le Chiese possono essere vuote, ma Cristo nel tabernacolo non è inutile, perché l’Eucarestia, sia attraverso il Sacrificio, sia attraverso il Sacramento permanente, è una fonte di forza, di grazia, di benedizione, di salvezza incessante. Ricordiamoci che è di lì che si germinano i vergini e le vergini, è di lì che sorgono i fondatori, è di lì che resistono i combattenti, è di lì forse che attraverso una vita apparentemente lontana da Dio si prepara la finale di salvezza nella sua misericordia, ma la si prepara attraverso questa Presenza, che appare a noi silenziosa e inerte, e non è né silenziosa né inerte».

È noto l’odio protestante per questo aspetto cosmico dell’Eucaristia; da cui la loro abolizione del tabernacolo, segno della Presenza divina permanente; ed è per questo che il conciliarismo imperante, protestantizzante, per compiacerli e confondersi con questi, ha tolto il tabernacolo dal centro ottico-architettonico delle chiese, dove è stato per due millenni, illuminato da una lieve lampada rossa, in cui il fedele riconosceva sùbito che «Lui è qui». Tacerò dei «teologi» alla moda come Vito Mancuso, che parla di «un residuo di antropofagia sacra», o di Ernesto Balducci, per il quale «è un rito di consolazione, un rito sacro abusivo» se non «prorompe come bisogno di fraternità nel mondo». Taccio dei purissimi mistici, che ne negano il senso per noi semplici peccatori, lontani dalla mistica unione con l’umanità. Zundel: «L’ostia nel tabernacolo come oggetto è inefficace... Se questa Presenza non è sentita come una presenza comunitaria che ci vuole fraternamente uniti, siamo completamente fuori dalla prospettiva del vangelo».

Questi negano il valore sacro e cosmico del Cristo come Pantokrator nel ciborio, di presidio regale solidamente piantato in una terra precisa, in un’ora del mondo che non tornerà: vi vedono qualcosa di magico, di pagano e superstizioso, che proprio «il buon cattolico» dovrebbe rigettare come tentazione.

Il Nemico, come noto, è miglior teologo. Sa fin troppo bene, non come teoria ma come esperienza (esperienza di bruciore) quanto il Sacramento permanente è una fonte di forza, di grazia, di benedizione, di salvezza incessante. E per mezzo dei suoi sgozzatori spegne le luci, una dopo l’altra.

Il Nord Europa l’ha affondato nelle tenebre da secoli, nella centrale e meridionale le fiammelle resistono, ma fra ampi spazi di buio. Adesso, anche sull’antica Ninive ha fatto scendere la sua notte. È noto ciò a cui punta: egli «farà cessare il sacrificio e l’offerta» per un tempo, e piomberà l’umanità nel buio più assoluto – buio spirituale, quelle tenebre dove si potrà far tutto, impunemente, senza controllo né responsabilità – perché è notte – contro la povera carne umana.



«Il figlio della perdizione verrà quando il giorno volge al termine e il sole tramonta, cioè quando arriverà la fine dei tempi e il mondo perderà la sua stabilità», profetò la santa Ildegarda di Bingen. Senza il Sacrificio, infatti, non più vergini né fondatori hanno forza di grazia nei combattenti. La Menzogna avrà il suo regno, incontrastato più di quanto sia oggi: «allora il seduttore del mondo apparirà come figlio di Dio e opererà miracoli e prodigi, e la terra sarà consegnata nelle sue mani, e compirà iniquità quali non avvennero mai dal principio del tempo» (Didaché 16,3).

Ai tre fanciulletti di Fatima, l’angelo insegnò ad offrire a Dio il preziosissimo Corpo e Sangue «presente in tutti i tabernacoli della Terra», indice che il numero e la diffusione dei punti di luce della Presenza ha importanza per il Cielo. È sostenibile che quando Satana tentò Cristo promettendogli tutti i regni del mondo, «perché miei sono i regni ed io li dò a chi voglio» (Luca 4,5), era perché effettivamente erano tutti suoi, prima che s’incarnasse Cristo; il quale gli ha da allora sottratto regni ed imperi, accendendo la Sua eucaristica.

Quanta luce resta sulle nostre terre ancora cattoliche – se poi lo sono ancora? È o non è vero che dopo il Concilio la Chiesa cattolica apostolica e romana è diventata sacramentalmente scialba, credendo di essere migliore? Non è scesa forse una penombra?

Ho fitto nella mente l’atto con cui, nel 1963, Paolo VI che volle deporre il triregno: lo fece, ci dissero, «per umiltà» e per mostrare «rinuncia a qualsiasi potere di natura politico-umana», poiché il triregno indica il potere regale sui tre mondi, lo spirituale, l’animico e il terreno, ossia il politico. Ben strana «umiltà» di uno che sapeva meglio di Cristo che cos’era bene per l’uomo, uno che rinuncia ad una prerogativa che non gli apparteneva ma gli era stata affidata.

Tale «umile» ovviamente non vide che – con quel gesto – non era la Chiesa che rinunciava al potere; era, al contrario, il potere che da quel momento era liberato da ogni obbligo, dall’istanza suprema a cui – un via di principio – dipendeva, e dunque doveva rispondere. Un altro presidio, un’altra protezione fu tolta: da quel momento il potere politico fu restituito integralmente nelle mani sataniche, scatenato a strappare le anime da ogni salvezza, e ai corpi la vita, il cibo, la sicurezza, ogni rispetto e dignità: ciò che avviene oggi.

Ovviamente, teologi e vescovi disprezzano una simile idea: da una parte, è «superstizioso» credere all’efficacia di un gesto, dopotutto, solo «simbolico»; dall’altra, che la rinuncia della Chiesa al potere temporale è benefico, l’ha spiritualizzata, o anche che – dopotutto – tiara o non tiara, il Papa è sempre il Papa, il vicario di Cristo che continua a regnare nei «tre mondi».

Ciò non è strano, visto che teologi e vescovi conciliari non conoscono più che, oltre i sacramenti, la Chiesa ha i «sacramentalia». Il Medioevo ne conosceva tanti: l’ordinazione di un cavaliere era un sacramentale, come l’introduzione di un apprendista sotto il Maestro d’arte; la tonsura dei frati era un sacramentale. La Messa ancor ieri era fitta di sacramentali: le incensazioni, i ripetuti inchini e le benedizioni; la benedizione dell’acqua da mescolare al vino che diverrà Sangue (1); l’evocare della «beata Maria sempre vergine, beato Michele arcangelo, il santo Giovanni Battista, i santi apostoli Pietro e Paolo» – uno per uno, nominativamente chiamati a farsi presenti al rito. Se i sacramenti sono istituiti da Cristo, i sacramentali sono istituzioni della Sede Apostolica, sono manifestazioni minori della sua potenza, hanno efficacia. Ma proprio i teologi e vescovi conciliari ne hanno sfrondato la Messa onde renderla «pura», decontaminata dalle «arcaiche superstizioni» (di fatto renderla simile alla cerimonia luterana). Sicché non riconoscono più che Paolo VI, quando depose la tiara, operò un sacramentale. O un contro-sacramentale.

  
Paolo VI, infatti, non lo fece come gesto casuale e prosaico. Lo fece con solennità sacramentale, con addosso i paramenti pontificali, nel giorno della riapertura del Concilio (interrotto per la morte di Giovanni XXIII), anzi nel pieno della Messa. Lo fece nella pienezza del suo potere papale, dunque con la volontà di dare al gesto la massima «efficacia» nei «tre mondi». Anzi, avrebbe voluto più ostentazione rituale. Non vi riuscì perché – stante la testimonianza dell’allora protodiacono, Card. Di Jorio, quando Paolo VI manifestò l’intenzione di deporre la Tiara, non gli fu possibile farlo con una cerimonia come avrebbe voluto perché i cardinali-diaconi gli dissero: « Noi gliel’abbiamo imposta, noi non gliela leveremo». E dunque egli entrò in Basilica portandola in mano e andò a deporla sotto l’Altare della Confessione...».

E non gli bastò, volle fare un gesto di maggiore spregio, pubblicamente. «Nel 1964 il Pontefice volle dare un ulteriore segno mettendo in vendita la tiara e darne il ricavato ai poveri. Il cardinale Spellman chiese ed acquistò la tiara, che è oggi esposta nella basilica dell’Immacolata Concezione a Washington».

Sappiamo anche, purtroppo, in onore di quale ideologia spogliò la Chiesa dall’autorità spirituale sul potere temporale, ossia sul politico: egli credeva il sorgere di una Umanità rinnovata, esentata dalla croce e dal peccato, ormai matura, non più bisognosa di tutela sacramentale; la Chiesa non aveva da far altro che mettersi al servizio di tale Uomo nuovo. Il compianto don Luigi Villa ha raccolto le prove incontrovertibili di questo funesto innamoramento di Paolo VI. Sono affermazioni ed entusiasmi che, letti oggi sullo sfondo della rovina del genere umano, delle guerre senza ragione altra che di rapina, della globalizzazione come trionfo dell’egoismo e della cattiveria dei pochi contro i molti, sanno di delirio:

«Tutte queste ricchezze dottrinali (del Concilio) non mirano che a una cosa: servire l’uomo». «La religione del Dio che si è fatto uomo si è incontrata con la religione (perché ce n’è una sola!) dell’uomo che si è fatto Dio. Cos’è arrivato? Uno choc, una lotta, un anatema? Ciò poteva anche arrivare, ma questo non è avvenuto!». «Riconoscetegli almeno questo merito, voi umanisti moderni, che rinunciate alla trascendenza delle cose supreme, e sappiate riconoscere il nostro nuovo umanesimo: Noi, pure, Noi più di chiunque altro, NOI ABBIAMO IL CULTO DELL’UOMO. Più di chiunque altro. Più del marxismo, più del giacobinismo, più del radicalismo libertario, degli altri “umanesimi” correnti...».

E il 13 luglio 1969, disse: «L’uomo ci si rivela gigante. Ci si rivela divino. Ci si rivela divino non in sé, ma nel suo principio e nel suo destino. Onore all’uomo, onore alla sua dignità, al suo spirito, alla sua vita»! «Noi siamo tutti, Chiese comprese, ingaggiati per la nascita di un “mondo nuovo”. Dio... nel Suo amore per l’uomo, organizza i movimenti della storia per il progresso dell’umanità e in vista di una terra novella e di cieli nuovi, dove la giustizia sarà perfetta!».

Un mondo di qua «dove la giustizia sarà perfetta», dove «l’umanità» è progressisticamente in marcia verso «una terra novella e cieli nuovi»: quella che qui Paolo VI professa con tanta eccitazione non è una analisi politica, ma una religione. Solo che non è la religione di Cristo. In questa, l’umanità è ferita dal peccato originale, che la inclina al male; la liberazione è nella Croce, non nel godimento dei diritti e del benessere distribuito; in essa la Rivelazione è necessaria alla salvezza, e la Chiesa non è stata istituita per servire l’uomo ma per servire Dio, e ad essa portare gli uomini. Quella di Montini, ovviamente, è la «religione dell’Uomo»: non so quanto vi entri l’adesione massonica (che don Luigi Villa dava per certa), o piuttosto, ahimè, il tristo entusiasmo omosessuale, con la distorsione del reale che essa comporta: troppo acceso, troppo passionale e impudico è l’entusiasmo per «l’Uomo», qui esaltato...

L’innamorato dell’Uomo nel 1970 proclamava, con malsano ottimismo delirante, nel suo «messaggio all’ONU» del 4 ottobre 19760 ( all’ONU come futuro governo mondiale, Paolo VI cedette la tiara papale): «Cosa esprime, dunque, questa coscienza con tale energia? I “Diritti dell’Uomo”! La coscienza dell’umanità diviene sempre più forte. Gli uomini ritrovano questa parte inalienabile di sé stessi che li tiene uniti: l’umano nell’uomo!».

Ciò che «tiene uniti gli uomini» è «l’umano nell’uomo»: difficile vaneggiare di più, eppure il vaneggiatore dichiarava questi deliri «realismo evangelico».

C’è da ridere, molto amaramente, a sentire le altre sue frenesie di quegli anni:

«Non solo la causa dell’uomo non è perduta, ma essa è in situazione avvantaggiata e sicura (sic) Le grandi idee che sono come i fari del mondo moderno non si estinguono. L’unità del mondo si farà. La dignità della persona umana sarà riconosciuta realmente e non solo per la forma… Le ingiuste ineguaglianze sociali saranno soppresse. I rapporti tra i popoli saranno fondati sulla pace, la ragione e la fraternità… Non si tratta di un sogno o d’una utopia, né di un mito: è il realismo evangelico!».

«L’unità del mondo si farà!», esclamava tutto eccitato... Oggi possiamo vederlo: sì, unità del mondo si sta facendo a tappe forzate, secondo l’ordine arrogante e disumano di Wall Street e della City, oligarchie miliardarie e burocrazie inamovibili sequestrano i diritti elementari, l’eguaglianza è calpestata e derisa dal liberismo globale, il Sistema è fatto di strapotenza militare al servizio dell’iniquità e del disordine, vedi Libia, Siria, Iraq, Ucraina, Gaza....

«I rapporti tra i popoli saranno fondati sulla pace, la ragione e la fraternità», si sdilinquiva il sedotto dall’Uomo e dalle sue magnifiche sorti e progressive. Abbiamo sotto gli occhi come quel suo «realismo evangelico» si realizza, ogni giorno di più.

Ben si sa quanta di questa funesta ammmirazione, di questo ideologico innamoramento per il «mondo» è passato nei documenti del Concilio; evidentemente Paolo VI non fu il solo sedotto dall’état d’esprit del tempo (tali temperie collettive sono create da quelle entità non a caso dette «potenze dell’aria», perché influiscono sull’atmosfera psichica). A rileggere oggi si stenta a credere. La Gaudium et Spes esalta la tecnica che «già conquista gli spazi interplanetari» (l’allunaggio della NASA era appena avvenuto), le scienze «ordinano l’espansione demografica» (eh sì, con pillole e aborti legalizzati), «l’intelligenza impera sopra il tempo» perché conosce il passato e prevede il futuro (e i nostri media inventano persino il presente, commenta con sarcasmo don Alvaro Calderòn, prete lefevriano argentino). Nelle tragedie ed oppressioni dell’epoca (si pensi alla rivoluzione culturale cinese, ai terroristi rossi europei, ai Gulag ancora aperti in Siberia con milioni di cristiani dentro), la Gaudium et Spes non vede che una «metamorfosi sociale e culturale che ridonda anche sulla vita religiosa», una «crisi di crescita». Infatti dichiara «spezzato il potere del demonio, perché il mondo si trasformi secondo il progetto divino e giunga alla sua consumazione».

Oggi ci domandiamo: come fu possibile che l’intera gerarchia cattolica si sia fatta affascinare da una così vieta ideologia progressista? Un ottimismo da Ballo Excelsior! Eppure la Chiesa venne messa al servizio di questa nuova Umanità. Gaudium et Spes 82: «Dobbiamo con ogni impegno sforzarci per preparare quel tempo nel quale, mediante l’accordo delle nazioni, si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra. Questo naturalmente esige che venga istituita un’autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, la quale sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti».

A quale regno universale dedica «tutto l’impegno» il Concilio? Un potere mondiale da tutti riconosciuto, dotato «di efficace potere» – ossia di armi strapotenti, di una polizia mondiale e di un tribunale penale globale – per impedire le guerre... i padri conciliari pensavano all’ONU, sede del benefico potere, altare dei «diritti umani».

Noi vi riconosciamo il regno dell’Anticristo. Infatti, «se non è il Principe della Pace a stabilire ordine e giustizia tra i popoli per mezzo dei poteri che ha comunicato al suo Vicario, sarà il Principe delle tenebre che lo farà per mezzo dei poteri che concede al suo primogenito, l’Anticristo» (padre Alvaro Calderon, La religiòn del hombre, Argentina).

Nel deporre il triregno con solenne sacramentale, Paolo VI strappò «qualcosa che tratteneva» il potere politico dal manifestarsi come mera forza bruta, forza di violenza e menzogna, satanicamente dedita a spargere il caos e la violenza, la morte fisica e la morte spirituale di questa generazione?

Io sono convinto che fu da allora che certe dighe furono divelte, certe barriere vennero meno – dal Nord cominciò a sciamare Gog e Magog. Sono altrettanto certo che – se siete cattolici – penserete che io stia aderendo a una risibile superstizione, anzi condannabile proprio in un credente. Evidentemente lo credeva anche Paolo VI. Depose la tiara credendo di far bene, di rinunciare a un orpello simbolo di un «potere temporale» che non aveva più ragione di esistere nella modernità, fra un’umanità ormai adulta, nel Ballo Excelsior in cui lui immaginava le magnifiche sorti e progressive. Credo alla sua buona fede. Se fosse stato un massone ideologicamente determinato e cosciente, avrebbe evitato accuratamente di nominare il «fumo di Satana» nella Chiesa post-conciliare, come fece in quel giugno 1972.

«Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio: c’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale, per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne, invece, già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce…». «Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta, invece, una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. (...)Vi confidiamo un Nostro pensiero: c’è stato l’intervento di un potere avverso. Il suo nome è il Diavolo, questo misterioso essere cui si fa allusione anche nella lettera di San Pietro»…

C’è un ingenuo sgomento in queste frasi, che lascia disarmati. Anche se evocare Satana e dir di non sapere da quale fessura sia entrato il suo puzzo – fessure fin troppo evidenti – è in fondo uno scarico di coscienza (questo sì superstizioso) per scagionare sé e l’ideologia modernista, di quella «religione dell’Uomo» di cui era così entusiasticamente adepto. Evocava evidentemente la frase del Padrone nel cui campo era apparsa la zizzania: «Un Nemico ha fatto questo».

E infatti, ecco sùbito il rifiuto di sradicare la zizzania:

«Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della fiducia in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non qualunque altro. Sarà Lui a sedare la tempesta..».

Che strana doppia coscienza. Il Cielo può giudicare.

Certo è che da allora è stato tutto uno svellere difese, un eliminare protezioni nel regno dell’invisibile. Mai e poi mai ho potuto accettare lo strappo, l’estirpazione dell’invocazione all’Arcangelo: Sancte Michaël Archangele, defende nos in proelio; contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium.... Chi è il colpevole? Come si sono permessi?

Sapete meglio di me che è stato un papa – e che papa, Leone XIII – ad ordinare di recitarla. Sapete che nel 13 ottobre 1884, finita di celebrare la Messa nella cappella vaticana, rimase attonito e pallido a qualcosa che gli si parava davanti agli occhi. Corse nel suo studio e stilò questa preghiera. Tempo dopo confidò: «Ho visto la terra avvolta dalle tenebre e da un abisso, ho visto uscire legioni di demoni che si spargevano per il mondo per distruggere le opere della Chiesa ed attaccare la stessa Chiesa che ho visto ridotta allo stremo. Allora apparve S. Michele e ricacciò gli spiriti malvagi nell'abisso. Poi ho visto S. Michele Arcangelo intervenire non in quel momento, ma molto più tardi, quando le persone avessero moltiplicato le loro ferventi preghiere verso l’Arcangelo ».

Leone XIII credeva ai sacramentali e alla loro efficacia. Aveva prescritto questa invocazione nel pieno della sua autorità pontificale. Palesemente, aveva concepito come una difesa, un presidio –anzi, un esorcismo di cui la preghiera è parte – contro l’assedio di satana, il turbinare delle sue legioni, l’infestazione del Nemico nella Chiesa. Chi si è preso questa libertà di divellere un tal presidio?

Leone aveva ordinato che questa orazione venisse recitata alla fine della Messa dal celebrante in ginocchio, davanti all’altare coi ministri, a voce alta, in uno coi fedeli ai loro posti.

A voce alta. Davanti all’altare. In ginocchio: con la voce d’imperio e il gesto della supplica.

L’aveva voluto potente, il sacramentale. Sapeva quel che faceva. Dava fastidio? Che male faceva?

Bastò una riga burocratica. L’istruzione Inter oecumenici n. 48, § j, decretò: «...le preghiere leoniane sono soppresse » (26 settembre 1964).

Anche chi l’ha abolita sapeva quel che faceva. Credeva a questo presidio, ed ha voluto strapparlo. Ha lasciato la Chiesa e noi privi anche di questa difesa. L’ecumenico Ballo Excelsior è diventato questo campo della morte e della perversione che già ci minaccia sempre più da vicino.

Privatamente, dunque con flebile voce individuale e non più con la potenza della Chiesa gerarchica e militante, ripetiamo tuttavia: Sancte Michael Arcangele, defende nos in proelio.





1) Per esempio, del profondo significato di tale sacramentale, non sapevo che «nelle Messe dei defunti il sacerdote non benedice l’acqua che si deve mescolare al vino nel calice. (...) Infatti l’acqua rappresenta i fedeli e il vino rappresenta Nostro Signore Gesù (...). La Chiesa dunque, non benedicendo l’acqua nella Messa dei defunti, fa comprendere che non ha più alcuna autorità sulle anime del Purgatorio. L’acqua è talmente indispensabile per la celebrazione del Santo sacrificio che, se per qualche circostanza avvenisse di non trovarne, bisognerebbe astenersi dal celebrare, anche nel giorno di Pasqua» (Dom Prosper Guéranger, La Santa Messa, edito dalle Suore Francescane dell’Immacolata). L’aver ripubblicato simili testi basta, temo, a spiegare la persecuzione e dispersione da parte della gerarchia modernista di questo santo ordine francescano.



L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità