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Parmenide e le due vie
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5.1 Parmenide - per quello che ce ne racconta Platone nell’omonimo dialogo - destò una forte impressione ad Atene, dove era giunto come ambasciatore del suo paese.
Ce lo descrive come un «terribile vegliardo».
Ma, come dire, non ci siamo ancora ripresi dallo spavento, che ecco che Platone stesso allo spavento fa seguire  una scena comica.
Ci mostra un codazzo di persone che si muove dietro di lui.
Gli tiene il passo.
E si apre come a ventaglio per fargli varco quando sta per girarsi all’indietro.
Servi sciocchi o servi furbi come se ne vedono anche oggi.
Ma «terribile» e «vegliardo» non sono termini essi stessi che mettono sorriso?
Perché vegliardo è come un vecchio che consuma la sua vita nell’attesa.
Terribile, invece, è chi è sempre attento, pronto a intervenire.
Un vegliardo terribile è come un leone intrappolato o come un leone assonnato.
Si prende Platone gioco di lui?
E’ anche possibile, visto che i sapienti sono in gara tra di loro.
Ma a noi il personaggio interessa poco.
A noi interessa un suo poema – «Sulla natura» -, tramandatoci quasi per intero.
Leggiamo il pezzo di bravura.

5.2  «Infatti, questo non potrà mai imporsi: che siano le cose che non sono!
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero, né l’abitudine, nata da numerose esperienze, su questa via ti forzi a muovere l’occhio che non vede, l’orecchio che rimbomba e la lingua, ma con la ragione giudica la prova molto discussa che da me ti è stata fornita.
Resta solo un discorso della via: che ‘è’.
Su  questa via ci sono segni indicatori assai numerosi: che l’essere è ingenerato e imperituro, infatti è un intero nel suo insieme, immobile e senza fine.
Né una volta era né sarà, perché è ora insieme tutto quanto, uno, continuo.
Quale origine, infatti, cercherai di esso?
Come e da dove sarebbe cresciuto?
Dal non essere non ti concedo né di dirlo né di pensarlo, perché non è possibile né di dire né pensare che non è.
Quale necessità lo avrebbe mai costretto a nascere, dopo o prima, se derivasse dal nulla?
Perciò è necessario che sia per intero, o che non sia per nulla.
E neppure dell’essere concederà la forza di una certezza che nasca qualcosa che sia accanto ad esso.
Per questa ragione né il nascere né il perire concesse a lui la Giustizia, sciogliendolo dalle catene, ma saldamente lo tiene.
La decisione intorno a tali cose sta in questo: ‘è’ o ‘è’.
Si è quindi deciso, come è necessario, che una via si deve lasciare, in quanto è impensabile e inesprimibile, perché non del vero è la via, e invece che l’altra è, ed è vera
».      
(B. Frammenti, 7-8. Traduzione G. Reale )

Partiamo dalla prima espressione: «Infatti, questo non potrà mai imporsi, ecc».
Ne è convinto?
Non si direbbe.
Se lotta.
Ma se è nel dubbio, perché pretende che sia l’altro ad allontanare il pensiero dalla verità, la verità che le cose che non sono, sono?
Aggiunge anche: «Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero, ecc., ecc.».
Ora, se la prova che è stata fornita è una prova molto discussa, si tratta di una prova poco evidente.
E come è possibile confutare una prova evidente?
Ecco: «Senza muovere l’occhio che non vede, l’orecchio che rimbomba e la lingua».
E cioè dormendo.
Infatti durante il sonno, gli occhi non si muovono, l’orecchio respinge i suoni e non si parla.
Mi domando se questo modo di procedere non sia lo stesso di cui Hegel si prese gioco nella prefazione alla «Fenomenologia dello Spirito», quando accusava quei filosofi che durante il sonno venivano dal dio senza fatica da parte loro istruiti.
Ma questo è un altro discorso.
Ora, la dea prosegue: Resta solo un discorso della via: «che è».
Domanda: se l’essere è, qual è la via che conduce ad esso?
Non sarà il non essere?
Ma se dunque non è possibile arrivare all’essere senza il nulla, il discorso della via: «che è»
è un discorso privo di fondamento.
E siccome sta parlando a chi è nel sonno, senza tema di essere smentito, continua: «Su questa via ci sono segni indicatori assai numerosi, ecc.».
E sia.
Ma si accordano all’essere?

L’essere infatti non può essere ingenerato e imperituro.
Ingenerato e imperituro è il nulla.
La ragione?
Perché il genere suppone la specie, e l’immortalità la morte.
Anteposto alla specie, il genere è privo di determinazione e dunque di esistenza.
E l’immortalità anteposta alla morte, è una cosa ridicola.
Ma all’essere aggiunge altri particolari che neppure gli appartengono: «E’ un intero nel suo insieme, immobile e senza fine».
L’immagine che trasmette è quella del cerchio.
E il cerchio racchiude in una circonferenza il suo insieme.
E’ immobile e senza fine, perché non ha un inizio.
Ma il cerchio è qualcosa?
O è l rappresentazione appunto del nulla?
Non metterebbe conto aggiungere il resto.
Ma non possiamo lasciarlo proprio ora che sta stringendo come dire il suo cerchio.
«Quale origine, infatti, - dice - cercherai di esso? Come e da dove sarebbe cresciuto? Dal non essere non ti concedo né di dirlo né di pensarlo, perché non è possibile né di dire né pensare che non è. Quale necessità lo avrebbe mai costretto a nascere, dopo o prima, se derivasse dal nulla».
E’ evidente che il cerchio è nato dalla fantasia.
E la fantasia è figlia dell’uomo addormentato non dell’uomo desto.
E tutte le cose che nascono dalla fantasia sono senza necessità o, se si preferisce, senza realtà.

5.4 Ci concediamo una pausa, prima dell’attacco finale.
Pesante, se parte con l’affermazione: «E neppure dell’essere concederà la forza di una certezza che nasca qualcosa che sia accanto ad esso».
Domanda: La certezza, anzi la forza della certezza, non deriva dal confronto?
Se deriva dal confronto, allora è giusto che la certezza pretenda che accanto all’essere ci sia qualcosa che gli possa fare da contraltare.
Questo qualcosa non è il nulla?
E aggiunge: «Per questa ragione né il nascere né il perire concesse a lui la Giustizia, sciogliendolo dalle catene, ma saldamente lo tiene».
Domanda: che Giustizia sarà mai questa se tiene l’essere senza motivo o senza prova - dal momento che la prova dipende dall’esistenza - perennemente legato alle catene?
E siamo alla conclusione: «La decisione intorno a tali cose sta in questo: ‘è’ o ‘non è’. Si è quindi deciso, come è necessario, che una via si deve lasciare, in quanto è impensabile e inesprimibile, perché non del vero è la via, e invece che l’altra è, ed è vera».
Domanda: se la questione è nei termini «è» o «non è», si può decidere optando per uno solo dei termini?
In questo modo prevale la forza.
Non la ragione.

5.5 Abbiamo, credo, soddisfatto al nostro compito.
Ma non possiamo non sciogliere il detto più noto di Parmenide: «… Infatti lo stesso è pensare ed essere».
Domanda: non esprime con estrema chiarezza il nulla?
O, se più piace, non è il pensiero di chi dorme?
Per meglio capire la cosa, bisogna unificare i due termini.
Avremo: un essere pensato o un pensiero mummificato.
In entrambi i casi, siamo in presenza del non essere o del nulla.
                       
Marcello Caleo


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