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La dittatura del relativismo, in pratica
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Lezione di catechismo. Un ragazzino chiede alla catechista, una signora volontaria in età: «Ho uno zio omosessuale; può fare la Comunione?». Un po’ interdetta, la signora risponde che no, e cerca di dire che occorre essere in stato di grazia, e il peccato omosessuale abituale, se non ci se ne pente, rende la Comunione sacrilega. Nasce, come al solito in casi come questi, una piccola discussione, ci sono i pro e i contro. Accade a Segrate, quartiere di semi-lusso della cintura di Milano.

Ebbene: questo fatterello è stato ritenuto degno di attenzione e di scandalo, nientemeno, da La Repubblica, il gran quotidiano della borghesia illuminata. Nelle pagine milanesi, La Repubblica spara il titolo: «L’omosessualità è una malattia. Bufera sulla catechista di Segrate». La «bufera» è in un bicchier d’acqua, ma il giornale illuminato ben conosce l’arte di montare la chiara d’uovo, sbattendo ben bene le notizie inesistenti. L’evento viene descritto come una disputa, una tenzone:

«Da una parte gli studenti, pronti a difendere i diritti degli omosessuali, dall’altra la catechista, irremovibile sulla propria posizione. Sono persone come noi, non si possono discriminare, hanno argomentato i ragazzi. “Solo una coppia fatta da uomo e donna può avere figli e crescerli nella maniera giusta, ha replicato la donna». Si giura che «a Segrate da due giorni non si parla d’altro». Si rende noto che «uno dei genitori ha voluto portare il dibattito su Facebook (sic). In poche ore il post ha raccolto oltre 200 commenti. Spaccato a metà, il popolo della Rete si divide»; si riferisce che lo scandalo e l’indignazione hanno spinto due famiglie a ritirare i ragazzi dal corso di catechismo. «Un’insegnante così è da cacciare il prima possibile!».

Il giornale arriva a interpellare il sindaco di Segrate chiedendogli conto di cosa farà per mettere fine allo scandalo della catechista omofoba, che scuote la comunità da cima a fondo: insomma il giornale esige l’intervento repressivo della pubblica autorità . Il sindaco, che nulla ha a che vedere con i corsi di catechismo che avvengono in parrocchia, impapocchia un farfuglio per cavarsi d’impaccio: «Quando consegniamo la Costituzione ai ragazzi delle medie, la prima cosa che diciamo è che tutti hanno diritto al rispetto, al di là della razza e delle scelte di vita. Le affermazioni della catechista appartengono a un passato che la società civile ritiene superato da tempo» (1).

Se pensate che questo è un fatterello minimo, sono d’accordo con voi. Ma siccome ho la ventura di conoscere la povera catechista, matura e normalissima signora che fa volontariato e s’è trovata messa alla gogna, psichicamente violentata, violata la sua normalità di persona privata esposta alla calunnia e alla derisione, o alla pietà pelosa dei vicini, vorrei denunciare che qui siamo nel punto esatto in cui l’ideologia della tolleranza assoluta, vigente ed egemone oggi, si rovescia in intolleranza. Il punto in cui «dittatura del relativismo» assume il suo senso proprio: di totalitarismo poliziesco del pensiero unico.

Il giornalistucolo locale di Repubblica aderisce – come tutti i suoi pari – all’ideologia del «rifiuto di ogni dogma», che lui crede «libertà di pensiero»; sicuramente fa sua la dogmatica politicamente corretta secondo cui nessuno è in grado di conoscere il vero e il bene, per cui tutti sono tenuti a rispettare le decisioni , opinioni e «verità» altrui. Per questo motivo, in nome della «libertà», si fa delatore e inquisitore contro una persona che avrebbe espresso idee diverse da quelle permesse da Repubblica e dall’ideologia corrente. Dico «avrebbe» perché il giornalistucolo non ha nemmeno ascoltato con le sue orecchie la catechista, ma sta solo riferendo un sentito dire, e probabilmente mal inteso dagli ascoltatori, che sono ragazzi tredicenni. È un atto di estrema scorrettezza persino per l’etica professionale, notoriamente bassa nella corporazione gazzettiera: un giornalista è tenuto a chiedere conferma all’interessato delle frasi che ha pronunciato, ma tale scorrettezza è commessa senza rischi perché la catechista non è «un potente» ma una povera signora spaventata dal clamore, che non farà querela per calunnia (anche se dovrebbe).

E il fine, del resto, giustifica i mezzi. Evidentemente l’interesse di Repubblica per una notizia così minima e sciocca si spiega solo nell’ambito della vasta campagna di promozione delle nozze omosessuali e del «diritto» delle coppie omosessuali ad adottare. È una campagna avviata di colpo a livello internazionale e su tutti i mezzi di diffusione dell’opinione, dal Festival di Cannes ai talk show, e non c’è tg che si esima dal darci immagine di lesbiche che si baciano sulla bocca e di sodomiti che si tengono per mano al momento di dire il trepido sì, in completi pastello; tutto è fatto per far passare il dettame della «normalità» delle «scelte di vita» basate «sull’amore».

Ma non è tutto. Il giornalismo ritiene suo dovere non solo promuovere l’ideologia, ma anche di scoprire e smascherare gli eretici che non la pensano come l’opinione generale, e metterli alla gogna, se possibile «farli cacciare». È a questo punto che la corporazione mediatica si costituisce in Inquisizione, con il compito di scoprire la dissidenza nascosta; e in tribunale permanente, con la missione di condannarla. Né c’è stato bisogno di un ordine dall’alto, di un esplicito comando per fare dei giornalista un poliziotto e inquisitore del «discorso vietato»: s’è dato da sé il compito, in quanto si sente il custode dell’opinione corrente e dei suoi pregiudizi (essendo il progressismo ancor più pieno di pregiudizi che l’oscurantismo); e inoltre, intuisce che l’attività di sradicatore di «idee scorrette» e denunciatore dei nuclei che le coltivano, non nuoce alla carriera, tutt’altro.

È quel che ha fatto il giornalista locale minimo – probabilmente uno che lavora a cottimo, pagato 30 euro a pezzo – sentendosi investito dell’alto incarico di psico-poliziotto e denunciatore.

Nella temperie imperante del relativismo, la frase «l’omosessualità è una malattia», anche se fosse stata pronunciata (non lo è stata, la risposta della catechista è stata molto più sfumata e meno schematica) sarebbe da considerare un’opinione come un’altra, dello stesso valore (rigorosamente nullo) della contraria, e con pari diritto di essere espressa; e il laicismo che Repubblica adotta si auto-presenta appunto come il custode della tolleranza. Ma come si vede, il giornalistuzzo locale tratta l’opinione della catechista come un delitto, invita all’indignazione contro chi la pronuncia, invoca la sua «cacciata», la espone alla vergogna di una denuncia pubblica e all’accusa su Facebook (capirai) di oscurantismo retrivo.

Qui appunto si vede che la tolleranza laicista non ha nulla di neutrale, e che sta trasformando la società di tutte le «libertà» in una società del controllo e della repressione: repressione per di più non diretta dall’alto, bensì esercitata dal basso, ossia continua, corpuscolare ed onnipresente, in quanto se la assume il vicino di casa, lo scolaro e l’insegnante, il piccolo giornalista locale, chiunque si senta parte dell’ideologia egemone.

Il fatto è piccolo; ma Repubblica ha messo in moto la sua organizzazione per diffonderlo come uno scandalo; il giornalista locale è un professionista insignificante, ma un direttore del giornale ha accolto la sua «notizia», gli ha messo a disposizione i potenti mezzi del grande giornale, l’ha fatta impaginare e titolare dalle sue maestranze ed uscire nelle edicole. Un grande sforzo, una grande energia e organizzazione è stata impiegata per mettere alla gogna una singola donna, ignara e impreparata che avrebbe espresso un’opinione contraria quella imperante – o che si vuol fare imperare. È qui che il «laicismo tollerante» si fa religione, e finisce per somigliare alle società islamiche più retrive, dove le minoranze cristiane sono sempre sotto l’accusa di «blasfemia»: accusa virtuale che diventa reale – con effetti repressivi giudiziari – ad ogni occasione propizia per il potere vigente.

Perché, nel succo, la questione è questa. Secondo la idea di «libertà» coltivata da Repubblica, la Chiesa è «libera» purché, nei suoi oratori, ai ragazzi impartisca il catechismo laicista promosso da Repubblica stessa. Ossia insegni che la sodomia non è un peccato mortale (che grida vendetta al cospetto di Dio), ma una legittima «scelta di vita». In pratica, nel regno della libertà relativista, la Chiesa è libera solo di rinunciare ai suoi valori; libera di negare se stessa, di annullarsi e sparire. È la stessa situazione per cui sotto i Cesari i cristiani erano obbligati ad adorare l’imperatore, con un’aggravante: che qui, il Cesare laicista si propone di governare le coscienze in nome della religione da lui stesso istituita: la Tolleranza come «religione civile», sistema di pensiero unico sorvegliato dalla Polizia del Pensiero – ed ogni cittadino ha il dovere di farsi psico-poliziotto e di denunciare i dissidenti; perché questa religione della tolleranza giustifica e prevede l’esclusione dei dissidenti dalla vita comune e politica.

Non è un fatto piccolo. Ciascuno di noi sente la violenza quotidiana che la psico-polizia esercita sulla sua coscienza: stai attento a discutere «i diritti degli immigrati» e le porte aperte all’immigrazione senza limiti, perché se no sei «razzista». Attento a criticare a fondo la costruzione massonica dell’Unione Europea e proporre l’uscita dall’euro: sei un «populista», ossia un fascista che non deve aver voce nel dibattito pubblico. Se dite che il matrimonio fra un uomo e una donna è la vera normalità che la società deve sostenere, perché è il ponte che unisce la nostra storia passata con il nostro avvenire, siete di estrema destra, «omofobo» e dunque la tua posizione non deve essere discussa; ma auspicabilmente, punita con apposita legge.

In Francia, i milioni di persone che sono scese in piazza contro il «matrimonio omosessuale» legittimato per legge, sono stati così trattati dai media dai politici: nulla, non è successo nulla, quella gente non conta perché è «di estrema destra», peggio, «cattolica»; gente che – come ha detto il sindaco di Segrate, questo pensatore – «appartiene a un passato che la società civile ha superato». Sic dixit Auctoritas.

La libertà di pensiero, che il relativismo declama come assoluta, viene in pratica a coincidere con una serie assai piccola di posizioni ammesse: le differenze sessuali non sono naturali, ma «una preferenza», una «scelta di vita». Le razze? Non esistono. Le culture ? Si equivalgono. La cultura occidentale, greca, romana e cristiana? Non è superiore a quella saudita o zulù. I problemi dell’integrazione? Si risolvono facendo tacere chi obietta contro «l’accoglienza». L’Europa? Non ha radici cristiane, è una formazione atona basata sul mercato e le «normative e direttive». E Il patriottismo? Deve essere «costituzionale»: attaccamento non alla patria, ma alla Costituzione (la più bella del mondo, e se dite il contrario siete «autoritari e fascisti»).

Insomma, già parlare del mondo reale anziché di quello del fraternismo forbesco ed idiota dei manifesti Benetton (United Colours), significa essere bollati come estremisti di destra, oscurantisti reazionari e cattolici. Come sempre accade negli imperi ideologici (chi ha conosciuto l’URSS lo sa), la realtà è un crimine e il realismo un delitto – e la realtà viene esorcizzata ed annullata dal linguaggio. Ogni totalitarismo ideologico è infatti anzitutto una «logocrazia», dove la classe al potere, esercita il potere sulle parole; già il fatto che non si possa più parlare di «sesso maschile o femminile», ma si deva parlare di «genere», ci dice che siamo a questo: alla post-democrazia totalitaria che si ammanta di pluralismo.

Attenti, perché questo controllo continuo e introiettato, è esattamente quello che ci riduce, da cittadini, a consumatori: « utenti» lobotomizzati, individualisti, conformisti e conformi, tutti uguali, tutti senza passato nazionale e culturale; precisamente il tipo umano unificato nei gusti e nei pregiudizi che richiede l’economia globalizzata, la quale ha bisogno di una strategia commerciale unica per i suoi prodotti di massa, i sui marchi e griffes mondiali; dunque di un gregge globale lobotomizzato ed omogeneizzato.

È a questo mercato mondiale che ci prepara l’eurocrazia, che ci prepara la psicopolizia di Repubblica, che ci prepara la Rai come Mediaset, che ci prepara la dittatura del sospetto su ogni idea che esca dal recinto. Vegliate, cittadini.




1) Chi voglia leggere l’originale, lo trova qui.



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