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Il reato di tortura, e il mistero De Gennaro
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«Trovo vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica»: se Matteo Orfini si è svegliato adesso, è perché qualcuno gliel’ha ordinato. Probabilmente dall’estero, dove il fatto di non aver ancora messo le mani sull’ultimo gioiello italiota, Finmeccanica, rende frenetici di rabbia e di voglia.

Perché De Gennaro, lì a Finmeccanica, l’ha messo il PD. Più precisamente: il vecchio Odino massonico del PD, l’allora presidente della Repubblica Napolitano, l’ha ordinato al piccolo Letta, e quello ha prontamente obbedito. De Gennaro è stato sempre l’intoccabile.

Ero a Genova quel luglio dei disordini e delle violenze, come inviato speciale di Avvenire, e vi dico in breve il segreto di Pulcinella: quelle giornate di guerra civile furono «lasciate succedere», organizzate, aggravate di ora in ora per far cadere l’ancor fresco governo Berlusconi. Si cercava il morto – l’ebbero con il Giuliani – per ottenere la replica del luglio 1960, quando la pari violenza dei camalli comunisti fece cadere il Governo Tambroni, un Governo nazionale che aveva il torto di essere sostenuto dal MSI.

Gianni De Gennaro esautorò il questore di Genova e mandò a guidare la faccenda «uomini suoi» da Roma. Gianfranco Fini arrivò a Genova e passò le giornate nei quartier generali di polizia e carabinieri, per godersi lo spettacolo e, forse, perché era lui il successore designato quando il mona di Arcore fosse caduto — o così gli era stato promesso.

Mai si sono visti, dopo, tanti e così perfettamente addestrati «black blok», tutti venuti dall’estero, tutti i divisa nera: inspiegabile. Solo oggi, con più esperienza, ho «rivisto» quelle divise nere in passamontagna: degli uomini del Califfato nei video della Katz, come i misteriosi cecchini in nero che a piazza Maidan hanno sparato sulla folla e sui poliziotti facendo cadere il Governo Yanukovitch.

Genova è chiusa fra montagne, non sono che due le strade per arrivarci da fuori. Una polizia mediamente capace li avrebbe facilmente bloccati con qualche posto di blocco ben posizionato, loro con i loro pulmini VW con targa germanica, pieni di bastoni e peggio. Furono lasciati passare.

I black blok erano perfettamente addestrati, colpivano (incendiavano auto, spaccavano soprattutto bancomat) e fuggivano prima che arrivasse la polizia, la quale pestava gli arcobaleno pacifisti che giungevano in corteo, idioti inutili, ignari di tutti i giochi, per manifestare contro il G8 e contro Berlusconi.

Personaggi black blok in motorino tenevano i collegamenti fra i gruppi di facinorosi professionali, con assoluta conoscenza delle vie traverse e delle scorciatoie di una città che – secondo la versione ufficiale – vedevano per la prima volta. Qualche volta, noi giornalisti vedemmo questi specialisti in motorino, in una qualche via defilata dall’epicentro delle violenze, parlare tranquillamente con dei poliziotti in borghese. Altri colleghi giurarono d’aver visto certi black blok parlare con gli agenti, calmi, da collega a collega...

Che fossero poliziotti lo sapevo per un semplice fatto: erano alloggiati al vecchio Hotel Verdi, sotto i portici alla stazione di Brignole, dove avevo preso alloggio anch’io. Ceffi sulla cinquantina, accento romanesco, mani grosse come pale. Erano quelli che avrebbero fatto il pestaggio alla Diaz. E poi, presentato a noi giornalisti l’arsenale di bottiglie molotov che a loro dire avevano trovato nella scuola: una messinscena che puzzava di falso lontano un miglio.

I black blok se l’erano già filata, tornati in Germania, e mai più sarebbero riapparsi; nella Diaz avevano lasciato i coglioni de’ sinistra italioti gli anarchici mescolati alle suore progressiste, a beccarsi le botte.

Gianni De Gennaro
  Gianni De Gennaro
Fu un tale disastro dell’ordine pubblico, che l’autore del fallimento – Gianni De Gennaro, capo della polizia – in un Paese normale si sarebbe dimesso e sarebbe partito a rifarsi una vita in Sudamerica, da tutti dimenticato. In un Paese normale, il ministro dell’Interno gli avrebbe mostrato la porta, l’avrebbe dimissionato. Il ministro dell’Interno di allora – era Scajola - non lo dimissionò. Il capo del Governo – il mona di Arcore – non ne pretese il licenziamento. De Gennaro non diede le dimissioni. Il Partito comunista non ne pretese le dimissioni. De Gennaro faceva paura a tutti, misteriosamente, ambiguamente, protetto «dagli americani» secondo Andreotti.

Fu una delle volte in cui si intravvide l’esistenza in Italia di quel che (in Turchia) si chiama «lo Stato profondo», l’innominabile potere occulto ed estero-massonico che comanda davvero dietro ogni governicchio passeggero, e di cui non posso dir niente. Anche perché chi ci ha provato s’è trovato «scomparso», nemmeno il corpo è mai stato identificato.

Ovviamente il Partito Comunista Italiano, o come diavolo si chiamava allora, se la prese con Scajola, con Berlusconi, ma non con De Gennaro. Anzi l’ha sempre coperto, insieme – è strano, no? – a Gianfranco Fini nei processi successivi in cui finirono gli «uomini suoi» mandati da Roma per i pestaggi e per la falsa testimonianza. Non era riuscito a far cadere il Governo del Pirla di Arcore; però aveva fatto del suo meglio. Aveva ben meritato.

Quattordici anni dopo, il risveglio: «è una vergogna...», eccetera. È una vergogna che Orfini si svegli adesso, che non ricordi che è stato Napolitano a volere De Gennaro a Finmeccanica, e che è stato Letta junior a mettercelo. Temo che per Finmeccanica sia proprio sul punto di essere rubata a noi italiani: sarà privatizzata e la compreranno quelli di Londra o di New York, o forse i tedeschi, chissà.

Ma siate felici: la Corte Europea del fuffo ci ha condannato per il «reato di tortura», e perché nella legislazione italiota non esiste il reato di tortura. Nella mia ingenuità (sono vecchio ma non ho ancora imparato) mi sono chiesto: perché «tortura»? Le bastonature inflitte alla Diaz stano piuttosto sotto la categoria del «pestaggio», i pestaggi tipici cui si abbandonano le polizie arretrate, incompetenti, in qualche terzo mondo. E inoltre, ingenuo, mi son detto: come, non esiste il reato di tortura? E le «lesioni gravi» cosa sono? E nel nostro ordinamento, sono già contemplate le «sevizie», come aggravante. Le sevizie non coprono già il concetto di tortura? Che vuole da noi la Corte della Fuffa?

Vado a cercare e vedo il progetto di legge piddino sul reato di tortura: «In sintesi, potrà essere incriminato del reato di tortura chi, con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, cura o assistenza, cagiona intenzionalmente a una persona a lui affidata o sottoposta alla sua autorità acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere informazioni o dichiarazioni o infliggere una punizione o vincere una resistenza o ancora in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose. E se a torturare sarà un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri o in violazione dei suoi doveri, scatta la pena aggravata fino a 12 anni».

Ma ciò non basta: leggo in un giornale de sinistra: «Restano le critiche perché, di fatto, la tortura sarà reato comune e non specifico del pubblico ufficiale. Quindi si discosta dagli standard internazionali. Introdurre questa figura di reato nei codici serve principalmente a fini di prevenzione...».

Dunque: la Corte e le sinistre plaudenti vogliono che la tortura sia un reato specifico di cui accusare gli agenti di polizia. Per tenerli in pugno. Qualunque ladro beccato, o zingarella da un milione di euro al giorno, o farabutto di mezza tacca convocato in commissariato o nella caserma dei CC potrà denunciare di essere stato “torturato”. Per evitare guai, i poliziotti avranno un motivo in più di non prenderli.

È dunque uno di quei reati inventati dall’ideologia corrente, di cui la Boldrini è la pappagallesca cocorita: come il femminicidio, come l’omofobia, come il negazionismo punito per legge. Servono a distrarci mentre ci portano via le “libertà fondamentali” come definiti dalla Dichiarazione dei Diritti deH’Uomo e del Cittadino del 1789 — guardate cosa ci tocca difendere: la libertà rivoluzionaria e De Gennaro, l’inquietante. Ma i tempi sono questi, il polipo burocratico globale ci sta risucchiando tutto. A cominciare dalla nostra identità. La Corte europea è quella che ci aveva già condannato, nel 2009, per i crocifissi nelle aule scolastiche: violentavano i poveri massoni, la sensibilità degli atei — o ovviamente degli ebrei, dei musulmani, dei transessuali. Erano quasi un femminicidio, un negazionismo.

Ora, un ingenuo può domandarsi: come nasce questa Corte europea? Da dove viene l’autorità dei suoi giudici? Questi giudici sono nominati in base a liste di tre nomi presentate dai Governi degli stati membri, e poi eletti all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa: ora, questa procedura è in aperta violazione del principio della separazione dei poteri, sancito dall’articolo 16 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789. Quello, importantissimo, che sancisce la separazione dei tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario.

Ovviamente questi “giudici” e questa Corte nati dalla confusione dei poteri sono irresponsabili davanti al popolo, è un’oligarchia intoccabile contro cui, se fossimo ancora cittadini, dovremmo insorgere.

Giusto per ricordarvelo, vi riporto l’articolo 2 della Dichiarazione del 1789: «Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione». Noterete che tra questi diritti non ci sono quelli degli omosessuali alle nozze. Vi danno questo nuovo diritto, e vi tolgono quelli contenuti nell’articolo 2.

Articolo 3: «Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione», Maiuscolo, Nazione, cancellato oggi; la nazione non ha diritto di esistere. È discriminatoria, e omofoba e negazionista.

Articolo 6: «La legge è espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o tramite i loro rappresentanti, alla sua formazione». Adesso le leggi le fanno le lobbies, negli Stati come in Europa: conseguenza della cancellazione della nozione che la legge deve essere espressione della volontà generale, non degli interessi particolari. E il trattato di Lisbona ha abolito la partecipazione personale dei cittadini alle leggi, ossia la democrazia diretta per referendum.

Articolo 11: «La comunicazione libera del pensiero e delle opinioni è un diritto dei più preziosi dell’uomo: ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente salvo rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi definiti dalla legge». Oggi, la libertà è limitata dalle leggi sul negazionismo, ma il campo delle espressioni vietate si amplia ogni giorno: la Boldrini è l’arbitra: è lei che decide che Salvini è “inquietante” perché dice che i campi rom vanno rasi al suolo. Quando invece i progressisti dicono la stessa cosa (chiudere i campi rom e dare agli zingari le case popolari), possono dirlo. Loro non sono negazionisti né omofobi. Per definizione.

Articolo 14 dei Diritti 1789: «TUTTI i cittadini hanno il diritto di constatare da sé, o per mezzo dei loro rappresentanti, la necessità di contribuzione pubblica, di consentirla liberamente, di controllarne l’impiego, di determinarne il quanto, la condivisione e la durata». È il diritto fondamentale di decidere le tasse: ridete, allora era attribuito al popolo. A tutti i cittadini. Oggi, solo la Svizzera (e 27 Stati americani su 50) conservano questa pratica.

Articolo 15: «La società ha il diritto di chiedere conto a qualunque funzionario pubblico della sua amministrazione». Tenetevi la pancia dal ridere. Oppure chiedete a Draghi, a Mattarella, a Juncker “contro delle sua amministrazione”, provate.

In compenso, avete il reato di tortura, quello di negazionismo, e presto quello di femminicidio e di omofobia. Siete tutti più liberi. E prederete anche Finmeccanica.



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