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Precisazioni sugli interessi passivi
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Alcuni lettori hanno contestato la cifra di 250 miliardi di euro di soli interessi sul debito pubblico. Uno di loro scrive: «Per quanto ne so io quella è la cifra del debito che dovrà essere rifinanziata lanno prossimo mentre il costo del servizio, ossia gli interessi, oscillano tra i 70-80 miliardi di euro allanno».

Sì, si tratta del servizio del debito, ossia degli interessi più la restituzione di quote del capitale prestato, o più precisamente del suo rifinanziamento, emettendo nuovi BOT, BTP e CCT nel 2011. Sono stato tratto in inganno da una frase di Berlusconi, che ha ammesso che l’Italia ha, l’anno prossimo, impegni per 250 miliardi di euro. Probabilmente si riferiva al servizio del debito (interessi più nuove emissioni). Infatti varie fonti dicono che l’Italia dovrà rinnovare 250 miliardi di euro in nuovi titoli di Stato, e dovrà convincere i mercati finanziari a comprarli; nel 2012, poi, altri 250 miliardi di nuove emissioni.

Ho dunque commesso un errore... forse. Perchè nella rapida ricerca che ho condotto, scopro che le cifre ballano e sono molto ambigue anche sui documenti ufficiali. Ecco qui sotto, ad esempio, la tabellina contenuta nel disegno di legge 14 ottobre 2010 sul bilancio di previsione dello Stato.



Qui si vede che il servizio del debito per il 2011 è ben più di 250 miliardi: la somma interessi (84 miliardi) più rimborsi (210) fa 294. E la cifra è ancora ottimistica, in confronto a quella di Middleton da me pubblicata nel precedente articolo:



Qui, nella colonna Total finance needed for 2010 (ossia: necessario ricorso ai mercati finanziari nel 2010 per coprire il buco fra entrate fiscali e spese statali) viene valutato circa 327 miliardi di euro, oltre il 21% del prodotto interno lordo. Questo nel 2010; non è credibile che nel 2011 il bisogno di ricorrere ai mercati sia inferiore. Chi ha ragione?

Come che sia, si nota che il 20% delle tasse che paghiamo serve a pagare gli interessi passivi a chi ha prestato i soldi allo Stato, che è già una grossa palla al piede, visto che è una cifra sottratta ai consumi, agli investimenti, alle infrastrutture e alla ripresa. Ma si vede anche che il debito da rimborsare, che ovviamente non verrà pagato dalle tasse (se no se ne andrebbe metà delle entrate tributarie solo per questo), verrà pagato facendo nuovi debiti – nuove emissioni – per un altro 21% del PIL. Su cui pagheremo gli interessi in futuro, interessi composti. La palla al piede dell’economia italiana comincia a diventare la proverbiale macina da mulino.

Il che s’intravvede anche quando ci si prova a sommare le uscite: i giganteschi 363 miliardi di spese correnti (essenzialmente: stipendi, caste, (mal)funzionamento dello Stato) con i 40 di spese in conto capitale (investimenti: strade, ponti ferrovie ed altri castelli in aria). La somma fa 403. Ma noi contribuenti abbiamo pagato 447 miliardi di tributi, ossia 44 miliardi in più rispetto alle uscite pubbliche dichiarate. Dove sono finiti?

Non in servizi pubblici, non in stipendi, nè in investimenti. Probabilmente, l’accorto Tremonti li usa per pagare gli interessi passivi. Ma se si sommano al totale delle uscite (403) gli 84 miliardi di interessi passivi da pagare nel 2001, l’addizione fa 487. Restano dunque scoperti 40 miliardi di interessi passivi, che lo Stato paga... come? Io temo, facendo altri debiti, su cui pagheremo altri interessi.

Temo che si cada qui nella trappola letale degli interessi accumulati e composti. Quel miraggio per cui (come ho scritto nel mio Schiavi delle Banche), «un centesimo investito ai tempi di Gesù al tasso composto del 4% annuo, poteva già comprare nel 1750, una palla doro del peso della Terra. E nel 1990, il valore dellinvestimento sarebbe pari a 8.190 sfere doro pesanti come il nostro pianeta».

Il che intende rispondere a quei lettori che si sono, a diversi gradi, indignati per l’idea di ripudiare il debito pubblico: «I debiti vanno pagati», «il ripudio è illegale». Come si vede dall’esempio dei pianeti d’oro, alla lunga pagare gli interessi composti è una impossibilità matematica. Il ripudio del debito pubblico sarà illegale (piuttosto: misura da stato d’eccezione, nella definizione di Carl Schmitt) ma obbedisce ad una legge basilare del diritto naturale: Ad impossibilia nemo tenetur,nessuno è tenuto all’impossibile. Per questo nel mondo ebraico vigeva il Giubileo, nel mondo romano si varavano periodicamente leggi di condono, e anche negli ultimi secoli vari Stati hanno ripudiato il debito.

Quando si parla – come si comincia a fare – di ristrutturazione del debito di Stati come Irlanda, Grecia e Portogallo, non si intende altro che questo: un ripudio di parte del debito, magari in modo ordinato, come una procedura fallimentare di una azienda, in cui i creditori e specie le banche incassano la loro parte di perdite. E’ quel che ripete la Merkel: «Anche i creditori privati devono farsi carico dei costi» degli aiuti dei Paesi in difficoltà, non solo gli Stati, ossia i contribuenti. I creditori privati, banche, speculatori o risparmiatori, hanno fatto investimenti sbagliati prestando troppo a Stati ad economie deboli e poco competitive, e adesso non vogliono mettersi in fila tra i creditori degli insolventi secondo una procedura fallimentare ordinata. Soprattutto banche e grandi speculatori – che dovrebbero essere esperti – hanno prestato furbescamente e in malafede (1), sicuri di non correre alcun rischio, per la convinzione che gli Stati sono comunque buoni debitori, in quanto possono estorcere tutte le imposte necessarie ai cittadini, e anche, alla fine, ricorrere alla solidarietà europea, ossia ai contribuenti di tutte le altre nazioni; o confidando nella creazione di denaro dal nulla da parte della Banca Centrale Europea (il che significa una ristrutturazione dei debiti per via della tassa occulta dell’inflazione).

Anzi, ancora peggio: le banche e la speculazione, dopo essersi fatti salvare dagli Stati, pretendono interessi sempre più alti (ossia vogliono estrarre il sangue) dagli Stati salvatori, imponendo loro austerità, svendite di cespiti e attivi reali pubblici (privatizzazioni), riduzione di spese pubbliche necessarie. Insomma pretendono dall’azienda-Stato che strangoli la propria economia, e i propri cittadini produttivi, e paghi ancor più i creditori quando la recessione riduce il suo giro d’affari (entrate tributarie). E’ quel che esigono già dalla Grecia, il cui debito pubblico era pari al 100% del PIL nel 2007 e, dopo il preteso salvataggio a credito, è passato a 120%: deve pagare in interessi una parte crescente delle sue entrate fiscali, e non potendo, deve accumulare i deficit annuali al debito complessivo, su cui paga altri interessi altissimi. Il gonfiamento degli interessi arriva al suo limite naturale. Quando uno Stato ripudia il debito, non è che non vuol pagare – semplicemente, non può.

E questo è un tentativo di risposta al lettore che scrive: « Non sono ancora convinto come lo è Lei che ripudiare il debito, ovvero fare volatilizzare i miei risparmi e quelli di milioni di altri italiani come me, sia la soluzione migliore con certa classe dirigente. Io vorrei sottoscrivere la sua proposta ma Lei si impegna il giorno dopo a parlare con mia moglie. Le spieghi Lei che i suoi risparmi non ci sono più ma che dobbiamo pagare comunque 900 onorevoli a 15.000 € al mese».

Ho detto che il ripudio sarà, presto o tardi, una misura obbligata. La convenienza a minacciarlo prima, sta nel fatto che la minaccia può indurre i creditori ad accedere ad una ristrutturazione, cioè ad accollarsi una parte delle perdite. Quanto ai risparmi volatilizzati, se diventa necessario tornare alla lira, lo Stato potrà onorare il suo debito con i piccoli risparmiatori italiani – in lire, in propria moneta sovrana. E quanto agli onorevoli da pagare a 15 mila euro al mese, è da un bel pezzo che lo sto illustrando: che occorre affamarli. Affamare loro, prima che i poliziotti, gli insegnanti o il personale ospedaliero.

Bisogna prendere coscienza che nello Stato ci sono settori dove il grasso cola. Lo sappiamo già tutti? Sì, il fatto è che molti, troppi italiani furbi sperano di godere di qualche goccia del grasso che cola, e che i produttivi pagano per loro; alcuni ci riescono, milioni di altri ci sperano, e per questo mantengono il grasso delle caste. Anzi, protestano contro i tagli lineari: misura estrema ma necessaria, perchè se si apre la discussione su quali tagli fare e dove tagliare, non c’è nessuno qui che ammette di meritare meno del grasso che ha poppato fino ad oggi.

Se bisogna tagliare anche agli insegnanti o agli statali meritevoli, è colpa degli immeritevoli, che sono la maggioranza e non vogliono farsi giudicare parassiti. Scoppiano persino scioperi contro i tagli alla cultura; ossia al cinema sussidiato, ai teatri sussidiati, ai musicanti sussidiati. Se il figlio di Gifuni (il gran commis miliardario) vuol fare l’attore, si trovi il pubblico pagante, o no? Se la cultura non ha pubblico, è perchè è cultura invecchiata, ideologica, mortalmente noiosa, che non incide sulla società e non vi contribuisce.

Il punto è che gli interessi particolari, specie se illeciti, sono difesi con le unghie, coi denti e dietro le quinte del potere; l’interesse generale, perchè è diffuso, non trova difensori. A cominciare dai fancazzisti a 15 mila al mese. E’ l’effetto della demokratura. Lo dica lei a sua moglie, e anche a tutti quelli che conosce: chissà che non si trovi la forza per scendere in piazza come nuovo partito – il partito dei contribuenti strizzati a sangue. Non ci spero molto. Ma finchè non avverrà, non ci si può lamentare se il debito verrà un giorno ripudiato e dovremo uscire dall’euro.

Torno in finale alla tabellina del bilancio di previsione: entrate 447, uscite 403, più 84 di interessi sul debito... Qui manca qualcosa. Il debito pubblico italiano è il 120% del PIL (accumulato in 30 anni), insomma sui 1.800 miliardi di euro. E’ evidente che quello mostrato nel grafico non è tutto il debito. Probabilmente è il debito in scadenza l’anno prossimo (le tranches di debito pubblico hanno scadenze diverse, e Tremonti è riuscito ad allungarle: ma un giorno si dovranno pagare).

Magari, nel grafico non compaiono i debiti di regioni, comuni e provincie? Sappiamo che sono questi, gli enti locali, i peggiori produttori di debito pubblico accelerato, i cui interessi si aggiungono a quelli che dobbiamo pagare per lo Stato: il debito che hanno caricato su ciascuna delle nostre teste gli enti locali è 1.300 euro, e nel complesso fa un altro 3,9% del PIL. E sono quelli che più strillano per i tagli lineari; alcuni (pochi) a ragione, gli altri no. Regioni con spese folli, lussi da nababbi, emolumenti e vitalizi miliardari.

Certamente non capisco bene, forse sbaglio qualcosa. Ma ho la vaga impressione che il peso degli interessi passivi sia alquanto più alto degli 84 miliardi annui ufficiali...

PS: Dovrei rispondere a chi ironizza sul nucleare: «Dove sono le miniere di Uranio in Italia???». La domanda, mi pare, rivela, oltre che una ossessione monomaniaca anti- nucleare, una ignoranza del problema energetico generale. Anzitutto, si tratta di avere una fonte in più, non sostitutiva, ma complementare. Di petrolio se ne devono importare di continuo milioni di tonnellate, mentre qualche chilo di uranio basta a dare energia per decenni. E il suo costo è trascurabile nel costo complessivo di una centrale. L’uranio arricchito si compra, specie finchè abbiamo gli euro, a prezzi modesti; lo smantellamento di testate nucleari consente di ricavarne anche troppo. Le competenze in Italia sono state conservate grazie a gruppi d’ingegneri che in questi anni sono andati a riattare e rammodernare le centrali atomiche ex-sovietiche in Russia e Ucraina; si può usare il torio, più abbondante, eccetera, eccetera. Ma ogni obiezione è inutile di fronte alla nuda realtà: mai in Italia si costruirà una nuova centrale nucleare, state tranquilli; questo è un Paese che ascolta i monomaniaci, e che invece ha mandato Rubbia all’estero, se voleva lavorare. E il giorno in cui la crisi renderà necessario ricorrere anche a questa forma di energia pena il razionamento della luce e della forza motrice industriale, sarà troppo tardi, dato che per costruire una centrale occorrono almeno 10 anni.




1) Per intendere la malafede, poniamo che una grande impresa, Fiat o Renault, compensino il calo continuo del proprio giro d’affari con un ricorso sistematico al credito per finanziare filiali improduttive da sempre, e promettendo improbabili rilanci a debito, coi quali in realtà pagano stipendi sempre più alti a raccomandati improduttivi. Le banche chiuderebbero le porte in faccia, i finanzieri si precipiterebbero a vendere le azioni di simili imprese private. Ma è proprio quel che fa lo Stato (quello italiano, ultimamente, salvando Alitalia, e da sempre mantenendo a sbafo intere regioni che non producono nulla, coi loro governanti a 400 mila euro annue), eppure banche e speculazione continuano a prestare. Anzi, gli Stati inadempienti avevano fino a ieri il rating AAA, e gli USA lo hanno tutt’ora. Per una trattazione più approfondita della necessità oggettiva del default pubblico, chi sa il francese può leggere (L’insoutenable légereté des Etats: du bon et mauvais usage de la dette)


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