>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
iraqi_bush.jpg
Rivelazione: Saddam era ragionevole. Bush no.
Stampa
  Text size
Tre anni prima dell’invasione americana, Saddam Hussein «offrì agli stati Uniti un accordo: avrebbe aperto (agli americani) dieci nuovi giganteschi giacimenti petroliferi a condizioni ‘generose’, in cambio di un alleviamento delle sanzioni».

Lo ha rivelato ad una commissione parlamentare inglese l’economista petrolifero Mahmaoud Salameh, cittadino britannico, che è consulente insieme della Banca Mondiale e dell’UN Industrial Development Organisation (Unido). Se l’offerta fosse stata accettata, il greggio sarebbe oggi a 40 dollari il barile anzichè a 137.

«Certamente  avrebbe prevenuto il rapido rincaro che constatiamo», ha detto il dottor Salameh. «Ma gli USA avevano un’altra idea: occupare l’Iraq e annettersi il suo petrolio» (1). Non è stata una buona idea, diranno gli ingenui.

Le forze USA occupano l’Iraq al costo di 780 milioni di dollari il giorno (per confronto, la FAO ha chiesto al mondo, per affrontare i rincari alimentari che le rendono impossibile sfamare gli ultimi degli ultimi, 480 milioni di dollari; mezza giornata di occupazione), e tuttavia non riescono a succhiare dal sottosuolo iracheno nemmeno tanto petrolio quanto ne estraeva, negli ultimi tempi, il governo di Saddam, nonostante le difficoltà imposte dalle sanzioni: 3,5 milioni di barili al giorno. Oggi sono 2 milioni. E i rincari dovuti alla guerra costano al mondo intero, in maggiori costi energetici, 6 mila miliardi (6 trilioni) di dollari.

Tuttavia, i meno ingenui diranno che l’idea è stata ottima, se si tiene presente che il vero scopo strategico dell’avventura militare non era impadronirsi del petrolio, ma il bene supremo di Israele: che voleva essere liberata da un avversario potenzialmente serio, ed ora - mai contenta - vuole da Bush che la liberi, con le ultime forze rimastegli, dell’altro nemico immaginario, l’Iran. In questo senso l’operazione è stata un successo, che gli USA pagano con la rovina della loro egemonia, della loro credibilità e della loro economia, e a cui tutto il mondo noachico contribuisce pagando cifre stellari alla pompa di benzina, ed entrando perciò in recessione.

La rivelazione del dottor Salameh ricorda un noto precedente storico: anche il Giappone, nel 1939, offrì a Roosevelt un accordo molto ragionevole - persino l’uscita dall’Asse - in cambio di un alleviamento del blocco economico, soprattutto petrolifero, che Washington aveva imposto a Tokio. Per tutta risposta, Roosevelt confiscò i beni e i conti giapponesi nelle banche USA. E aspettò l’inevitabile Pearl Harbour, il proditorio attacco nipponico, da un Giappone messo con le spalle al muro. L’America ufficiale voleva la guerra, e la ebbe.

Come sappiamo, il centro neocon PNAC (Project for a new american Century) auspicò nel 2001 «una nuova Pearl Harbor» onde avere il pretesto per la nuova tornata di guerre per la democrazia. La nuova  Pearl Harbor venne puntuale l’11 settembre 2001.

E’ probabile che l’offerta di Saddam fosse arrivata prima, forse ancora quando era presidente Bill Clinton: ma Clinton - se fu lui a rifiutare il compromesso - era sotto minaccia di impeachment per il suo amorazzo con la Levinsky, la Giuditta degna di un tale Oloferne (le numerose donne di malaffare che nella Bibbia si danno carnalmente al nemico per distruggerlo o controllarlo sono eroine in Giuda: non è un caso che abbiano imitatrici lungo tutta la storia).

Ora si capisce meglio perchè è stato necessario impiccare alla svelta Saddam, ed ora i liberatori si preparano ad  ammazzare il cristiano Tarik Aziz con un processo-lampo (e farsa): anche il ministro degli Esteri di Hussein deve essere messo a tacere. Nè è probabile che il petrolio iracheno, sotto confisca americana, torni a fluire a fiumi.

Prima, c’è da perfezionare il progetto israeliano finale: smembrare l’Iraq in tre provincie etniche e reciprocamente ostili, di nessun peso politico, onde impedire la rinascita di un avversario potenziale moderno e funzionante. Così, l’esausta superpotenza, prima di tramontare, deve infliggere altre crudeli sofferenze al popolo irakeno, sul modello che viene inflitto ai palestinesi da Sion.

Dopo 4 anni di occupazione, continuano i bombardamenti sulla popolazione occupata, le uccisioni e gli arresti arbitrari, fra combattimenti che la stampa servile non riporta. Continua la battaglia per togliere a Muktada Al-Sadr il controllo di Bassora, e questo groviglio di bombe e massacri è stato chiamato dal Pentagono «Operation Peace». Ancor meno visibile, un «mini pogrom di sunniti» è in corso a Mossul, ed è chiamato offensiva contro Al-Qaeda in Iraq.

Ma la realtà è un’altra, come rivela Pepe Escobar (2), uno dei pochi coraggiosi giornalisti che in Iraq fanno il loro mestiere col rischio immanente di essere eliminato da «terroristi islamici» (Al-Mossad in Iraq). I collaborazionisti curdi vogliono Mossul come capitale - e Mossul non è curda, essendo una città multietnica e multi-religiosa di 1,7 milioni di abitanti. Dunque occorre una preliminare pulizia etnica, che viene condotta dalla milizie del «governo» dello sciita Al-Maliki, con l’appoggio armato di Washington. Il numero degli ammazzati è salito dai 90 del settembre 2007 ai 213 del marzo 2008.

Le forze di Al-Maliki hanno arrestato da gennaio ad oggi oltre 1.100 persone, quasi tutti ufficiali ex Baathisti - il Pentagono li chiama «Al Qaeda in Iraq» e annuncia una vittoria su «al Qaeda». La minoranza araba di Mosul denuncia che il «governo» sciita di Maliki ha tagliato l’acqua alla parte della città dove abitano loro, «come punizione collettiva contro gli arabi che rifiutano la kurdizzazione di Mosul». Intanto, le milizie curde (Peshmerga) vanno casa per casa a far firmare alle minoranze delle lettere, in cui le persone devono dichiarare che la loro proprietà è collegata ad un’area dominata dai kurdi. Peshmerga e miliziani sciiti di Al Maliki (che ora formano l’esercito regolare, diciamo così) sono noti per far sparire uomini a decine, che poi vengono trovati orribilmente mutilati. La gente firma.

Il tutto in vista delle elezioni provinciali di novembre (sono state rimandate di un mese): dove, dopo questo trattamento, la popolazione di Mosul liberamente sceglierà di passare sotto il Kurdistan, oggi protettorato di Al-Mossad. Anni ed anni di orribili sofferenze attendono ancora gli iracheni. E’ stupefacente però che questo popolo massacrato, privo ormai di tutto, dove tutti sono nemici ormai l’uno dell’altro, continui ad opporre una continua, potente e inarrestabile resistenza all’occupante.

Lo riconosce il sociologo statunitense Michael Schwarz (3): «A Washington, per i politici democratici non meno che per i repubblicani, l’idea resta quella... di un Iraq con una economia neoliberista, con un settore petrolifero moderno in cui le multinazionali usano la tecnologia più avanzata per aumentare al massimo la produzione di petrolio che stagna. La resistenza irachena, di ogni genere e ad ogni livello, ha tuttavia impedito a questa visione di diventare realtà. A causa degli iracheni, la gloriosa Guerra Globale al Terrore si è tramutata in una guerra vera, senza fine e senza speranza. Gli iracheni hanno pagato un prezzo terribile per resistere. L’invasione e le politiche sociali ed economiche che l’hanno accompagnata hanno distrutto l’Iraq, lasciando il suo popolo in privazione totale (destitute). Nei primi cinque anni di questa guerra senza fine, gli iracheni hanno sofferto più, resistendo, che se avessero accettato e sopportato il dominio economico-militare americano. Ma, coscientemente o no, essi si sono sacrificati per fermare la progettata marcia di Washington lungo il Medio Oriente petrolifero, sulla strada di un Nuovo Secolo Americano che, ormai, non sarà mai più».

C’è qui il riconoscimento di un evento - cui stiamo assistendo - che non riguarda più la cronaca storica. Senz’armi e alla fame, irradiati da uranio, senza guida, senza unità e persino senza umana speranza, coscientemente o no, non nazioni, ma «fazioni» (4) islamiche stanno resistendo vittoriosamente alla Bestia e alla sua Babilonia globale, la sfiniscono e la fanno piegare: lo fanno in Palestina, lo fa Hezbollah, lo fanno gli iracheni. Questi, con «l’estremo sacrificio di sè sotto le più avverse condizioni» - che è la definizione stessa dell’eroismo militare.

I media e la propaganda del nemico, stupido vile e feroce, non glielo riconoscono: li chiamano terroristi. Dio, credo, avrà un altro giudizio. E quello su noi cristiani complici, temo, non sarà lieve.




1) Archie Bland, «Oil: a global crisis», Independent, 25 maggio 2008.
2) Pepe Escobar, «The Mosul riddle», Asia Times, 24 maggio 2008.
3) Michael Schwarz, «How the US dream foundered in Iraq», Asia Times, 24 maggio 2008.
4) «Taifa mansura», ossia fazione sostenuta e benedetta, fu l’espressione che Maometto usò in una delle sue visioni dei tempi ultimi: una fazione appoggiata (da Dio) avrebbe continuato a lottare anche nelle condizioni più difficili; e quando gli chiesero quale fosse questa fazione, rispose:
«La gente che vive ad Al-Aqsa e nei dintorni», ossia i palestinesi. (vedi Hamza Piccardo, «Miracolo a Baghdad», Edizioni Al-Hiikma, pagina 109). Un altro hadith pare riferirsi ai nostri giorni: «Dice Abu Nadhrah: ‘Noi eravamo seduti in compagnia di Jabir bin Abdullah (R.A.) quando lui disse: ‘Presto le persone dell’Iraq riceveranno né cibo (grano) né soldi’. Noi chiedemmo: ‘Perché accadrebbe tale cosa?’ Lui rispose: ‘A causa dei non-arabi’. Lui disse poi: ‘Presto le persone di Shaam (la Siria) riceveranno né cibo, né soldi, né grano’. Noi chiedemmo perché sarebbe accaduto questo. Lui rispose: ‘A causa dei romani (gli occidentali)’ ».

Home  >  Medioriente                                                                                        Back to top


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità