>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
israel_wtc.jpg
Quegli «studenti d’arte» e l’11 settembre
Stampa
  Text size
L’amico Wayne Madsen, che è stato agente del NSA ed oggi è uno dei più credibili  giornalisti investigativi (il suo passato gli dà accesso a fonti di intelligence di primo piano), dà una notizia esplosiva, dal titolo: «Rivelato il modus operandi di uno degli “studenti d’arte” israeliani del pre-11 settembre» (1). Ma prima della notizia, bisognerà ravvivare la memoria dei lettori.

Nei giorni e settimane seguenti all’11 settembre, fonti giornalistiche insospettabili - a cominciare da Fox News fino a Le Monde - parlarono di due retate di giovani israeliani che, facendosi passare per studenti d’arte in vacanza in USA, con la scusa di vendere dei dipinti che sostenevano fatti da loro (in realtà «Made in China»), si introducevano in uffici pubblici - della Difesa, dell’FBI e della DEA (l’antidroga) - spesso nemmeno noti come tali al gran pubblico.

Ancora più strano: questi «studenti d’arte» bussavano alla porta di funzionari dell’FBI, di piloti militari e colonnelli o agenti della DEA e curiosavano nelle loro case private (2).

Nei primi sei mesi del 2001, segnalazioni su questi misteriosi israeliani che volevano vendere disegni ad agenti e ufficiali vennero da una quarantina di città statunitensi. L’US Marshals Service (la polizia alle dirette dipendenze del Dipartimento della Giustizia) documentò almeno 130 separati «incontri» con questi sedicenti studenti d’arte, segnalati dalle vittime stesse, i funzionari e gli agenti. Alcuni di questi studenti furono colti sul fatto mentre tracciavano mappe dei palazzi federali in cui s’erano intrufolati.

Altri furono presi con foto, da loro stessi scattate, di agenti federali. Altri ancora visitarono installazioni segrete - per esempio aree senza indirizzo (militari) o uffici della DEA non noti come tali al pubblico. Uno di loro, si appurò, aveva movimentato su suoi conti in banca qualcosa come 180 mila dollari, in prelievi e depositi, nel giro di due mesi.

Alcuni di questi studenti avevano preso abitazione in Hollywod di Florida, la cittadina dove aveva abitato anche Mohammed Atta, il  presunto capo dei 19 terroristi suicidi dell’11 settembre, insieme a tre complici.

La DEA condusse indagini su questo inquietante fenomeno, compì diversi fermi ed arresti: 140 studenti d’arte israeliani furono arrestati prima dell’11 settembre, e quasi tutti espulsi per lavoro illegale negli USA, o peggio: due degli arrestati mentre s’erano introdotti in edifici vietati avevano esibito «permessi di lavoro e carte verdi contraffatte». Parecchi di loro avevano in tasca telefoni cellulari che risultavano acquistati da un ex viceconsole israeliano in USA.

La DEA stilò su questi fatti un memorandum di 60 pagine - con i nomi degli arrestati e il loro grado militare israeliano (quasi tutti erano ex-soldati) che fu consegnato alle autorità nel giugno 2001. Con l’intento che «il caso avesse uno sbocco ufficiale nei tribunali». Le autorità non fecero niente, anzi insabbiarono.

Sicchè qualcuno della DEA, per «l’esasperazione provocata dalla volontà politica di non agire»  (così scriverà Le Monde) fece filtrare discretamente il memorandum alla stampa, ad alcuni giornalisti. Nessuno ne parlò fino all’11 settembre 2001. E nemmeno dopo.

Solo un noto giornalista della Fox News Channel, Carl Cameron, lanciava la storia nel TG Fox del  12 dicembre 2001 («Suspected Israeli spies held by US»), aggiornandola: se «prima» dell’11 settembre erano già stati fermati e arrestati almeno 140 di questi «studenti d’arte», Cameron raccontò che altri 60 erano stati presi in una retata nelle ore febbrili dopo il grande attentato.

Cameron raccontò che molti di questi studenti avevano abitato ad un tiro di schioppo da Mohamed Atta e da 10 dei 19 «terroristi islamici», e ipotizzò che si trattasse di una rete di spionaggio israeliano alla caccia dei «membri di Al Qaeda in USA», che forse sapevano della preparazione del mega-attentato e non ne avevano fatto parola alle autorità americane.

Riferì anche la risposta di un alto funzionario dell’FBI a cui aveva chiesto lumi: «Le prove che collegano questi israeliani all’11 settembre sono segretate. Non posso dirle niente sulle prove raccolte. E’ informazione classificata». Il reportage di Cameron è stato fatto sparire dal sito della Fox. Naturalmente.

Il Washington Post uscì con un articolo in cui, citando fonti governative anonime, definiva tutta la faccenda «una leggenda urbana», diffusa da «un agente della DEA  malcontento», perchè il suo rapporto non era stato preso sul serio dall’FBI. Ma il rapporto DEA non era un «minority report», era un docuemnto ufficiale del suo Office for Security Program.

Qualche mese dopo - il 28 febbraio 2002 - la notizia riappare su Le Monde. «Una rete di spie israeliane smantellata negli Stati Uniti», strillava l’autorevole giornale di Parigi. Dall’articolo, era chiaro che aveva ricevuto il rapporto DEA di 60 pagine dai servizi segreti francesi.

Gli arrestati, diceva Le Monde, «sono tutti fra i 22 e i 30 anni, ed hanno recentemente completato il loro servizio in una unità d’intelligence di Tsahal (l’esercito israeliano). Benchè giovani, alcuni di loro possiedono già una notorietà nella comunità d’intelligence. Per esempio ‘Peer Segalovitz, immatricolazione militare 5087989, e Aron Ofek, figlio di un celebre generale a due stelle dell’armata d’Israele’, oppure ‘Yaron Ohana, Ronen Kalfon, Zeev Cohen, Naor Topaz’. Per non parlare di Michael Calmanovic, indicato come ‘esperto di intercettazioni telefoniche’ e di Ofir Navon, con qualifica di ‘artificiere’ esperto nella ‘neutralizzazione di bombe ed esplosivi’. ‘La rete si articolava attorno a una ventina di cellule, composte ciascuno di 4-8 membri. Le attività di ognuna dipendevano da un capo locale, responsabile della pianificazione e del coordinamento. Parecchie erano le ragazze, sempre molto vistosamente belle e ‘seduttive’ nei loro approcci con i funzionari pubblici a cui volevano vendere le loro ‘opere d’arte’. Due di questi ‘studenti’, secondo la DEA, erano partiti da Amburgo in Germania (anche Atta veniva da lì) per volare a Miami a visitare un agente dell’FBI a cui avevano offerto i loro quadretti andandolo a trovare a casa; poi avevano preso un aereo per Chicago dove avevano bussato alla porta di un funzionario del Dipartimento della Giustizia; dopodichè erano saltati su un aereo per Toronto - il tutto in un solo giorno».

Il 6 marzo 2002 Le Monde deve tornare sull’argomento: ma solo per profondersi in scuse, evidentemente su pressione di lettori qualificati (ebrei) che hanno protestato o minacciato. Quello che ha riferito è tutto vero, dice il giornale, «ma nell’inchiesta da noi pubblicata niente accredita l’idea che Israele o degli israeliani possano essere implicati negli attentati commessi da Al Qaeda».  Le Monde dichiara di «rigettare il fantasma antisemita che attribuisce a Israele la paternità degli attentati dell’11 settebre, fantasma di cui siamo stati i primi a smascherare il carattere vile e malsano». Dopo di chè, silenzio totale.

Al punto che la rivista militare britannica Jane’s se ne stupisce nel numero del 15 marzo 2002: «E’ strano che i media americani ignorino quella che pare la faccenda più esplosiva dagli attentati dell’11 settembre, ossia lo smantellamento di una importante rete attiva di spionaggio israeliano in USA, intesa a infiltrare i ministeri della Giustizia e della Difesa, e che potrebbe aver controllato i terroristi di Al Qaeda prima dei dirottamenti».

In questi anni, alcuni giornalisti tenaci hanno continuato a scavare in questa storia degli «studenti d’arte». Uno è  Cristopher Ketcham, che ha raccontato tutti i più succosi particolari sul periodico Salon (3).

Fra cui questo: avendo contattato la CIA per avere informazioni ulteriori sulla vicenda, si è sentito dire da un funzionario che era al corrente: «Le faccio una raccomandazione: non scriva di questa vicenda. Tutta la faccenda è stata ingigantita oltre le sue vere proprorzioni. Noi abbiamo chiuso quel dossier. E le raccomando vivamente di fare lo stesso. Lasci perdere. Non c’è niente qui da scoprire». Altri hanno continuato ad indagare. Evidentemente, anche nei vari servizi segreti. E’ a queste fonti che fa riferimento Wayne Madsen nel riportare la sua preziosa informazione.

Una delle «studentesse d’arte» è stata rintracciata da qualcuna delle sue fonti, ed ha parlato. Con qualcuno che lei credeva, evidentemente, un occasionale curioso. E’ una bella ragazza. Attualmente lavora in Sud Africa, per una ONG (organizzazione non-governativa) che «conduce una ricerca sui crimini violenti commessi da negri su bianchi in Sud Africa», Paese che ha avuto stretti rapporti con Sion ai tempi dell’apartheid.

La ragazza ha raccontato che nei primi mesi del 2001, come primo lavoro, era stata assegnata ad un negozietto in uno shopping center di Orange County, California. Alcuni di questi studenti infatti non vendevano «arte», bensì certi giocattoli da poco prezzo. Lo scopo vero, ha detto la ragazza ebrea, era «di migliorare la sua lingua di inglese americano».  Ma nel frattempo «lavorava ad altre cose». Poi, dalla California, la ragazza è stata spostata prima a Chicago, poi ad Houston (Texas), dove fu impiegata in un ufficio del grande porto locale. La sua copertura era di contabile. L’ufficio, una società israeliana di import-export e noli navali, che in realtà era una facciata dello spionaggio.

Wayne Madsen fa notare che il capo della CIA ad Houston (Southeast Region Station Chief), Roland V. Carnaby, aveva a suo tempo lamentato la mancanza di sicurezza nell’area portuale di Houston, aveva condotto indagini sulle infiltrazioni di spie isareliane nella città e dintorni, e aveva protestato con il Dipartimento della Homeland Security perchè non rafforzava la sorveglianza nel porto.

Fatto notevole: Carnaby, che era di origini libanesi, è stato fermato il 29 aprile scorso dalla polizia di Houston, apparentemente per eccesso di velocità. Due dei poliziotti lo hanno ammanettato e gli hanno sparato alla testa da dietro, uccidendolo. Hanno detto che lo ritenevano pericoloso, perchè aveva sul suo SUV due pistole. Ma se lo avevano già ammanettato… (4).

Ma torniamo alla «studentessa d’arte» che ha chiacchierato con qualcuno in Sud Africa. Dopo il suo periodo di servizio ad Houston fu premiata con un trasferimento a New York per una vacanza di due settimane. Solo che i superiori ordinarono a lei e al suo gruppo o cellula di «uscire dalla città» in un giorno preciso: l’11 settembre 2001. La ragazza ha raccontato di essere entrata in USA con un visto studentesco, che la qualificava come «studentessa d’arte». Anche lei, come tutti, espulsa dopo l’arresto per visto scaduto e lavoro illegale negli Stati Uniti, ossia sottratti alla giustizia.

Racconto questa storia per giustificare quanti, in buona fede, credono alla versione ufficiale sull’11 settembre. Per giustificare il buon Papa che riceve Bush con tutti gli onori, convinto che il terrorismo islamico minacci il mondo.

Cosa volete che sappia un teologo, un ecclesiastico filosofo, del «modus operandi» dei servizi segreti, del Mossad. Non può nemmeno immaginare ciò che si architetta in queste zone sataniche della realtà d’oggi. Sono sicuro che nessuno gli ha mai parlato degli «studenti d’arte».




1) Wayne Madsen, «Modus operandi of a pre-9/11 Israeli ‘art student’ revealed», Online Journal, 11 giugno 2008.
2) Io stesso ho scritto di questa vicenda. Vedi Maurizio Blondet, «11 Settembre, colpo di Stato in USA», Effedieffe, 2001, capitolo  9: «Non parlate di quelle spie».
3) Christopher Ketcham, «The Israeli ‘art students’ mistery», Salon.com, 12 giugno 2008. Ketcham ipotizza che queste spie deliberatamente intrusive e rumorose possano essere servite da cortina fumogena; attraevano l’attenzione della DEA e dei Marshals mentre i veri agenti segreti israeliani preparavano l’operazione grossa. «Theory No. 3, the Art Student as Agent as Art Student Smoke Screen. (…)  This theory contends that the art student ring was a smoke screen intended to create confusion and allow actual spies - who were also posing as art students - to be lumped together with the rest and escape detection. In other words, the operation is an elaborate double fake-out, a hiding-in-plain-sight scam. Whoever dreamed it up thought ahead to the endgame and knew that the DEA-stakeout aspect was so bizarre that it would throw off American intelligence. According to this theory - ‘Victor/Victoria’ scenario - Israeli agents wanted, let’s say, to monitor al-Qaida members in Florida and other states. But they feared detection. So to provide cover, and also to create a dizzyingly Byzantine story that would confuse the situation, Israeli intel flooded areas of real operations with these bumbling ‘art students’ - who were told to deliberately stake out DEA agents». Nel film «Victor-Victoria» la protagonista è una donna che fa finta di essere un uomo... travestito da donna.
4) Bill Conroy, «CIA spook Roland Carnaby gunned down by intolerance», Narcosphere, 29 maggio 2008. Solo alcuni media locali hanno parlato dell’omicidio. E il sito di Ron Paul,www.ronpaulwarroom.com/?p=9857.


Home  >  Americhe                                                                                           Back to top


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità