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Il paradosso dell’atmosfera terrestre
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La premessa del presente pezzo è una mail inviata al nostro Infante.

«L’astrofisico Marco Bersanelli, dell’università di Milano, dice su Galileo: ‘E’ vero che Galileo non ha fornito prove credibili per il moto della Terra intorno al Sole. Ma oggi ne abbiamo moltissime! L’ultima in ordine di tempo è la differenza di temperatura che si osserva rispetto al fondo cosmico di microonde, correlata con il moto stagionale terrestre. Volevo chiedere a Infante se c’è una prova scientifica di quello che afferma Galileo?’».

Nonostante la scienza moderna continui a produrre prove sempre più raffinate per dimostrare il presunto movimento della Terra, sono diverse le persone che per una ragione o per l’altra continuano ad avere in proposito opinioni e sensazioni diverse.
Infatti, non solo gli studenti italiani dimostrano una scarsa conoscenza delle risposte che la scienza moderna ha fornito circa il tema dell’eliocentrismo (il 65% di quelli interpellati in una recente statistica non ha saputo spiegare il perché della differenza tra notte e giorno).
In Francia, ad esempio, le persone che pensano sia il Sole a ruotare intorno alla Terra sono all’incirca il 30% (1).
Ed anche se nessuna statistica ufficiale a riguardo ci perviene dalle popolazioni del terzo mondo, martoriate da ben altre problematiche, pensiamo che i risultati a livello mondiale non sarebbero molto migliori di quelli rilevati da noi europei, progenitori e propulsori del paradigma eliocentrico.
Peraltro, non è detto che quanti hanno fornito la loro attestazione di fede e la loro adesione alla teoria copernicana ne conoscano effettivamente i contenuti, al di là dell’assodata enunciazione formale: la Terra ruota intorno al Sole.
D’altronde, non è necessario saper leggere la musica per cantare o suonare, ed è possibile usare il computer senza possedere basi di informatica.
Per questa stessa ragione, il mondo va avanti benissimo, anche se non tutti sanno, o presumono, di sapere come.
Tuttavia, questo dato statistico può anche essere considerato come una sorta di implicito, ma sostanziale, rifiuto degli interrogati nei confronti di un modello non corrispondente al cosiddetto «senso comune».
Ma che comunque viene reputato al pari di una verità assoluta, da quanti sottovalutano il carattere aleatorio della scienza fisica, già proclamato da Platone in tempi alquanto lontani.
Tuttavia assai significativi.

Per quanto riguarda le più sofisticate risposte («pagliuzze») fornite dalla fisica e dall’astronomia moderne, circa il tema del movimento terrestre, per quanto rigorose ed articolate, esse tuttavia non cancellano la contraddizione («trave») di fondo sulla quale poggia la teoria che intendono dimostrare.
Vale a dire, la già indicata presenza nel modello eliocentrico di elementi prescientifici, riconducibili ai culti primordiali dedicati agli spiriti della natura, ed in particolare rivolti ad un indefinito «fuoco», o «spirito» centrale, animatore del mondo, del quale il sole, secondo gli esoteristi, costituirebbe la rappresentazione visibile.
Nel corso dei secoli, infatti, a partire dall’indoeuropeo comune, fino ai babilonesi ed agli egizi, dalle popolazioni iraniche fino a quelle greche, e fino agli sviluppi esoterici più recenti, il culto del «fuoco» centrale si è espresso sui livelli razionale e magico.
Oggi, conosciamo e celebriamo il volto scientifico, trascurando quello irrazionale.
Una volta, avveniva esattamente il contrario.
Sole e lucifero, nell’accezione iniziatica, costituiscono una sorta di inscindibile diade, celebrata dalle confraternite esoteriche non solo attraverso rituali e liturgie ben definite.
Ma anche attraverso l’esercizio di una ragione «pitagorica», che di principio esclude ogni riferimento al dogmatismo religioso.
Ma non alla superstizione.

T. Paine sostiene che i massoni si rifanno ed adottano le stesse pratiche e gli stessi simboli degli antichi sacerdoti druidi.
A partire dal soffitto delle loro logge, ornate con il sole, che simbolicamente splende sulle mattonelle chiare e scure, che richiamano l’ombra e la luce che si riversa e determina sulla varietà degli esseri.
Infatti, «Il significato emblematico del Sole è ben noto alla Massoneria illuminata e ricercatrice: e come il Sole reale è situato al centro dell’universo, così il Sole emblematico è al centro della Massoneria reale. Noi tutti sappiamo che il Sole è la fontana della luce, la sorgente delle stagioni, la causa del susseguirsi del giorno e della notte, il sostegno della vegetazione, l’amico dell’uomo: quindi solo il Massone sapiente sa la ragione per la quale il Sole è posto al centro di questa bella sala».

D’altra parte, lo stesso Galileo, in una lettera a monsignor Piero Dini, del 23 marzo 1615, allude all’aspetto eliolatrico connesso alla dottrina eliocentrica: «Mi pare che nella natura si ritrovi una sostanza spiritosissima, tenuissima e velocissima, la quale, diffondendosi per l’universo, penetra per tutto senza contrasto, riscalda, vivifica e rende feconde tutte le viventi creature; e di questo spirito par che ‘l senso stesso ci dimostri il corpo del Sole esserne ricetto principalissimo, dal quale espandendosi un’immensa luce per l’universo, accompagnata da tale spirito calorifico e penetrante per tutti i corpi vegetabili, li rende vivi e fecondi».

Galilei precede Newton nell’affermare la presenza nella natura di quella «sostanza spiritosissima», che lo scienziato alchimista inglese denominerà «spirito sottilissimo che pervade i grossi corpi e che in essi si nasconde», e che qualche lettore frettoloso e superficiale potrebbe intendere nel senso astratto e generico di «campo di forze».
Ma che invece rappresenta un «qualcosa» di ben definito e concreto, ben noto ai praticanti delle cosiddette discipline occulte.
Newton nei suoi segretissimi studi alchemici cercherà, invano, di intrappolare questo spirito infinito che «pervade tutti gli spazi e contiene e vivifica il mondo intero; e questo spirito fu generato dal supremo nume, secondo il poeta citato dall’apostolo: in esso viviamo, ci muoviamo e siamo… i filosofi insegnavano che la materia si muove in questo spirito infinito ed è agitata da questo spirito in modo non incostante ma armonicamente, cioè secondo le precise leggi geometriche della natura» (2).
La citata lettera di Galilei è commentata da Eugenio Garin in modo inequivocabile: «Quella intuizione pitagorica, ermetica, neoplatonica; quel culto [del Sole] caro a Giuliano, che costituisce il presupposto e lo sfondo, del resto consapevole e dichiarato, dell’ipotesi copernicana, è presente in troppi testi galileiani per essere accidentale, e documenta a chiare note la difficoltà di scindere, come il Koyré voleva …, platonismo mistico e platonismo geometrico, ossia Plotino, Proclo e Ficino da Euclide e Archimede» (3).

Abbiamo evidenziato i punti di questa autorevole dichiarazione che sembrano dimostrare l’adesione, per lo meno spirituale, di Galilei al culto pitagorico del fuoco centrale.
Culto praticato all’interno delle logge iniziatiche che crescevano all’ombra delle corti rinascimentali, a partire da quella medicea, e che costituì il fondamento spirituale segreto della rivoluzione copernicana.
Culto dal quale lo scienziato pisano trasse quell’ispirazione ermetica: «che aveva costituito il presupposto del copernicanesimo, che era stato ripreso da Bruno, che circolava in qualche modo in Keplero, e i cui temi insidiosi e complessi è tutt’altro che facile isolare ed espungere», afferma ancora il Garin.
Ma proprio perché questi «temi insidiosi e complessi» costituiscono il presupposto ideologico dell’immagine celeste proposta dal filosofo pisano, essi ancora soggiacciono indisturbati nei sotterranei più oscuri dell’edificio razionalissimo eretto nel corso di cinque secoli dalla scienza galileiana.

E’ evidente che la propaganda scientifica, che si perpetua da secoli a tutti i livelli, non è comunque riuscita ad estirpare completamente e definitivamente la «gramigna» della teoria geocentrica.
O meglio: geostazionaria.
Infatti, molte persone non del tutto indottrinate scolasticamente, come una sorta di «vox populi», continuano a ritenere la terra immobile ed il sole in movimento.
Tale prospettiva, più che indice di arretratezza e di ignoranza culturale, può essere intesa al pari di un dato primo della conoscenza.
Ed un dato primo della conoscenza, come dice San Tommaso, nel «De ente et essentia», non può che corrispondere alla realtà effettiva.
E’ bene peraltro ricordare che la scienza, per quanto autorevole e per molti aspetti certa, non è tuttavia sinonimo di verità.
Ogni teoria infatti è sempre circoscritta all’interno di determinati limiti, che devono essere sempre specificati con chiarezza e precisione, proprio perché oltrepassandoli essa perde di significato.

Anche il famoso effetto Coriolis, in genere citato per provare le conseguenze della rotazione terrestre, possiede il suo ambito di validità.
Esso si verifica nella situazione particolare di assenza di attrito.
Per presentare tale effetto si è soliti utilizzare simulazioni ideali che, ad esempio su wikipedia, mostrano una slitta che scivola diritta verso il bordo di una piattaforma rotante.
La traiettoria della slitta, vista dall’esterno è curvilinea.
Dall’interno è invece rettilinea.
Questa rappresentazione è valida solo su una piattaforma rotante di ghiaccio secco, o nelle simulazioni virtuali.
Soltanto in questi frangenti ideali, un corpo raggiunge il bordo estremo della piattaforma rotante, senza essere deviato ed «assorbito» dal moto rotatorio della stessa.
Se provassimo davvero ad attraversare una giostra mentre ruota con velocità non trascurabile, non verificheremmo l’effetto Coriolis.
Ma, per via dell’attrito e della gravità che ci àncorano al suolo, finiremmo per ruotare insieme alla giostra.
Sempre ammesso che riuscissimo a mantenere l’equilibrio.

Riteniamo pertanto assai significativa la risposta del fisico e filosofo francese Jean Marc Lévy-Leblond, riguardo alla fatidica domanda, se sia la Terra o il Sole a girare: «Io non potrei in qualità di fisico dare una risposta priva di ambiguità se non mi si dicesse a quale sistema di riferimento essa dovrebbe riferirsi. Poiché il Sole, visto dalla Terra, gira davvero intorno ad essa! E affermare la serietà di una risposta simile non è semplicemente un’arguta provocazione: i calcoli molto sofisticati delle traiettorie seguite dalle nostre sonde spaziali sono effettuati davvero all’interno di un contesto in cui la Terra è (giustamente) considerata immobile, anche cinque secoli dopo Copernico. La scienza moderna, più raffinata di quanto vorremmo ammettere, non ha sostituito il geocentrismo con l’eliocentrismo, ma con il policentrismo» (4).

L’incoerenza è palese.
I calcoli necessari per definire le traiettorie delle sonde sono formulati considerando la Terra in quiete, nonostante la teoria generale sostenga il contrario.
Questo avviene perché, se si riferissero tali calcoli ad un sistema in doppio moto rotatorio, la situazione si complicherebbe comunque in modo estremo.
Dunque, è falso che la teoria copernicana semplifichi i calcoli rispetto a quella tolemaica.
Ma se all’interno della scienza è presente tale difformità fra teoria e prassi, come sorprendersi allora se molte persone dimenticano, proprio come si dimentica una poesiola senza anima, la pur nota ed imperante teoria eliocentrica?
Queste persone non fanno altro che aderire a quella «vox populi» che già si sollevò contro Galileo, e che da Aristotele a Tolomeo, insieme ai filosofi medievali, continua a ripetere che: la terra è ferma, semplicemente perché dimostra di esserlo a tutti gli effetti.
I più grandi pensatori del passato, fino a Galileo, hanno approvato, pur nell’ambito degli inevitabili limiti, il modello geostazionario, proprio perché il più evidente, il più semplice ed il più logico. Tutti.
Tranne uno sparuto numero di settari, i pitagorici, depositari della «scienza degli spiriti» e delle conoscenze magiche egizie, che unificavano fede e scienza, trascendenza ed immanenza.
Tra questi, Filolao: «un confusionario digiuno di matematica… che trascurava la testimonianza diretta dei sensi allo scopo di restare in accordo con i principi in cui credeva fermamente» (5), citato tuttavia da Copernico, insieme al mitico Ermete Trismegisto, nell’Introduzione del suo
«De revolutionibus».

L’argomento principale a favore della quiete terrestre è alquanto semplice.
Già Tolomeo aveva sostenuto che se la Terra girasse giornalmente su se stessa dovrebbe possedere una grande velocità periferica, che impedirebbe alle nuvole o agli uccelli di muoversi indifferentemente verso ovest o verso est.
La scienza moderna, a partire dal Cusano e da Galileo, risponde a tale questione affermando che la Terra può considerarsi alla stregua di un sistema inerziale.
Nonostante, di principio, non possa esserlo (6).
Noi dunque non ci accorgiamo del moto rotatorio della Terra perché questa, come una sorta di «giostra misteriosa» racchiusa in un invisibile involucro, trascina con sé la sua atmosfera.
La legge di attrazione universale di Newton manterrebbe infatti saldamente ancorata l’atmosfera al suolo.
Questa spiegazione tuttavia non è esente da contraddizione.
Sono in gioco infatti velocità di rotazioni ed accelerazioni non trascurabili.
Se lo fossero, ogni commento sarebbe superfluo.
Ma non si può ritenere trascurabile una velocità media di traslazione di circa 108.000 km/h, ed una velocità rotazionale di circa 1.600 km/h, riferita ad una massa di 6 x 1.024 kg, corrispondente ad un volume di 1.012 km3.

E’ noto peraltro che l’atmosfera, per convenzione viene suddivisa in cinque «sfere», ognuna con caratteristiche pressoché costanti, separate da superfici chiamate «pause», che rappresentano ristretti strati d’aria, nei quali le grandezze fisiche (temperatura, pressione, densità, umidità, ecc.) variano alquanto bruscamente.
I loro nomi sono: troposfera, stratosfera, mesosfera, termosfera ed esosfera.
Sappiamo che la pressione e la densità dell’atmosfera variano con l’altezza, in modo abbastanza regolare.
I suoi strati più bassi sono compressi, rispetto a quelli alti, al punto che a circa 7 chilometri dal suolo la colonna d’aria sovrastante possiede una massa uguale a quella di tutta l’aria contenuta negli strati superiori.
A sua volta, la densità diminuisce con l’altezza dal livello del mare, in media di un fattore 10 ogni circa 15 km (7).

E siamo giunti al paradosso.
Infatti, se l’atmosfera terrestre è divisa in cinque fasce, ed in ogni fascia variano la pressione e la densità relative dell’aria, allora in ogni fascia varia anche la massa.
Pertanto, la forza di Newton, che legherebbe saldamente l’atmosfera alla Terra rotante, non può essere applicata una sola volta per tutta l’atmosfera, come se questa fosse una massa compatta ed omogenea di gas.
Ma deve essere applicata cinque volte.
Una volta per ogni sfera.
Ragion per cui, le cinque fasce che compongono l’atmosfera non possono ruotare contemporaneamente, in fase, insieme alla Terra.
Infatti, se diminuisce la forza di gravità che lega ogni fascia al suolo terrestre, in ordine alla distanza (aumentata) ed alla massa (diminuita), allora ogni fascia non può che restare indietro rispetto a quelle sottostanti.
Di conseguenza, a partire dalla troposfera, si dovrebbe registrare una turbolenza crescente di sfera in sfera.
Cinque diversi «venti d’etere», opposti al verso di rotazione della Terra, facilmente riscontrabili strumentalmente.
Cosa che invece non avviene.

Infatti, tutti possono notare che l’atmosfera in tutte le sue fasce, al di là dei normali moti convettivi e dei consueti fenomeni meteorologici, è globalmente stazionaria e tranquilla, sia dal punto di vista fisico che metafisico.
Dio, infatti, ogni giorno fa sorgere il suo sole sui giusti e sugli ingiusti (Matteo 5, 45).

Giancarlo Infante



1) J. M. Lévy-Leblond, «La velocità dell’ombra - Ai limiti della scienza», Codice Edizioni, Torino 2007, pagina 157.
2) I. Newton, «Il sistema del mondo», Edizioni Theoria, Roma, 1983, pagine 155 e 156.
3) E. Garin, «Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano», Laterza, Bari, 1975, pagine 156 e 119.
4) J. M. Lévy-Leblond, citato, pagina 156.
5) P. K. Feyerabend «Contro il metodo», Feltrinelli, Milano, 2003, pagina 57, nota 25.
6) «Il moto presunto della Terra», EFFEDIEFFE.
7) A. Rigutti, «Meteorologia», Atlanti scientifici Giunti, 2003, pagina 38 e seguenti.


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