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Il «sedevacantismo» e la bolla di Paolo IV «Cum ex apostolatus officio»
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Dato l’interesse suscitato nei lettori dalla discussione intorno alla possibilità che la sede apostolica sia attualmente «vacante» (1), mi pare opportuno affrontare l’argomento in modo sistematico (magari tramite una serie di articoli ad hoc).

Definizione generale

Il sedevacantismo nella sua accezione più generale, prescindendo cioè da ulteriori distinzioni di scuola ad esso interne, poggia sui seguenti punti dottrinali.
1) I pontificati successivi a quello di Pio XII sono nulli, e dunque la sede petrina è da allora «temporaneamente» vacante, poiché chi fu eletto dopo Pio XII era o già esplicitamente eretico
(in quanto «modernista») o già occultamente tale, avendone poi data palese dimostrazione, una volta eletto, attraverso i propri insegnamenti gravemente deviati e devianti.
2) L’infallibilità magisteriale, definita dogmaticamente nel 1870 dalla Costituzione «Pastor Aeternus» del Concilio Vaticano I, riguarda qualsiasi documento papale o conciliare concernente questioni di «fede e morale» (senza cioè che siano necessarie specifiche formule espressive, esplicitamente indicanti la volontà di impegnare in modo particolarmente solenne l’autorità docente del Magistero).
3) La bolla di Paolo IV «Cum ex apostolatus officio» del 1559 fu intesa proprio a normare, comminando la privazione e la decadenza ipso facto dalle cariche acquisite, i casi di eresia eventualmente verificatisi tra le gerarchie ecclesiastiche, incluso il caso di un papa eretico.
4) Come conseguenza della sede apostolica vacante, qualsiasi nomina cardinalizia o vescovile effettuata da uno dei pontefici non legittimi, è nulla ed è dunque nulla anche ogni ordinazione sacerdotale compiuta dai suddetti vescovi, così come ogni sacramento amministrato da chiunque non sia stato consacrato validamente.

La bolla «Cum ex apostolatus officio»

Per esprimere le mie obiezioni al sedevacantismo, ritengo utile partire da un’analisi accurata della bolla di Paolo IV, il cui testo latino mi pare di traduzione e interpretazione tutt’altro che semplici e scontate.
In primo luogo, e in favore delle tesi sedevacantiste, va riconosciuto che la bolla in questione contiene disposizioni e norme definite in modo sicuramente infallibile.
Infatti anche chi non condivida l’accezione larghissima accordata dai sedevacantisti all’infallibilità magisteriale (vedi punto 2), trovandosi di fronte ad enunciazioni come la seguente, non può che constatarne il carattere di palese infallibilità: «Noi, su simile avviso ed assenso [da parte dei ‘venerabili fratelli i Cardinali di Santa Romana Chiesa’, ndr], con questa nostra Costituzione valida in perpetuo, in odio a così grave crimine, in rapporto al quale nessun altro può essere più grave e pernicioso nella Chiesa di Dio, nella pienezza della apostolica potestà, sanzioniamo, stabiliamo, decretiamo e definiamo che […]».
Tuttavia le ulteriori osservazioni ricavabili dalla lettura del testo, sono contrarie all’interpretazione accreditata dai sedevacantisti.

1) Dei quattro passaggi fondamentali, in cui viene esplicitamente fatto riferimento al caso del Pontefice, il primo afferma solamente la liceità di un generico «redargui», cioè il fatto che «lo stesso Romano Pontefice, […] qualora riconosciuto deviato dalla fede possa essere redarguito [o confutato, ndr]» («ut Romanus Pontifex […] possit, si deprehendatur a fide devius, redargui»).
Il significato di questo «redargui» mi pare molto distante da una supposta affermazione, da parte di Paolo IV, intorno alla decadenza ipso facto dalla carica papale o da un’affermazione intorno alla nullità dell’elezione al Pontificato (in quanto l’essersi dimostrato palesemente eretico a posteriori rispetto all’elezione, implichi automaticamente l’esserlo stato occultamente anche prima: si tratta di una conclusione logicamente illecita, poiché non certa).

2) Tutti gli altri tre punti, nei quali si fa riferimento alla possibilità di una vera e propria eresia papale, riguardano tuttavia un’eresia esclusivamente antecedente all’elezione a pontefice.
Paolo IV esplicita per ben tre volte l’avverbio «ante» (in uno di questi tre casi nella variante «antea»), un avverbio dunque che dirime in modo definitivo la questione, rendendo illegittima la seguente interpretazione: «Questo è quanto ha cercato di fare Papa Paolo IV, il quale ha insegnato che nel caso sia eletto in un conclave, anche se legittimo e con l’unanimità dei cardinali, un individuo che si rivelerà poi deviato nella dottrina, l’assistenza dello Spirito Santo si volge ai figli della Chiesa, affinché riconoscano la nullità della sua elezione, affinché possano resistere e reagire alla sua opera di distruzione della Chiesa» (Daniele Arai, «Quando Roma rischiò di svegliarsi protestante» , EFFEDIEFFE, 29/01/08).

In realtà Paolo IV si limita a condannare come invalida l’elezione di un pontefice, che antecedentemente alla propria elezione si sia dimostrato eretico, mentre non esprime affatto la medesima condanna, nei confronti di un pontefice che dopo la propria elezione inizi a professare eresie: l’«ante» esclude dunque che l’invalidità, e la conseguente decadenza automatica dalla carica, si possa applicare nel futuro, rispetto al momento in cui un Papa è stato regolarmente eletto (e prima del quale non fosse manifestamente eretico).
Basti qui citare il titolo che nel testo latino è premesso al sesto capitoletto: «Praelati et pontifices, quos ante eorum promotionem apparuerit a fide catholica deviasse, eo ipso privati sunt omni auctoritate et officio, et promotio nulla est […]» («I prelati e i pontefici, che si è dimostrato abbiano deviato dalla fede prima della loro elezione, per ciò stesso sono privati di ogni autorità e incarico e la [loro] elezione è nulla»).
Purtroppo nella traduzione italiana della bolla, reperita insieme al testo latino sul sito «www.cattolicesimo.eu» (2) i titoli dei capitoletti sono tradotti in maniera del tutto libera, cosicché il titolo in questione è stato genericamente reso nei seguenti e fuorvianti termini: «Nullità della giurisdizione ordinaria e pontificale in tutti gli eretici».
Una tale traduzione non è per nulla autorizzata dal testo latino, venendo addirittura a mutarne sostanzialmente il significato (3).

3) Nel capitoletto in cui Paolo IV commina la privazione e decadenza dalle cariche ecclesiastiche o politiche già regolarmente acquisite, a chi si sia reso colpevole o si renda colpevole in futuro di eresia, vi è un unico passaggio contenente un’espressione, che potrebbe venire interpretata come un riferimento implicito alla carica papale.
Tuttavia va notato che tale espressione è parte di un elenco che può essere affiancato ad altri quattro elenchi simili, presenti nello stesso contesto e tutti privi di richiami espliciti o impliciti al Papato.
In particolare si deve rilevare che i quattro elenchi sono suddivisi in due parti: la prima contenente la lista di tutte le principali cariche ecclesiastiche, tranne quella di vertice (la carica papale); la seconda contenente la lista, in questo caso completa, di tutte le cariche politiche (l’imperatore, massima carica politica, vi è sempre incluso).
Non si capisce dunque perché, se Paolo IV avesse avuto l’intenzione di applicare la pena suddetta anche al caso di un pontefice eretico (post eius promotionem), non abbia semplicemente incluso la carica papale nella prima parte dei diversi elenchi.
Anzi, proprio l’insistita ripetizione di tali elenchi, porta a concludere che l’esclusione della massima carica religiosa non sia frutto di svista, ma sia direttamente voluta.

Ecco il passaggio in cui compare l’espressione incriminata: «[…] mai ed in nessun momento [gli ecclesiastici eretici privati della loro carica, ndr] potranno essere restituiti, rimessi, reintegrati e riabilitati nel loro primitivo stato nelle chiese cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali o nella dignità del cardinalato od in qualsiasi altra dignità maggiore o minore […]».

Bisognerebbe capire, al fine di escludere qualsiasi dubbio (che comunque mi pare già sufficientemente fugato da quanto detto sopra), se l’espressione «dignità maggiore o minore» non sia un’espressione gergale con valenza propria, come si verifica ad esempio per la locuzione «ordini minori»; nel qual caso il «maggiore o minore» non potrebbe essere messo in relazione di comparazione con il «Cardinalato».
Mi pare dunque che si possa sintetizzare quanto emerge dall’analisi della bolla di Paolo IV, nei seguenti termini.
Dal fatto che persino un Papa (il Papato è superiore anche alla massima carica politica) possa «essere redarguito o confutato», a causa di dottrine che lo rendono «a fide devius», non deriva eo ipso la decadenza e l’invalidità della sua elezione, a meno che non si possa dimostrare un’eresia pregressa a tale elezione (e, data la posta in gioco, è quasi inutile dirlo, una siffatta dimostrazione deve essere estremamente rigorosa).

Conclusioni

Le peculiarità della dottrina «penale» (mi sia concesso definirla così), che emerge dalla bolla «Cum ex apostolatus officio», si spiegano, a mio avviso, solo nel caso in cui Paolo IV ritenesse un Pontefice regolarmente eletto (sia dal punto di vista delle disposizioni stabilite per lo svolgimento del conclave, che a motivo dell’assenza di manifeste eresie da parte dei papabili), come incapace, perché reso tale dallo Spirito Santo, di proferire eresie ex cathedra; pur potendo eventualmente errare in altre occasioni, nelle quali lo stesso Pontefice non utilizzi quelle formulazioni particolarmente solenni, che ipso facto impegnano l’infallibilità dogmatica (che è prerogativa, a livello individuale, del solo Pontefice).
In altre parole, proprio l’attenta analisi del testo di questa bolla pare dimostrare, contro la dottrina sedevacantista, che l’infallibilità non è prerogativa di qualsiasi documento magisteriale emanato in materia di «fede e morale», bensì solo di quei documenti ove l’autorità competente (il Papa singolarmente o un concilio in unione con il Papa) utilizzi ben precise forme espressive, intese a rendere esplicita, al di là di ogni possibile fraintendimento, la volontà di impartire un insegnamento infallibile, assolutamente obbligatorio e perpetuamente irreformabile.
Mi pare che questa dottrina intorno all’infallibilità magisteriale, in primo luogo sia quella più consona al significato stesso dell’istituzione, da parte di Nostro Signore, di un Magistero a garanzia di tutti i fedeli (4), anche dei più incolti.

Infatti ogni fedele, attenendosi alla dottrina infallibilmente insegnata (che per le caratteristiche formali di cui sopra, è facilmente individuabile), resterebbe garantito anche nel caso di un Papa che durante il proprio Pontificato si perda, poiché da un lato l’assistenza celeste impedirebbe de facto che una qualsiasi dottrina eretica possa venire promulgata avvalendosi di espressioni formalmente, e dunque anche sostanzialmente, infallibili (il che costituirebbe la vera contraddizione rispetto al dogma dell’infallibilità), e in più dall’altro lato, rimanendo valida l’elezione papale, non risulterebbero compromesse le nomine cardinalizie, vescovili e di conseguenza, e soprattutto, nemmeno le ordinazioni sacerdotali e i sacramenti impartiti da costoro (in analogia con il principio dell’ex opere operato e salvo che i nominati non siano a loro volta palesemente eretici).

Inoltre mi pare che questa sia la dottrina maggiormente confacentesi alla natura del tutto sui generis dell’infallibilità, la quale corrisponde ad una vera e propria santa «intrusione» del divino nell’umano, un’intrusione, che, a differenza dei comuni atti peccaminosi lasciati al libero arbitrio individuale, preserva il Pontefice (e solo lui), per il bene delle anime, dalla possibilità di errare nell’espletamento della propria più alta funzione e prerogativa di pastore docente.
In sintesi questa posizione si differenziadunque dalle tesi sedevacantiste, in quanto ritiene nulli, non già tutti gli atti di un pontefice eretico, bensì solo gli atti specifici per i quali può essere accusato («possit redargui») di eresia.

Rimane da discutere la prima delle tesi sedevacantiste (l’attuale vacanza della sede apostolica, per manifesta eresia, a partire dal pontificato di Giovanni XXIII), ma rimando tale discussione al momento in cui riterrò di avere sufficientemente approfondito le diverse problematiche implicate.

Alessandro Sanmarchi



1) Per comodità nell’evitare continue circonlocuzioni, mi sia concesso di utilizzare il termine «sedevacantismo» e lemmi derivati, senza che tale uso, almeno da parte mia, corrisponda ad alcuna valenza dispregiativa.
2) L’indirizzo preciso della pagina in cui è riportata la bolla di Paolo IV è il seguente: www.cattolicesimo.eu/index.php?ind=articoli&op=entry_view&iden=119.
3) Daniele Arai mi conferma che il testo originale della bolla non era diviso in capitoletti con titolo e, anzi, che non era nemmeno provvisto di una punteggiatura ben regolata. Ciò era presumibile, poiché la punteggiatura, quale la conosciamo noi oggi, iniziò ad essere teorizzata ed utilizzata con una certa frequenza solo a partire dal Seicento (nell’antichità greca e latina era addirittura pratica comune la cosiddetta scriptio continua, una scrittura cioè priva di spaziatura tra le parole). Appena possibile mi procurerò un’edizione ufficiale della bolla, ma l’assenza dei titoli nel testo originale comunque non muta la sostanza del mio rilievo, poiché il titolo interpolato non è che una sintesi fedele di quanto presente nel corpo del testo.
4) Se un’eresia papale, specialmente qualora estremamente persistente e continua nel tempo (come nel caso di quella attualmente ipotizzata dai sedevacantisti), a causa dell’automatica vacanza della sede apostolica che ne deriva, riducesse i fedeli a perdere la certezza nella validità dei sacramenti, costringendoli a sperare nelle proprie capacità di «contrizione perfetta» (nel caso del sacramento della riconciliazione) o esclusivamente nella «comunione spirituale» (nel caso dell’eucarestia), ciò mi parrebbe molto poco consono alla solidità e al ruolo materno, che la Chiesa di Cristo deve continuare, nonostante un’eventuale eresia papale, a mantenere. Sono convinto che considerazioni di questo genere abbiano ispirato il cambio di rotta, attuato da Don Curzio Nitoglia.


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