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Governo georgiano, ministri israeliani
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Si è già citato il ministro georgiano Temur Yakobashvili, che l’8 agosto ha parlato alla Radio dell’Armata Israeliana per dichiarare, esultante di doppio  amor patrio, che «Israele deve essere fiero» per l’addestramento che gli istruttori di Sion hanno fornito ai georgiani.Yakobashvili è ebreo, parla correntemente ebraico ed è ministro della «reintegrazione territoriale», ossia il responsabile degli atti compiuti contro le due provincie russofone dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Una posizione chiave, evidentemente.

Non basta. Anche il ministro della Difesa georgiano David Kezerashvili è ebreo. Anzi, non solo: è «un israeliano che parla ebraico correntemente ed ha fortemente contribuito alla cooperazione fra i due Paesi». Lo afferma una fonte insospettabile, l’agenzia sionista Ynet.news, in un articolo che ha tutta l’aria di essere un tentativo di limitare i danni d’immagine  provocati dal coinvolgimento israeliano nel conflitto georgiano (1). Secondo l’agenzia, il governo israeliano ha perfino cercato di moderare le richieste di armamenti ricevute da Saakashvili.

E’ tutta colpa di David Kezerashvili: «La sua porta era sempre aperta agli israeliani (privati, si capisce) che venivano ad offrire al suo Paese sistemi d’arma fabbricati in Israele, trattative che erano molto rapide, a causa dell’interesse personale del ministro della Difesa».

Fra gli israeliani (privati cittadini) che hanno approfittato della così buona disposizione dell’israeliano ministro della Georgia, Ynet.News enumera «l’ex ministro (israeliano) Roni Milo e suo fratello Shlomo, già direttore generale delle Military Industries, il generale di brigata (a riposo, si capisce) Gal Hirsh e il generale maggiore (in pensione, ovvio) Yisrael Ziv».

Roni Milo occupava l’alacre vecchiaia come «rappresentante di Elbit Systems e Military Industries», due privatissime aziende di Sion, che grazie a lui hanno rifilato alla Georgia «veicoli teleguidati (RPV), torrette automatiche per veicoli corazzati, sistemi anti-aerei, sistemi di comunicazione, proiettili d’artiglieria e razzi».

Gal Hirsh ammazzava il troppo tempo libero «fornendo consulenza all’esercito georgiano sulla formazione di unità di elite simili al Sayeret Matkal (2) nonchè sul riarmo, e tenuto lezioni sull’intelligence in zona d’operazioni e il combattimento in aree abitate», una specialità che Israele ha affinato abbattendo coi bulldozer le case palestinesi a Gaza. Hanno fatto tutto questi arzilli vecchietti, succhiando il 70% del magro PIL georgiano.

Infatti, assicura Ynet.News, quando «gli israeliani operanti in Georgia hanno cercato di convincere la Israeli Aerospace Industries di vendere alla Air Force georgiana varii sistemi d’arma, ne hanno ricevuto un rifiuto. Il motivo stava nella speciale relazione creata tra Aerospace Industries e  Russia per l’ammodernamento di caccia sovietici, e la paura che vendendo armi alla Georgia quel contratto sarebbe stato cancellato».

L’agenzia israeliana deve ammettere che «le attività israeliane in Georgia e i contratti relativi erano tutti autorizzati dal ministero della Difesa, che vede nella Georgia un Paese amico (con almeno due ministri israeliani in carica a Tbilisi, come non rispondere alla voce del cuore?) a cui non c’era ragione di non vendere armi simili a quelle che Israele vende a tanti altri Paesi nel mondo».

Tuttavia, col crescere della tensione tra Russia e Georgia, «voci si sono alzate in Israele, specie nel ministero degli Esteri, per chiedere alla Difesa di essere più selettiva nell’approvazione dei contratti con la Georgia».

Pare di sentirla Tzipi Livni, la grande amica di Kippà Fini: siate più selettivi, ci stanno guardando. «Era chiaro che troppo sistemi d’arma di inequivocabile fabbricazione israeliana in mano all’armata georgiana erano come un mantello rosso agitato davanti al toro».

Negli ultimi tre mesi i russi avevano intercettato e catturato tre di quei veicoli teleguidati RPV (droni senza pilota della Elbit) con la sigla Made in Israel. Ciò, a parere di YNET.News, era un segnale: i russi «sono arrabbiati».

Sicchè «in maggio si è deciso di approvare futuri contratti con la Georgia solo per la vendita di sistemi d’arma non-offensivi (sic), come sistemi computerizzati d’intelligence e comunicazione». E alla sede di Military Industries, una fonte «altissima» assicura: «Al contrario di quel che dicono certi giornali (non si riferiva a quelli italiani, ndr) l’attività di Military Industries in Georgia era molto limitata. Abbiamo fatto qualche lavoretto per loro parecchi anni fa, ma il resto dei contratti è rimasto sulla carta».

Ciò contrasta con qualche piccolo dato di fatto. Per esempio: in Israele è nata persino un’agenzia turistica, la «Authentico», che prospera organizzando viaggi e visite alle  splendenti bellezze naturali ed artistiche di Kartulia. E il proprietario della Authentico, tale Dov Pikulin, ammette: «Gli israeliani sono i maggiori investitori nell’economia georgiana. Sono tutti lì, direttamente e indirettamente». Ciò conferma l’esultanza del ministro Yakobashvili, il figlio di Yakov così fiero della sua Israele-Georgiana.

Si può sempre sbagliare. ma secondo ogni apparenza, dietro il fantoccio di Saakasvili s’è insediato in Georgia un governo israeliano, una succursale di Sion con ministri di cittadinanza israeliana in posizioni-chiave.

Un po’ quel che accadde in Russia dietro Lenin e dietro Stalin: il cui numero 2 e istigatore di tutte le atrocità staliniane, Lazar Kaganovic, al contrario di Stalin è morto tranquillo nel suo letto, e fece anche in tempo a parlare in yiddish, commosso fino alle lacrime, a Golda Meyr in visita (3). Un po’ come sta succedendo in USA, coi consiglieri neocon dietro a Bush.

Un po’, se vogliamo, ciò che sta succedendo anche in Italia dove ministri fanno la fila per farsi fotografare in kippà, e il ministro degli Esteri è israeliano de jure. Anche noi siamo un po’ Kartulia. Speriamo bene.




1) Arie Egozi, «War in Georgia: the Israeli connection», YNET.News, 10 agosto 2008.
2) Il Sayeret Matkal, detto semplicemente L’Unità, è il gruppo di commandos specializzati in rapimenti, esecuzioni ed attentati o contro-attentati all’estero; opera per lo più in borghese in territorio «nemico».
3) La visita di Golda Meir «suscitò grande eccitazione fra gli ebrei sovietici» al potere. «La moglie del maresciallo (Clemente figlio di Efrem) Voroshilov, nata Golda Gorbman, stupì la sua famiglia dicendo: ora anche noi abbiamo la nostra patria. Polina Molotova, la moglie di Molotov, parlò yiddish e quando la Meir le chiese come mai sapeva la lingua, disse: ‘Ikh bin a yidishe tokhter’, sono una figlia del popolo ebraico». Kaganovich - l’autore del genocidio dei kulaki ucraini - parlò yiddish con il capo della Germania comunista Ernst Thalman, ovviamente un altro ebreo.
Da Yenrich Yagoda, il capo supremo dell’Arcipelago Gulag, a Lev Z. Mekhlis, il direttore editoriale della Pravda, tutti i potenti attorno a Stalin erano ebrei. Persino il suo sarto personale si chiamava  Abram Lerner, e vestiva tutti gli altri gerarchi e le loro signore. Vedere Simon Sebag Montefiore, «Stalin - The court of the red tsar», Londra, 2003.


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