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Il Santo Sacrificio secondo Malachia e Daniele
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La religione vera è la religione rivelata da Dio, Creatore dell’universo.
Colui che ci ha creati col fine che LO conoscessimo e servissimo.
Poteva, per il governo dell’uomo, dare a lui soltanto una legge di natura, quella legge, cioè, che gli mise nel cuore creandolo, e poi guidare i suoi ulteriori sviluppi a norma di questa legge con ordinaria provvidenza.
Volle invece aggiungere a questa la predicazione di Gesù, Egli stesso insegnò all’uomo quali doveri la natura ragionevole dovesse a Lui che l’aveva creata per un fine ultimo.
«Spesse volte ed in varie maniere quel Dio che aveva parlato una volta attraverso i profeti, ha parlato in ultimo a noi, di questi giorni, attraverso il Figliuolo» (Eb I, 1 e seguenti).
Rimane chiaro dunque, che non ci può essere religione vera, se non quella che ha per base la parola di Dio rivelata: rivelazione incominciatasi sui primordi umani, continuata nel Vecchio Testamento, e perfezionata e compiuta da Gesù stesso nel Nuovo.
In realtà, se Iddio ha parlato - e che abbia parlato si dimostra storicamente - non è chi non veda che l’uomo non ha da far altro che crederGli assolutamente e obbedirne i comandi: a compiere l’uno e l’altro dovere bene, per la gloria di Dio e la salvezza nostra, l’Unigenito Figlio di Dio stabilì in terra la sua Chiesa.
Pertanto non ci si può professar cristiani senza credere che Cristo ha fondato una Chiesa e una Chiesa unica, maestra dei doveri e dei limiti della libertà umana.
Il dissenso incomincia allorché si vuol sapere quale deve esser questa Chiesa e questi limiti secondo la volontà del suo Fondatore.
Molti cristiani, per esempio, negano che la Chiesa debba essere visibile, almeno nel senso che il corpo dei fedeli debba apparir unico e tutto concorde in una stessa dottrina e sotto uno stesso magistero e governo; e intendono per Chiesa visibile una Confederazione, una unione ecumenistica delle varie comunità cristiane, sebbene in particolare aderiscano a dottrine diverse, anzi opposte.
Eppure il Signore istituì la sua Chiesa come Società perfetta, la cui unità è di natura interna, ne è intrinseca e perciò racchiude l’opera della redenzione umana, sotto di un sol capo (Matteo 16, 18 seguenti; 22, Luca 32, 21, 15-17 Giovanni), coll’insegnamento della Tradizione a viva voce (Marco 16, 15), e con l’amministrazione dei Sacramenti, fontane della grazia Celeste (Giovanni 3, 5; 6, 48-59; 20, 22 seguenti; confronta Matteo 18, 18 seguenti); non per nulla la paragonò a un regno (Matteo 13), a una casa (Matteo 16, 18), a un ovile (Giovanni X, 16), a un gregge (Giovanni 21, 16-17).

Questa Chiesa così meravigliosamente fondata, non poteva una volta partito il suo Fondatore e gli Apostoli che tanto l’avevano diffusa, non poteva cessare ed estinguersi in nessun modo, perché le fu ingiunto di portare a salvezza eterna tutti gli uomini senza distinzione di luoghi e di tempi: «Andate dunque ed ammaestrate tutte le genti» Matteo 28, 19).
E nel compimento di questo obbligo come potrà mai mancarle forza ed efficacia, quando le è sempre accanto Gesù stesso, che le aveva promesso solennemente «Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino al termine del tempo» (Matteo 28, 20)?
Pertanto è impossibile che la Chiesa non esista ancora oggi e in ogni tempo, e non sia la medesima che nell’Evo Apostolico; a meno che non si voglia dire (Dio liberi!) che Gesù non fu capace di far quel che voleva, o che sbagliò quando disse che le porte dell’inferno non sarebbero prevalse contro di essa (Matteo 16, 18).
Enciclica Mortalium animos (MA), pubblicata il 6 gennaio 1928.

Il fondamento della fede cristiana

Quale altro fondamento possono avere i cristiani se non la Gloria di Dio Uno e Trino: del Padre attraverso la Parola e il Sacrificio del Figlio nell’Amore dello Spirito Santo?
A questo punto è chiaro che la Volontà divina è una e indivisibile ed è inutile anzi profondamente erronee le idee e le iniziative molteplici per l’«unione» delle Chiese cristiane.
Come dice il Papa Pio XI sui fautori di tale idee: «Hanno per vezzo di tirar fuori ogni tanto Gesù che dice: ‘Tutti siano una cosa sola... si farà un ovile ed un pastore’ (Giovanni XVII, 21; X, 16) quasi che in queste parole il desiderio e la preghiera di Gesù sian restati senza effetto. Pensano che l’unità di fede e di regime - dote distintiva della Chiesa - non sia in fondo mai esistita prima d’ora, e non esista oggi; la si può ben desiderare e forse pure raggiungere con un poco di buon volere comune, ma intanto, così come stanno le cose, è un’idea, non altro. Aggiungono: la Chiesa per sé, cioè di natura sua, è divisa in parti, vale a dire consta di più chiese o comunità particolari, le quali, disgiunte come sono, son d’accordo soltanto in qualche capo di dottrina, ma nel resto divariano e ciascuna ha i suoi diritti. La Chiesa fu forse unita al più, dall’età apostolica ai primi concili Ecumenici. Bisognerebbe dunque, a sentir loro, lasciar perdere o metter da parte le controversie e tutte le differenze di pensiero che ancor oggi tengon discorde il Cristianesimo; poi di tutte le dottrine in cui si va d’accordo fare e promulgare una norma comune di fede, professando la quale tutti possano riconoscersi, anzi sentirsi fratelli. Le varie chiese e comunità, quando fossero tutte confederate, e soltanto allora, potrebbero con solidità e frutto porre un argine all’incredulità straripante. Alcuni ammettono e concedono che il Protestantesimo, per esempio, troppo precipitosamente si disfece di certi capi di fede e di alcuni riti del culto esterno, che, al contrario, la Chiesa Romana ritiene ancora. Ma subito aggiungono che questa pure però ha fatto cose che son venute a corrompere la religione antica, aggiungendo e proponendo a credere dottrine non solo aliene dal Vangelo, ma contrarie ad esso: come, si affrettano a dire, il Primato di giurisdizione attribuito a San Pietro e ai suoi successori nella Sede di Roma» («Mortalium Animos»).

Da queste parole si capisce quanto sono devianti e contraddittorie le iniziative che dichiarano da una sede cristiana una libertà religiosa che limita l’autorità divina del Pontefice Romano «un primato di onore, o fin certa giurisdizione o certo potere: non son molti però; soltanto esigono si dica che ciò avviene per consenso di fedeli e non per diritto divino. Non manca chi addirittura ha il pio desiderio di vedere a capo di questi congressi, diciamo così, variopinti, lo stesso Papa!» (ibidem).

Poiché per la religione cattolica la legge della preghiera ha sempre seguito la legge della fede, lex orandi lex credendi, alla pari delle iniziative ecumenistiche, denunciate dal Papa, si lavorava alacremente per cambiare la Liturgia.
Il lancio di tale «ecumenismo liturgico» era guidato dal noto liturgista e orientalista Dom Beauduin attraverso la rivista Irenikon, del Monastero belga d’Amay.
Si trattava di un ecumenismo diretto, più che all’arricchimento del culto di Dio, all’istruzione del popolo, attraverso una pedagogia ecumenista, che elaborò spinti aggiornamenti anche dottrinali che causarono l’apostasia di molti monaci e la condannata di papa Pio XI con l’ Enciclica «Mortalium animos», pubblicata il 6 gennanio 1928, in vista del minaccioso «relativismo pancristiano».
Chi legge oggi questo documento si rende conto che quanto in esso è stigmatizzato come un pericolo sarà poi promosso dall’idea ecumenista del Vaticano II.

A promuoverlo fu il «Papa buono», Angelo Roncalli che affermava: «Il metodo buono è quello di Dom Beauduin» che, a sua volta, dichiarò nel 1958: «se Roncalli sarà eletto papa tutto sarà salvo: lui sarà capace di convocare un concilio per consacrare l’ecumenismo...».
Il biografo di Giovanni XXIII, Hebblethwaite, infatti, nota: «La sua prima lettera sull’ecumenismo cita proprio la rivista Irenikon» (1).
Era la luce verde per il lancio della liturgia sociale e politica che avrebbe prodotto in seguito il Novus Ordo Missae di Paolo VI, cui si legano le più strane demolizioni liturgiche.
Specificamente sul grave problema del falso ecumenismo «pancristiano», il Papa Pio XI pubblicò, dunque, l’Enciclica «Mortalium animos», che i cattolici dovrebbero leggere con attenzione perché oggi essa non solo è stata confinata nell’elenco dei documenti dimenticati, ma anche in quello delle encicliche da ignorare.
In nome della Chiesa cattolica, intanto, è invalso l’uso di praticare l’esatto contrario di quanto espone il testo del magistero pontificio.
Quando dal falso ecumenismo pancristiano si passò allo stravolgimento sincretistico di tutte le credenze, fu chiaro che i promotori della revisione ecumenista conciliare miravano a una conciliazione col potere massonico che, possibilmente puntava, a sua volta, possibilmente, se non a liquidare il Cristianesimo, a stravolgerne le fondamenta, ovvero il culto per la Gloria di Dio Uno e Trino: del Padre attraverso la Parola e il Sacrificio del Figlio nell’Amore dello Spirito Santo?
Della chiara Volontà divina, che è una e indivisibile.

Il Culto unico: cattolico, apostolico e romano

Proprio perché è vero che «Mai forse quanto oggi gli uomini han sentito nei loro cuori così vivo e potente il desiderio di rafforzare e allargare, a comun bene di tutti, quei rapporti di fraternità che tutti ci stringono e adunano, per il fatto stesso della comune origine e natura», si dovrebbe concentrare nel culto comune voluto da Dio.
Un comune fondamento di vita spirituale può risultare dal moltiplicarsi di congressi, adunanze, discorsi; da un bel numero di intervenuti, dove hanno la parola un po’ tutti: infedeli di ogni razza, cristiani, perfino quanti disertano infelicemente Cristo, e quanti non vogliono ammettere la Sua divina natura e missione?
«Orbene, i cattolici non possono in nessuna maniera appoggiar tentativi come questi, i quali suppongono esser tutte le religioni più o meno buone e lodevoli, in quanto che tutte o per una via o per l’altra manifestano ed attestano quel senso nativo e spontaneo in noi, che ci porta verso Iddio e verso il riconoscimento devoto del Suo impero. Teoria questa, che non è soltanto una falsità vera e propria, ma che ripudia la vera Religione falsandone il concetto, e così spiana la via al naturalismo e all’ateismo. Chi dunque tien mano a codesti tentativi ed ha di queste idee, con ciò stesso, per conseguenza manifesta, si allontana dalla religione rivelata da Dio» («Mortalium animos»).
«Chi può asseverare di amar Cristo, se non fa il possibile per lodare incontro ai desideri di Lui, che pregava il Padre affinché i discepoli fossero ‘una cosa sola’?» (Giovanni 17, 21).
Lo stesso Gesù non volle forse che i suoi discepoli conservassero come una caratteristica e come lui distintivo, «l’amore tra di loro?»; «In ciò vi riconosceranno tutti per miei discepoli, se vi amerete l’un l’altro» (Giovanni 13, 35).
«Se tutti i cristiani - si aggiunge - divenissero un giorno ‘una cosa sola’, sarebbero così più forti a respingere la peste dell’empietà, che, serpeggiando e diffondendosi ogni giorno più, si apparecchia a indebolire l’Evangelo. Discorsi come i precedenti o simili si fanno coli grandi arie dai cosiddetti pancristiani, gente questa più numerosa assai di quel che non si creda, se è, vero che formano gruppi speciali e società di larga diffusione, sotto la guida di persone le quali, o la pensino in un modo o nell’altro, quello che è certo, per lo più non son cattoliche. L’impresa è, condotta così attivamente, che sta guadagnandosi per cento vie l’opinione pubblica; e tenta e lusinga anche parecchi cattolici, coll’idea che l’unione da ottenere non disdirà alla Santa Madre Chiesa e ai suoi desideri, se si pensa che noti ha avuto mai cosa tanto a cuore quanto di richiamare e ricondurre nel suo grembo gli sviati» («Mortalium animos»).

Il vero segno d’unità è nel Sacrificio del Signore

L’idea di accrescere la carità fra i cristiani può mai farsi a danno alla fede?
«Tutti sanno che l’Apostolo stesso della carità, San Giovanni - colui che nel suo Vangelo svelò gli arcani del Cuore Sacratissimo di Gesù e continuamente insisteva e insisteva a metter bene nel capo dei suoi il precetto nuovo dell’amore reciproco - che San Giovanni stesso vietò assolutamente ogni relazione di sorta con quanti non professavano intera ed immacolata la dottrina di Cristo: ‘Se vien qualcuno tra voi e non porta questa dottrina non lo ricevete in casa e nemmeno salutatelo’ (Giovanni 11, 10). Se la carità dunque non ha altro fondamento che la fede integra e sincera, è necessario ai cristiani, se vogliono unirsi, di unirsi prima e sopra tutto nell’unità della fede. E allora come si può pensare a una Confederazione cristiana, i cui membri, anche in materia di fede, possono ritenere ciascuno quel che gli pare e piace, quand’anche gli altri hanno idee e sentimenti opposti? E in che maniera, se è lecito, posson far parte di una medesima confederazione di fedeli persone che la pensano diversamente? Persone, per esempio, che affermano esser la tradizione fonte genuina della divina Rivelazione, con persone che ciò negano? Persone che credono istituita da Dio la gerarchia con vescovi preti e ministri, e persone che la dicono introdotta via via in diverse circostanze di tempo e di fatti? Persone che adorano Cristo presente e realmente nella Santissima Eucarestia in virtù di quella mirabile conversione del pane e del vino che ha il nome di transustanziazione, e che vi riconoscono la natura di sacrificio e di Sacramento, e persone che non la ritengono che una memoria, un ricordo della Cena del Signore? Persone che ritengono buono ed utile invocare devotamente i Santi che regnano con Cristo e prima di tutti Maria Madre di Dio, e venerarne le immagini, e persone che sostengono non potersi prestar questo culto, perché lesivo dell’onore di Gesù Cristo, ‘unico mediatore fra Dio e gli uomini’ (1 Tim., 11, 5)?» («Mortalium animos»).

«La Sposa mistica di Gesù non si è mai contaminata nel decorso dei secoli, ne potrà mai contaminarsi; testimone San Cipriano: ‘La Sposa di Cristo non soffre adulteri: è incorrotta, è pudica. Conosce solo una casa, solo di un talamo custodisce la santità, con casto pudore’, (De cath. Eccelesiae unitate, 6). E lo stesso santo martire a buon diritto si meravigliava e stupiva come qualcuna potesse credere che, tale unità. Venuta dalla fermezza divina, compatta per Celesti Sacramenti, si possa scindere nella Chiesa, e separare con diversità dì volontà dissidenti (ibidem). Quando il corpo mistico di Cristo, la Chiesa, è uno (1 Cr 12, 12), compatto e connesso (Eph 4, 15), e simile al suo corpo fisico, è una sciocchezza e una bestialità pretendere che questo corpo mistico risulti di membra disgiunte e disperse: chi dunque non sta unito con esso, non è suo membro, né si riattacca con il capo, che è Cristo (Eph., V, 30; 1, 22). Orbene nessuno sta in questa sola Chiesa di Cristo, nessuno ci persevera se non riconosca ed accetti l’autorità e la potestà di Pietro e dei suoi legittimi successori. I padri di coloro che oggi sono impastoiati negli errori di Fozio e dei Novatori, non obbedirono forse un giorno al Vescovo di Roma, supremo pastore delle anime? Partirono, ahimè, i figli dalla casa paterna, ma questa non cadde, sorretta com’era dal perpetuo sostegno del suo Dio; tornino dunque al comun Padre, il quale, dimenticando le ingiurie lanciate alla Sede Apostolica, li accoglierà con amorevolezza grande. Se davvero bramano unirsi con Noi e coi Nostri, perché non si affrettano ad entrar nella Chiesa ‘madre e maestra di lutti i fedeli’? (Conc. Later., 4 e 5). Ascoltino Lattanzio: ‘Sola... la Chiesa è quella che ha il vero culto. Essa è la fonte della verità, il domicilio della fede, il tempio di Dio: a non entrarvi o ad uscirne, si resta fuori della speranza di vita e di salvezza. E noti, conviene ingannare se stesso con dispute pertinaci. Qui si tratta della vita e della salvezza: se non ci si bada con cautela e diligenza, vita e salvezza son perdute, son morte’ (Divin. Instit., 4, 30, 11-12)» («Mortalium animos»).

La Santa Messa ridotta a vettore della pedagogia pancristiana

Quanto detto dalla «Mortalium animos» è stato invertito con l’avvento del Vaticano II.
Vediamo ora i termini di quest’operazione, mirante a mutare la Chiesa.
La subdola diffusione della pedagogia ecumenista era l’obiettivo a cui sarebbe stata asservita la Santa Messa cattolica.
Gesù Cristo ha dato alla Chiesa la partecipazione al Suo Sacerdozio.
Il potere sacerdotale non è trasmesso per generazione umana o per volontà popolare, ma è riservato a uomini chiamati dalla vocazione e scelti per ricevere il sacramento dell’Ordine.
Esso è indelebile e la sua efficacia è indipendente dal valore umano del suo detentore.
Il Sacerdozio è ordinato al culto di Dio, in speciale al Sacrificio eucaristico nel quale il Corpo mistico si offre a Dio.
«La Chiesa postconciliare ha offuscato la necessità e efficacia della Passione di Cristo per la Salvezza creando il nuovo rito in cui la Sua Passione incruenta è offuscata. Infatti, subito dopo la sua consacrazione i fedeli proclamano, non che Cristo è sull’altare (ora tavolo), ma che è morto, risuscitato e tornerà. E’ il mistero della fede conciliare. Nota il cardinale Ottaviani che la Presenza Reale di Cristo non è menzionata e perciò la fede in essa implicitamente rifiutata».

Il Sacerdozio è vitale per la Chiesa di Cristo.
Basta cambiarlo di un solo jota per cambiare Chiesa.
Ciò è avvenuto con Lutero.
Anche il sacerdozio anglicano è nullo, perché si è interrotta l’unzione dei sacrificatori.
Queste rivoluzioni si manifestarono, inizialmente, come un ritorno a idee originali del Cristianesimo per liberare l’uomo moderno dall’autorità della Chiesa.
Così lo hanno privato dell’essenza della fede, come ha fatto Lutero volendo giustificare l’uomo con la sola fede.
L’idea democratica innalzata a ideale religioso, e di conseguenza, l’idea del sacerdozio comune dei credenti, viene, come si è visto, dal mondo protestante, cui ci si deve riferire per comprendere i termini originali di ogni rivoluzione fino a quella dei documenti conciliari, che introdusse e battezzò nella Chiesa le parole di libertà, uguaglianza, fraternità, democrazia, popolo, dignità, progresso, la cui distorsione semantica è alla radice dell’attuale decadenza sociale e religiosa.
Pio XII accusa errori sul sacerdozio dei fedeli nella «Mediator Dei», mentre la Lumen gentium li suscita, citando proprio detta Enciclica: «Perciò il sacerdozio esterno e visibile di Gesù Cristo si trasmette nella Chiesa non in modo universale, generico e indeterminato, ma è conferito a individui eletti, con la generazione spirituale dell’Ordine [...]. Difatti, come il lavacro del Battesimo distingue i cristiani e li separa dagli altri che non sono stati lavati nell’onda purificatrice e non sono membra di Cristo, così il Sacramento dell’Ordine distingue i sacerdoti da tutti gli altri cristiani non consacrati, perché solo essi, per vocazione soprannaturale, sono stati in-trodotti all’augusto ministero che li destina ai sacri altari e li costituisce divini strumenti per mezzo dei quali si partecipa alla vita soprannaturale col Mistico Corpo di Gesù Cristo. Inoltre, come abbiamo già detto, essi soltanto sono segnati col carattere indelebile che li configura al sacerdozio di Cristo, e le loro mani soltanto sono consacrate perché sia benedetto tutto ciò che benedicono, e tutto ciò che consacrano sia consacrato e santificato in nome del Signor nostro Gesù Cristo... E’ severamente da riprovarsi il temerario ardimento di coloro che di proposito introducono nuove consuetudini liturgiche o fanno rivivere riti già caduti in disuso e che non concordano con le leggi e le rubriche vigenti... L’uso della lingua latina, come vige in gran parte della Chiesa, è un chiaro e nobile segno di unità e un efficace antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina... E’ necessario, Venerabili fratelli, spiegare chiaramente al vostro gregge come il fatto che i fedeli prendono parte al Sacrificio Eucaristico non significa tuttavia che essi godano di poteri sacerdotali. Vi sono difatti, ai nostri giorni, alcuni che, avvicinandosi ad errori già condannati, insegnano che nel Nuovo Testamento si conosce solo un sacerdozio che spetta a tutti i battezzati, e che il precetto dato da Gesù agli Apostoli nell’ultima cena di fare ciò che Egli aveva fatto, si riferisce direttamente a tutta la Chiesa dei cristiani, e, solo in seguito, è sottentrato il sacerdozio gerarchico» («Mediator Dei»).

La Chiesa è quella che ha il vero culto

Il Novus ordo di Paolo VI (Missa est sacra synaxis seu congregatio populi) ha introdotto nella liturgia le «novità» severamente riprovate da Pio XII.
«La posizione del sacerdote è minimizzata, alterata, falsata. Prima in funzione del popolo di cui egli è caratterizzato come mero presidente o fratello anziché come ministro consacrato che celebra in persona Christi. Poi in funzione della Chiesa come un quidam de populo. Nella definizione della epiclesi le invocazioni sono attribuite anonimamente alla Chiesa; il ruolo del sacerdote è dissolto» («Breve esame critico», cardinali Ottaviani e Bacci).
Gesù Cristo ha detto: «Sono nato e venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità» (Giovanni 18, 37).
Che sia possibile aderire non integralmente alla verità e che questa sia la ragione dell’incompleta incorporazione dei catecumeni alla Chiesa sono insinuazioni ricorrenti nei testi conciliari (LG 13e) e rese ancora più ambigue nelle loro traduzioni.
In essi si mette in risalto la necessità, per ottenere la salvezza e la pace universale, la perseveranza in una carità slegata dalla verità e perciò dalla fede.
Può l’appiattimento della verità favorire la pace?

«Affievolitasi la fede in Dio e in Gesù Cristo, ed oscuratasi negli animi la luce dei principi morali, venne scalzato l’unico e insostituibile fondamento di quella stabilità e tranquillità, di quell’ordine interno ed esterno, privato e pubblico, che solo può generare e salvaguardare la prosperità degli Stati» (Enciclica «Spiritus Paraclitus» (15 settembre 1921), Benedetto XV).
«Negando la distinzione fra vera e false religioni, e quindi fra vera e false morali, si finisce col negare, in linea di principio, la distinzione fra vero e falso e fra bene e male» (giudice Agnoli).
Si nega così la verità di Cristo, che prevedeva il risultato di questo rifiuto: «Pensate che Io sia venuto a portare la pace fra gli uomini? No, ve lo dico, non la pace ma la divisione» (Luca 12, 51).
Ma la Lumen gentium vuole l’unione a qualsiasi costo: prima l’unione poi una conversione, ma questa a misura di quella.
«Lumen gentium, 15. La Chiesa per più ragioni è congiunta con i cristiani non cattolici: Con coloro che, battezzati, sono sì insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede o non conservano l’unità di comunione sotto il Successore di Pietro (PG)... molti che hanno in onore la Sacra Scrittura come norma di fede e di vita... credono in Dio Padre e in Cristo (SC, CS), sono segnati dal battesimo... accettano nelle proprie Chiese o comunità, ecc. anche altri sacramenti... hanno anche l’episcopato... celebrano la Santa Eucarestia e coltivano la devozione alla Vergine Madre di Dio. A questo si aggiunge la comunione di preghiere e di altri benefici spirituali; anzi una certa vera unione nello Spirito Santo, poiché anche in loro con la sua virtù santificante opera per mezzo di doni e grazie, e ha fortificato alcuni di loro fino allo spargimento di sangue».

Nel testo si parla di una comunione parziale di altri cristiani con la Chiesa di Cristo, attraverso elementi cattolici presenti anche in altre comunità religiose, che implicano il beneficio di doni e grazie dello Spirito Santo.
Un simile discorso ecumenico sull’aiuto soprannaturale alle persone è tessuto su premesse in netta contraddizione con la dottrina cattolica dei Concili di Trento (Dz 842, 843) e del Vaticano I, perché afferma che la grazia di Dio può passare attraverso organismi separati dalla Sua Chiesa e che la giustificazione può venire anche da una falsa fede.
Di conseguenza, come strumento di salvezza, non ci sarebbe più una sola Chiesa della vera fede, ma tante altre, più o meno sufficienti.
Religioni monoteistiche in cui «si adora lo stesso unico Dio»: non è espressione che si possa trovare tra gli insegnamenti pontifici.
Inutile elencare i popoli che Dio vuol salvare, perché il disegno di salvezza è universale.
Per ciò il Signore morì in croce e istituì la Chiesa.
E’ assurdo, però, affermare che fanno parte di questo disegno di salvezza le credenze diverse dalla Fede nel Dio, Uno e Trino.
Credere che Dio sia unico, come una è la verità, è bene, ma come si può adorarLo senza sapere qualcosa di Lui?
E come conoscerLo se non attraverso la Sua Rivelazione?
Come avvicinarsi alla Rivelazione di Dio se non cercando la sua depositaria?
L’aiuto della grazia, venuto dalla Provvidenza, si manifesta proprio attraverso la Chiesa cattolica.

La Chiesa di Gesù Cristo è nata dalla Volontà di ristabilire l’Alleanza tra Dio e gli uomini, tra il Padre con i figli, tra l’Autorità paterna e l’onore filiale.
Per fede il cristiano crede che l’autorità di Dio si manifesti nella Chiesa: in ciò consiste il fine supremo della Chiesa.
Attraverso questa manifestazione, l’uomo ha la possibilità di tornare all’ossequio dovuto alla suprema Volontà divina, da cui si era allontanato col Peccato originale.
Come questo atto fu generato dal sospetto che il comando divino contrariasse la dignità e la potenziale elevazione dell’uomo, così la fiducia nella Chiesa, rappresentante, appunto, l’autorità divina, è l’unico mezzo che la creatura ha per ristabilire il rapporto con Dio.
La comunione, che può avere per mediatore l’ultimo dei parroci, si stabilisce attraverso il supremo Pontefice che, come indica il nome, è il ponte che conduce alla Città di Dio.
La Chiesa è Apostolica grazie alla continuità e unicità dell’insegnamento che proviene immediatamente da Dio.
Tale è l’indole e la natura dell’ordine episcopale, la sua potestà non è condizionata da molti che esprimono la varietà e l’universalità del Popolo di Dio.
La potestà della Chiesa è ordinata, dunque, all’osservanza dell’univoca Volontà divina.
Solo nella sua fedeltà c’è vera comunione.
E’ propria della comunità cattolica, infatti, l’adesione al Volere di Dio nella fede, suscitata da Lui e retta dal Suo Pontefice.
E’ Volontà divina che i fedeli aderiscano alla Chiesa, perché essa, rappresentando la potestà divina, è la via per ritornare a Dio.
In sintesi, è questo il fine della Chiesa.
L’edificazione di una comunità umana può essere un mezzo per arrivarvi, ma non il fine.

L’identità del gregge di Cristo risiede nell’unità della fede unica, in cui il fedele non deve progredire, ma rimanere, sotto il primato del Pontefice romano.
Per la Fede esistono il Papa, i vescovi, i Concili.
In funzione della Fede si costituisce un Popolo di Dio, non il contrario.
Ma non è il popolo a determinare il Sacrificio.
Mediator Dei: «Si allontanano dal cammino della verità coloro i quali si rifiutano di celebrare se il popolo cristiano non si accosta alla mensa divina; e ancora di più si allontanano quelli che, per sostenere l’assoluta necessità che i fedeli si nutrano dal convito Eucaristico insieme col sacerdote, asseriscono, capziosamente, che non si tratta soltanto di un Sacrificio, ma di un Sacrificio e di un convito di fraterna comunanza, e fanno della santa Comunione compiuta in comune quasi il culmine di tutta la celebrazione».

Non si tratta perciò di cena per una comunione tra gli uomini, ma della comunione nel Sacrificio del Signore della comunità cristiana.
E, in seguito alle deviazioni di queste prime comunità, accusate da San Paolo, l’uso dell’agape e del tavolo, che potevano trarre i cristiani in inganno, furono totalmente soppressi dalla Chiesa che, anzi, introdusse il rigoroso digiuno prima della Santa Comunione.
In luogo del tavolo venne introdotto l’altare, rappresentante il Corpo del Signore.
Non tutti questi simboli furono abbandonati dai Protestanti, ma dopo la riforma liturgica di Paolo VI, compiuta anche con l’assistenza di pastori protestanti, vi fu un generale e festoso ritorno ai simboli e agli abusi primitivi.

Il 13 ottobre 1967, un articolo sulla riforma dell’Osservatore Romano constatava compiaciuto: «la riforma liturgica ha fatto un notevole passo avanti nel campo ecumenico [ecumenistico] e si è avvicinata alle forme liturgiche della Chiesa luterana», cioè la cena.
L’osculo della pace nella nuova Messa di Paolo VI pare ristabilire un segno cristiano di amicizia perso nel tempo; potrebbe essere cosa buona.
Ma non è buono sostituire il segno di pace del Signore, che scende gerarchicamente verso i fedeli attraverso il Sacerdote, Suo mediatore consacrato, con lo scambio di baci ed abbracci tra la gente.
Tali effusioni possono avvenire senza che siano confuse con la Pace di Dio nel momento della commemorazione del Suo Sacrificio.

Ecco il mistero attuato nella Chiesa secondo San Pietro (2 Pt 3, 10-13): «Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà distrutta. Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi così, quali non dovete essere voi, nella santità della condotta e nella pietà, aspettando e correndo incontro la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno! Ma noi aspettiamo, secondo la sua promessa, nuovi cieli e nuova terra in cui abita la giustizia».

Ora, il testo della Lumen Gentium allude ad una restaurazione del tutto, del genere umano e del mondo, ad una salvezza universale, per cui l’uomo non solo si salverebbe nel mondo, ma con tutto il mondo.
E’ l’idea calvinista descritta da Max Weber: «il mondo è ordinato a questo - e solo a questo - servire al proprio innalzamento di Dio; l’eletto di Cristo è qui per questo - e solo per questo - aumentare da parte sua la gloria di Dio nel mondo con il compimento dei suoi comandi. Ma Dio vuole le opere sociali dei cristiani, perché vuole che la conformazione sociale della vita si accordi con i suoi precetti in modo da contribuire adeguatamente a quella finalità. Il lavoro sociale dei calvinisti nel mondo è puro lavoro ‘in majorem gloriam Dei’. Perciò anche il lavoro professionale presenta questo carattere, consistente nel servizio alla vita terrena della collettività... L’amore del prossimo - solo ammesso come servizio alla gloria di Dio e mai della creatura - si manifesta in prima linea nel disbrigo dei compiti professionali secondo lex naturae, assumendo così un carattere peculiarmente impersonale e oggettivo: quello di una organizzazione razionale del nostro vicino cosmo sociale» (Max Weber, «Die protestantisch Ethik», Gütersloher Verlagshaus Mohn, 1979, pagine
125-126).
La citazione è del professor Pacheco Salles (Figura), che aggiunge in nota: «Quest’opera dev’essere letta da quanti vogliano capire il vero senso del Vaticano II, specialmente della Lumen Gentium e della Gaudium et Spes. Non deve perciò sorprendere che un’idea del mondo trasformato in modo perfetto e definitivo nel secolo futuro rimpiazzi quella della sua fine catastrofica» (ibidem Figura).

L’«Opus a Patre in mundo commissum» presenta qui una sua indole professionale, un programma ordinato alla società umana (vedi  Gaudium et Spes, 43): missione secondo uomini, ma che passa per missione evangelica.
Ecco la matrice di ogni eresia.
«Per Lutero, la pigrizia è peccato imperdonabile e i giorni festivi, le peregrinazioni e i monasteri sono soltanto pretesti per nascondere l’accidia [anche Paolo VI ha voluto le suore in servizio sociale fuori dei loro conventi ...]. Calvino elaborando tali idee come pedagogia religiosa ha biasimato la povertà e condannato quasi completamente l’elemosina e mentre applaudiva le virtù economiche. Il suo ideale è una società avviata alla ricchezza con la serietà di uomini coscienti non solo di dover disciplinare il proprio carattere col lavoro paziente, come di votarsi a un servizio gradevole a Dio» (H. R. Tawney, «Religion and the rise of Capitalism», citato da Pacheco Salles).

Sarebbero gli uomini a decidere il fine per cui sono stati creati.
In verità la dottrina tradizionale non esclude la questione del lavoro nel mondo dalla ricerca, nella santità e nella pietà, «del Regno di Dio e della sua giustizia. Il più ci sarà dato per giunta».
Per il cristiano anche il lavoro dev’essere ordinato al fine umano.
Perché nel Giudizio finale alcuni saranno salvati e altri condannati, secondo si siano ordinato o meno, anche nel lavoro, alla Volontà divina.
Riguardo alla città terrena, essa non verrà rinnovata, ma sostituita da nuovi cieli e nuova terra per il trionfo della Città di Dio.

San Pietro parla del rischio di dannazione: «se il giusto a stento si salverà, che ne sarà dell’empio e del peccatore?» (I Pt 4, 18).
E la Chiesa insegna la speranza, ma con i Novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso; memento del terribile «giorno del Signore».
La Lumen Gentium, invece, parla dell’indole escatologica della Chiesa e pone l’accento, a dispetto della decadenza in cui vive il mondo, in parole per lo più di trionfo e di gloria eterna; sul fatto che «saremo simili a Dio» e «il nostro corpo sarà trasformato, divenendo glorioso come il Suo Corpo».
San Paolo (Fl 3, 20) parla, invece, a quanti si distinguono come «cittadini del cielo», non del mondo.
Sono due pastorali antitetiche sull’idea di salvezza: quella degli Apostoli che evocano le parole di Gesù: «Entrate dalla porta stretta, perché larga è la porta e ampia la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Ché stretta è la porta, e arduo il cammino che conduce alla vita, e quanto pochi quelli che la trovano (Matteo 5, 13-14)»; all’opposto l’ottimistica pastorale che biasima i profeti di sventure, come se per farci vedere il male di cui siamo capaci non ci fosse la visione del Crocefisso.
La morte atroce, avvenuta per salvarci, dice infatti tutto sulla difficoltà della via, percorribile solo nell’adesione alla Croce, unica speranza.
Eppure, la Roma conciliare ha per quarant’anni censurato fino a neutralizzare il Messaggio della Madre di Dio che invocava penitenza!
 
La prima norma della Morale è la Legge (ratio divina), quindi la vera fede.
All’oscuramento della fede segue quello dei principi morali che sono la base per la stabilità dell’ordine sociale.
Chi cancella la distinzione fra vera fede e false religioni cancella la differenza fra vera morale e false morali e scalza i princìpi divini che reggono questi valori.
Condannare gli errori morali e non quelli dottrinali, dai quali i primi derivano almeno per quanto concerne il loro aspetto sociale, è assurdo, perché la libertà di coscienza, che è la causa principale del degrado morale, è un errore dottrinale.
Gregorio XVI lo condannò definendolo un delirio, i cui frutti sono l’immoralità e l’ingiustizia.
Perciò: «Pretendere che uno Stato ingiusto e disonesto sia il tutore dell’ordine morale è pretendere l’impossibile» (dottor Stefano Filiberto sulla Veritatis splendor di Giovanni Paolo II,  (Il Nuovo Osservatore Cattolico, anno IV, numero 2).

L’inganno finale una morale e una unione liberi dalla Legge

Poiché questo processo iniquo e l’apostasia generale furono sempre trattenuti dall’autorità papale, se essi divengono realtà significa che l’autorità è stata tolta di mezzo: é assente (confronta 2 Ts 2).
Nella Chiesa, ridotta ad un piccolo gregge, non prevarranno né l’empietà originale né l’inganno finale.
E’ di fede.
Dov’è allora la Chiesa?

Il Corpo Mistico sarà riconoscibile dalla testimonianza dell’inganno, di cui la Lumen Gentium, incompatibile con le verità evangeliche e con l’autorità divina della Chiesa, manifesta il neoecunenismo eterodosso.
Ora, come la vista serve per vedere, ma non basta per muoversi bene, così anche la fede indica la direzione giusta, ma non basta per seguire la volontà che salva.
Per accogliere la parola che insegna, per seguire il Verbo che chiama, per il relegare nell’ordine dell’essere, è necessaria la virtù della religione, che sola può condurre a Dio.
Essa suscita l’accettazione dell’ordine rivelato da Dio.
Chi la volesse accettare in parte, solo quanto capisce, o quanto umanamente gradisce, non ha veramente accettato il suo senso.
Quanto guida nel giudizio sulla vita, sulla morte, sulla conoscenza che trascende la mente dell’uomo è vitale per ognuno e per la società; solo essa può chiarire la ragion d’essere della vita umana in terra.
Tale sapienza assoluta esiste per la Religione rivelata: ha per nome Verità.
Si tratta della Verità, che è per l’anima come l’aria per i polmoni; quando manca, viene meno la luce per discernere tra bene e male, vuoto che causa errori deleteri per l’essere umano.
Perciò Dio ci ha dotati della Rivelazione, principio d’ogni respiro religioso.
A questa luce, qui, prima di parlare di rivelazione autentica, si denuncia l’idea ecumenista che nega implicitamente la necessità per l’uomo della rivelazione di Dio, cioè dell’unica verità guida per la vita spirituale e per il retto pensare.
Anzi, la falsa dottrina ecumenista accusa la fede fondata sull’integrità della Verità divina di fondamentalismo e integrismo.

Per concludere: poiché molti, in nome della verità, cadono in errori, ognuno deve tener per sé la propria verità e fare di tale rispetto una «fede» per un nuovo ordine mondiale.
Si arriverebbe così ad un mondo che scarta l’esistenza della Verità o la censura come sola sorgente di bene e del retto pensiero, a favore di un pluralismo di verità!

Sembrerà paradossale, ma è proprio quel che fa la pedagogia ecumenista conciliare che, livellando le varie verità religiose, relativizza lo stesso concetto di verità con l’aggravante di farlo in nome delle religioni.
Sì, perché riconoscere molte religioni come vere significa pensare che nessuna lo è!
Ciò colpisce nel profondo la naturale religiosità delle coscienze e dei popoli.
Tale ecumenismo non solo guasta il pensiero rivolto all’assoluto, ma il pensiero tout court; non solo quello legato alla Legge naturale e divina, ma quello rispettoso della natura umana; non solo quello formato nei Libri Sacri, ma quello semplicemente logico dell’unicità della verità; si svela contraffazione, non soltanto religiosa, ma civile.
E ciò, nel piano del culto, non è altro che l’idolatria di un culto umano.

L'opposizione tra cristianità e rivoluzione è un fatto percepito dalla coscienza cattolica, come quello dell’opposizione tra bene e male lo è da ogni coscienza.
Ora, a questo punto della storia, si aggiunge all’agonia della spiritualità umana l’ultimo metafisico abbaglio: un cristianesimo aggiornato, che non è più l’affermazione dell’Idea suprema, di un concetto fondamentale di vita, di una città completa, ma che si vorrebbe far diventare un sistema per conciliare anche quanto è logicamente incompatibile, per gestire gli opposti: del culto umano alla pari del culto a Dio.
Così è sorto il Novus Ordo missae di Paolo VI, che si è avvalso della consulenza di diversi eretici.
C’è una vasta bibliografia che sviluppa «l’esame critico Ottaviani-Bacci» («L’Eclisse del Pensiero», pagine 216, 217) sul mostriciatolo animato nei laboratori del massone Bugnini.

La profezia sul Sacrificio perpetuo è nel libro del profeta Malachia, dove il Signore biasima il comportamento dei sacerdoti rivolto alle proprie i-dee ed interessi, e dice: «Chi fra voi chiuderà le porte, perché non arda più invano il mio altare? Non mi compiaccio di voi, né gradisco l’offerta dalle vostre mani... Mal, 1, 11-14  Dall’Oriente all’Occidente grande è il mio nome fra le genti. In ogni luogo incenso viene offerto al mio nome con un’oblazione pura. Perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore degli eserciti. Eppure voi lo profanate quando dite: ‘La tavola del Signore è impura e l’alimento che v’è sopra è spregevole!’. Voi dite: ‘Oh, che pena!’, e così mi disprezzate, dice il Signore degli eserciti... Maledetto il fraudolento! Dicono: ‘Oh, che pena, che fatica, che lavoro!’, e così disprezzate il sacrificio divino... non onorano né danno gloria al Nome di Dio invocando il lavoro umano di fronte all’offerta del Sacrificio di Dio. Il Signore parla della nefasta meschinità umana di fronte al Santo Sacrificio, per cui si offrono ostie degradate e per giunta con allusioni alla fatica, al  lavoro umano per procurarle».

E’ come se qualcuno offrendo un regalo si riferisse al suo costo.
Se ciò era grave riguardo all’olocausto di animali, che dire del Santo Sacrificio redentore del Figlio di Dio?
Ebbene, nella Messa di Paolo VI è stato inserito nel canone della consacrazione un accenno al «lavoro umano», che, volenti o nolenti, ha posto la fatica umana accanto al dono infinito della Grazia divina.
Tutto fa pensare che quei periti, e vi erano diversi protestanti, hanno esteso a tavolino i nuovi testi liturgici, assillati non solo dall’evoluzione di una «situazione materiale e disciplinare» del momento storico, ma di quello che le trimurti sindacali e i grandi contestatori sociali avrebbero gradito.

Concludendo: non si può capire la questione religiosa senza riconoscere che, siccome non vi è che una verità, c’è solo una religione vera, contro la quale sono schierate insieme tutte le false religioni, sétte, culti e superstizioni.
Molti sono i modi per deviare dal vero o contraffarlo, ma uno è lo spirito che induce a farlo: il ribelle del Volere divino.
In tal senso il fedele di una falsa religione può essere nella via della verità, perché la cerca, più del cattolico che la contesta, perché convinto di possedere il vero.
Cos’altro ha portato i giudei a rifiutare il Messia ieri e i modernisti ad aggiornarLo oggi, se non la convinzione di poterNe interpretare al di là di quanto ha detto e fatto?
Quanto al Culto divino, ricordiamo che le Sacre Scritture insegnano, in modo speciale nel Pentateuco, che Dio «detta» ogni norma e perfino le misure dell’Altare e del Sacrificio e che la Nuova Alleanza sarebbe stata convalidata solo dal Suo stesso Olocausto.
Ecco il Culto cristiano.

Analizzata in tal senso, la pedagogia del Novus Ordo Missae si configura come altra religione o come ribellione al vero?
Ebbene, ciò dipende dalla sua «intenzione».
Se questa si lega alla teoria gnostica (e roussoniana), per cui è proprio la fede nella Colpa originale a causare le guerre e i conflitti facendo dubitare di ogni verità tradizionale, per cui si invoca la storia per produrre esempi nello stesso senso, svanisce, così, la valida intenzione del Santo Sacrificio.
Esso deve essere, allo stesso tempo, propiziatorio, di lode, di ringraziamento, quindi, impetratorio, in quanto nel Sacrificio eucaristico, dopo aver riconosciuto e lodato il supremo dominio di Dio, si impetra l’applicazione ai fedeli dei meriti acquistati sulla Croce.
La Chiesa e il Papato sono stati istituiti per perpetuarne la celebrazione, secondo l’intenzione divina.
In ordine al Santo Sacrificio, però, il pensiero umano è stato condotto dal dubbio alla negazione, da un’altra intenzione, di sapore gnostico, ad una visione apertamente agnostica; ognuno dovrebbe, pertanto, tenere la sua fede per sé, senza volerla diffondere né discutere quella altrui.
In sostanza, la conoscenza della verità non deve interessare più di tanto.
E se questo vale per le questioni spirituali, perché non dovrebbe valere per le altre?
In tal modo, credere in Dio e nell’anima immortale finisce col divenire soltanto una scommessa, un rischio!

Il problema è vecchio come l’umanità che, riciclando i più variegati culti, è giunta nell’era moderna, sotto l’influenza segreta della gnosi e delle sue teologie di redenzione e liberazione universale, a dirottare l’intenzione del culto verso le soluzioni rivoluzionarie della libertà e uguaglianza, della democrazia globale.
Si antepone al momento di contatto con Dio, l’ora di convivio sociale; al silenzio della meditazione, il rumore dei suoni umani; al Verbo divino, le idee religiose; cerimonie che sembrano più umane, ma che si rivelano oltremodo nefaste, perché accantonano il culto del Bene e del Vero a cui ogni anima aspira e che ogni retto pensiero scruta per elevarsi.

Emblematica di questa alienazione religiosa, operata dal Novus Ordo, è la rimozione del Tabernacolo della Presenza Reale dal centro della chiesa verso un angolo più appartato.
Al suo posto hanno messo una sedia!, come ha scritto Nino Badano.
Abbiamo descritto, per quanto possibile, cosa sia e cosa rappresenti l’arcano e moderno «complotto» per sostituire la Chiesa del Sacrificio redentore di Cristo con una segreta controchiesa gnostica di apparenza cattolica.
Dal momento che questa è una operazione oscura, occorre conoscere i termini che l’hanno caratterizzata in modo continuo nel corso della storia, fino ai nostri giorni.
Essi, pur non essendo univoci, sono riconducibili all’attuazione finale della controchiesa, che anima con il culto sincretista l’ecumenismo mondialista ovvero l’altro novus ordo, prometeico, già descritto.
Ci sarebbe da osservare che le rivoluzioni, dalla prima, protestante, alla più recente, comunista, suscitarono quanto è stato qui chiamato «revival», inteso come momento di risveglio, d’entusiasmo collettivo in cui la gente ha la sensazione di vivere un istante magico, di poter prendere in mano la propria liberazione esistenziale, di vivere l’alba di una nuova era contemplando la Luna.
Ciò richiede un rito rinnovato, una sua nuova liturgia.
Poteva avvenire diversamente nel chimerico passaggio dal teocentrismo cristiano tradizionale all’antropocentrismo ecumenista moderno?

Per questa oscura catarsi i suoi iniziati avevano bisogno di un sommo «pastore», di un «papa» che, pur mantenendo ogni devozione personale e morale tradizionale, fosse imbevuto di visioni moderniste, di dottrine rosacruciane, di ideali antroposofici, e similia.
Allora, al primo segno di aggiornamento, effettuato dal nuovo insediato sulla Cattedra di Pietro, le forze mondiali si sarebbero coalizzate per applaudire le «luminose scintille», sprigionate dalla sua «bontà» incomparabile, nonché «saggezza» delle sua apertura alle grandi idee che rendono possibile l’unione religiosa globale, per il progresso dell’uomo e per la pace!
E’ vero che tale gran sacerdote avrebbe dovuto allo scopo accantonare la Fede tradizionale, ma egli sarebbe stato opportunamente formato a pensare che per il gran «bene» dell’umanità sarebbe valsa la pena d’attuare un nuovo sacrificio ecumenistico per suscitare una «nuova Pentecoste»!
In vista di quanto è accaduto dopo la morte di Pio XII, non è lecito supporre che erano questi i nuovi pensieri fumosi, per i nuovi tempi, che
incombevano alla vigilia del decesso di Papa Pacelli?
 
Il Santo Sacrificio e la Profezia di Daniele

Qui si parlò del processo innescato dal movimento litirgico, a sua volta legato all’iniziativa roncalliana ecumenista, che mirava a una religione cristiana omologata alla modernità.
Ma questo processo ha valenza universale, altrimenti come potrebbe essere nella profezia di Daniele ricordata da Gesù (Matteo 24)?
Dice il Signore: «Quando vedrete l’abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo, chi legge comprenda... sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi prodigi e miracoli, da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. Ecco, Io ve l’ho predetto» (Matteo 24).

Vogliono i cattolici finalmente ascoltarLo?
O preferiscono continuare a seguire i lumi del Vaticano II per incorporare «i valori di duecento anni dell’illuminismo» (Ratzinger), il cui ideale era forse cancellare i doveri verso Dio a favore dei diritti umani?
Il dovere di difendere la Fede della Santa Madre Chiesa a favore del diritto ai suoi sacramenti?
Può essere questa posizione, inerte di fronte alla liquidazione dell’autorità cattolica a favore di un’altra, laicista, gradevole a Dio?
Dove sarà la manifestazione finale di questo mistero d'iniquità?

Ci dà un’idea l’emblematico contrasto dei «lumi» della Lumen Gentium con la luce del Sacrificio di amore di Gesù Cristo che «è per la vita spirituale e morale di tutti i popoli del mondo quello che è il sole per la vita naturale della terra» (San Francesco di Sales).
Il Santo Sacrificio perpetuato nella Santa Messa cattolica è la «fortezza del Cielo»; è il «sacrificio quotidiano sospeso mentre sarà eretto l’abominio della desolazione» (Dn 12, 11).
Forse oggi questa sospensione non è un fatto assoluto, ma la desolazione cattolica può essere fatale per quanti non si convertiranno alla difesa della Fede al di sopra d’ogni timore e convenienza.

Arai Daniele



1) Confronta «Mouvement liturgique», abbè Didier Bonneterre, edizioni
Fideliter, 1980.


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