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Napoli produce
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«Gentile Direttore, Le scrivo a proposito dell’ennesima domenica di follia del calcio italiota. Non so se ha sentito la notizia di quel treno in partenza da Napoli divenuto ‘proprietà’ degli ultras.  I passeggeri ‘regolari’, normalmente muniti di biglietto, sono stati costretti a scendere per cedere il loro posto a centinaia di tifosi subumani. Il bello è che era proprio il personale di Trenitalia a consigliare ai normali passeggeri di abbandonare il treno! La solita Italia: i violenti e (deficienti) hanno la meglio sulle persone oneste, con l’avallo delle cosiddette autorità... Personalmente avrei chiamato l’esercito e, piuttosto di darla vinta a quelle belve neandertaliane, avrei preso il treno a cannonate... altro che Bava Beccaris! Grazie. Cordiali saluti.
Luca G.»


Naturalmente si doveva fare come dice lei: far partire il treno, istradarlo su un binario morto un chilometro più avanti già presidiato come si dice da «ingenti forze di polizia» che avrebbero dovuto procedere prima a soffocare con lacrimogeni, e poi a bastonare meticolosamente, da spezzargli le ossa, tutta la teppa che ne aveva preso possesso. In Paesi più civili avrebbero fatto così.

Ma provi a immaginare come avrebbero documentato in diretta i TG serali la «feroce repressione», come avrebbero deplorato i giornali, quali proteste avrebbero elevato le cosiddette «sinistre», e il cardinal Sepe; Famiglia Cristiana avrebbe gridato di nuovo al «fascismo che ritorna». Forse persino al Papa sarebbe stata fatta pronunciare, all’Angelus, una condanna della violenza poliziesca, beninteso insieme a un invito alla «tifoseria sì, ma responsabile».

Dunque non ci resta che la nostra e sua protesta. Quanto sia flebile e vana, lo vede anche lei. Non possiamo che fare qualche vacua riflessione - che lascia il tempo che trova - sulla «produttività» di Napoli.

Chi dice che Napoli non produce? Produce monnezza a tonnellate, e rifiuti umani a squadroni. Chi dice che Napoli non sa organizzarsi, che vive alla giornata? Quell’armata di teppisti tracotanti era organizzatissima nella distruzione e nel sopruso contro i passeggeri; si vedeva che agivano secondo un piano predeterminato, la loro arroganza era deliberata, si sentivano protetti dal numero e dalla loro disposizione ad ammazzare, violentare ed odiare. Altro che napoletani pressapochisti; quelle erano vere SS dell’inciviltà idiota.

Chi dice che Napoli non comtribuisce al benessere nazionale? Contribuisce eccome. Non contenta di essere una città di pregiudicati e disoccupati permanenti, a totale carico della carità nazionale e delle tasse che pagano quelli che lavorano, vuole anche distruggere i beni da noi cittadini pagati - così, tanto per togliersi una soddisfazione, per far vedere chi comanda. Non contenta di non far nulla di utile, vuole ostacolare e devastare le opere di chi fa.

Pensate solo ai turisti stranieri che di certo si trovavano nelle stazioni di Termini e di Napoli; dopo quel che hanno visto e subìto, dopo gli scoppi delle bombe-carta e la guerra ferroviaria, dopo il terrore, credete che torneranno mai più in questo accogliente Paese?

Ecco l’importante contributo di Napoli al turismo, unica industria nazionale da cui potremmo sperare un aumento dei fatturati, e che invece sta calando precipitosamente.

Quelle facce piene di odio, quei quarantenni tatuati e palestrati che volevano solo odiare - e non si sa bene chi, o che cosa, o perchè - mi hanno fatto paura. La paura di una constatazione agghiacciante: se fossero minoranze, non si avrebbe timore di disciplinarli con i metodi adatti. Ma il fatto è che questi teppisti del niente, questi devastatori gratuiti, questi distruttori del lavoro altrui, sono «maggioranza nel Paese». Hanno dalla loro l’immane sistema del calcio-mercato, delle tifoserie, delle camorre unite alle maniche larghe e carità pelose che sono il tono stesso della vita pubblica italiana.

Se sono maggioranza, allora è finita, hanno vinto loro: dove trovare le forze sufficienti per contrastarli, per combatterli e magari picchiarli come meritano? La polizia, l’esercito stesso sarebbero sopraffatti dal numero. E dai loro difensori ideologici.

Lei dirà che esagero, che in fondo i mascalzoni partenopei sono tanti, ma pur sempre minoranza. Ma la invito a considerare la vasta alleanza e complicità, anche inconsapevole,che circonda costoro, e li rende forti.

Napoli ha il 35% della popolazione con la fedina penale sporca; ma giusto per parlare del Nord operoso, anzi del Nord-Est celebrato per la sua imprenditorialità, abbiamo appena scoperto che in un sabato sera, il 47% dei giovani trovati alla guida di un’auto erano sotto effetto plurimo di cocaina ed alcol. Come reprimere, come disciplinare il 47% di criminali idioti pronti all’omicidio colposo? Anche a ritirare a tutti loro la patente, l’effetto è nullo: simili farabutti guiderebbero senza patente, ammazzando e storpiando, e non esiste polizia a sufficienza per controllarli tutti e tenerli a freno.

Mi fa paura che questi, oltretuttto, non si vergognino. Non abbiano nemmeno un barlume di vergogna per la fama che hanno gettato sulla loro città; o per la cretineria di massa che rivelano drogandosi e bevendo fino al coma etilico.

E’ una paura - se mi è concesso un ricordo personale - che provai oltre quarant’anni fa. Ero giovane allora, e parlavo con alcuni giovani romani liceali incontrati in treno. Non so perchè, il discorso cadde sulla necessità, in una società civile, di ordine, il che implica qualche sacrificio della propria individualità, dei propri impulsi. O meglio, ero io che sostenevo questa tesi. Perchè quei giovani negavano, con furia e deridendomi, l’idea stessa che i sacrifici fossero necessari.

Qualunque sacrificio, ogni astensione, ogni padronanza di sè: a che serve? Non ci saranno mai più guerre, non c’è più la penuria di nulla, non c’è più bisogno di astenersi, di rinunciare a niente, di moderarsi, di disciplinarsi. L’idea stessa era, per loro, un superato ascetismo reazionario; o meglio, come dissero, «di destra».

Fu la prima volta che mi sentii definire «fascista». Chi pretende da loro un minimo di decenza e di auto-controllo è «di destra». Antidemocratico.

Oggi, come sappiamo, la «destra» è molto cambiata. Fini la pensa esattamente come quei giovani di allora, perchè si tuffa nelle acque vietate del parco di Giannutri, ed ha messo incinta una velina platinata con cui - da presidente di carica pubblica - si fa vedere in giro. E’ ricco grazie a quel lavoro pubblico di cui viola gli impegni di dignità. Insomma, non si fa mancare niente. E non si sente limitato da alcuna legalità, nè da alcuna vergogna.

Come vede, tutto il teppismo e l’alcolismo al volante, tutta la corruzione arrogante della classe politica, tutta la tracotanza della Casta (gli assessori siciliani si sono aumentati gli emolumenti del 114% in tre anni) vengono da una sola ben precisa pedagogia.

Certi atti che momentaneamente ci agghiacciano - il fidanzato che ammazza la fidanzata perchè vuole lasciarlo, l’orgetta giovanile che finisce in delitto, lo stupro di gruppo, il bullismo scolastico,  la strage di strada in stato di ebbrezza - sono il risultato di una «educazione» - o mala-educazione - che ci siamo impartiti da noi stessi come popolo, con entusiasmo maggioritario: questa idea che nessun sacrificio è più necessario, che possiamo fare «tutto» che ne abbiamo «il diritto», che non esistono doveri nè limiti legittimi. Che è finita per sempre, grazie alla secolarizzazione consumista, l’epoca della vita come povertà e come ascesi, impegno e milizia.

Il che è logico: se non c’è aldilà, tutto quel che ci resta da fare è arraffare, scopare veline (se si può), sballarsi fino all’incoscienza.

Siamo rimasti in pochissimi a sforzarci di essere migliori. A soprassedere a un acquisto che ci piace, a rinunciare alla donna d’un altro, a misurarci nel bere o nel godere, a sacrificare un po’ dell’oggi in vista di un domani di dignità, a studiare per diventare qualcuno. Nè siamo incoraggiati a farlo da nessuna delle agenzie pseudo-educative che dominano lo spazio pubblico.

Anche per questo, tale esercizio diventa ogni giorno più gravoso, più fallimentare; l’atmosfera generale contagia anche noi; solo noi sappiamo quante volte cediamo al peggio, quante ci concediamo ciò che per i nostri nonni era scandaloso e peccaminoso, da vergognarsi. E’ il rifiuto totale, radicale, della vita come dramma e tragedia.

Da quarant’anni almeno, siamo come un popolo in vacanza perpetua da noi stessi. La convinzione che mai saremo malati incurabili, mai poveri, mai agonizzanti e soli; e dunque, che non c’è alcun bisogno di prepararsi, con l’esercizio delle virtù (le buone abitudini) ad affrontare gli inevitabili scacchi, le ingiustizie che subiremo, i rifiuti che incontreremo, le povertà che ci attendono.

L’educazione che io e lei riteniamo vera - perchè la vita non risparmia dolori e impossibilità, non freddo e fame e carcere, non malattia, e dunque il sacrificio si rende «necessario» - è «di destra». Una destra superata che non ha più votanti.

Ora che la fase del consumismo e della pseudo-abbondanza sta crollando, pensate solo a quel che potranno fare le teppe organizzate se dovranno rinunciare alla «trasferta col Napoli», il 47% dei giovani del Nord  se non potranno più permettersi la dose di coca e lo sballo costoso del sabato sera, per non parlare della BMW da schiantare contro una macchinetta di maturi pensionati.

Per questo ho paura per il futuro del nostro Paese.


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