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Chicago 1933: il piano contro la Depressione
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Come quella che sta per cominciare, la Grande Depressione dovuta al crak del ‘29 fu preceduta da un boom speculativo, provocato a sua volta - come oggi - dai tassi d’interesse artificialmente bassi tenuti dalla FED.

Prendere denaro a prestito costava pochissimo; conveniva indebitarsi per comprare azioni a scopo speculativo, o case con mutui facili. Si gonfiarono così - come oggi - bolle speculative azionarie e immobiliari. Come oggi, la crisi fu innescata dallo scoppio delle bolle.

Ne seguì la deflazione dei prezzi (azionari e immobiliari, poi di tutte le merci), e la deflazione fu aggravata dalla contrazione del credito. La moneta d’oggi infatti è essenzialmente debito, la moneta essendo creata ex-nihilo dalle banche col meccanismo del credito: ne consegue che la massa monetaria, che cresce in periodi di ottimismo (boom) diminuisce in periodi di pessimsmo, con effetti destabilizzatori.

Nella grande depressione dei primi anni ‘30, la massa monetaria si contrasse del 30%: e quindi il prodotto interno lordo americano cadde in termini reali del 29%, e la disoccupazione salì al 25%, per fallimenti a catena di banche e d’imprese.

Oggi, la FED e il Tesoro USA pensano di curare il crack speculativo con ulteriori ribassi dei tassi, ossia somministrando in più forti dosi la medicina - credito facile - che ha provocato le bolle e il conseguente crack.

Invece nel 1933 un gruppo di economisti di Chicago propose un piano di riforma che era l’esatto contrario di questa «medicina» e, se fosse stato accettato dalla leadership politica, avrebbe risanato l’economia. Il «Piano di Chicago» fu vivamente raccomandato al governo dal professor Irving Fisher di Yale.

Fisher era il più grande economista americano dell’epoca; fu lui il primo a capire e a spiegare (nel 1911) che il meccanismo del credito porta alla creazione di massa monetaria; è l’uomo che un decennio dopo sarebbe stato, con il britannico John Maynard Keynes, il protagonista dell’ordine  monetario di Bretton Wood.

Un economista ufficiale, non un eretico. Eppure Fisher appoggiò quella proposta rivoluzionaria. Per divulgarla, ci scrisse persino un saggio, «100% Money».

Il Piano di Chicago proponeva che fosse restituito allo Stato il monopolio esclusivo  dell’emissione di moneta; e che fosse vietato alle banche la creazione di denaro o pseudo-denaro, imponendo alle banche l’obbligo di riserva del 100%.

Oggi, le riserve obbligatorie sono ridicolmente basse, anche del 3%. Immaginiamo per semplicità un obbligo di riserva del 10%. Ciò significa (grosso modo) che, quando un risparmiatore deposita sul proprio conto corrente cento euro, la banca con quella «riserva» può concedere fidi e prestiti per 1.000 euro; mille euro che non ha, pseudo-capitale creato dal nulla. Questo consente enormi guadagni indebiti alle banche (che lucrano gli interessi sul denaro che creano dal nulla) ma le rende instabili in modo inerente: se la maggior parte dei depositanti andasse a ritirare i depositi, si vedrebbe che la banca è insolvente.

Con l’obbligo di riserva al 100%, il trucco del credito frazionale non è più possibile, le banche non possono prestare che il denaro che effettivamente hanno in cassa. Sarebbero impossibili anche i trucchi della ingegneria finanziaria, gli schemi a grande leva (debito) che sono la specialità dei fondi speculativi (hedge fund), o la monetizzazione degli strumenti di credito (come la cartolarizzazione, la riduzione dei mutui in coriandoli che vengono esitati qua e là), insomma tutto ciò che ha provocato l’attuale crack.

Il moltiplicatore del credito sarebbe molto più modesto; esso sarebbe determinato non già dalla percentuale di riserva permessa, bensì dalla quantità di risparmio esistente nell’economia.

I lettori più avvertiti noteranno la somiglianza del Piano di Chicago con la riforma bancaria proposta dal Nobel francese Maurice Allais, che infatti ha l’ha studiato a fondo.

Allais, Nobel per l’economia nel 1988, propone la dissociazione dell’attività bancaria con la creazione di tre categorie di banche, distinte e indipendenti:

1) banche di deposito, che garantiscono la custodia dei depositi dei loro clienti, gli incassi e i pagamenti su quei depositi (le spese relative saranno addebite ai clienti per il servizio), con eslusione di ogni prestito (anche i conti dei clienti non potranno comportare uno scoperto);
2) Banche di prestito, che aprono fidi (prestiti) con una data scadenza, con denaro che a loro volta prendono a prestito a termine più breve: s’intende che l’ammontare dei prestiti concessi non potrà superare quello dei prestiti ottenuti, appunto riserva 100 per cento.
3) Banche d’affari che investono in imprese denaro che chiedono direttamente al pubblico, ai risparmiatori; ciò che chiarisce che i risparmiatori stanno partecipando, cooscientemente, ad operazioni a rischio, alla ricerca di più alti frutti (1).

Irving Fisher pensava esattamente ad una riforma del genere. Infatti scriveva: «L’essenza del piano 100%  è di rendere la moneta indipendente dai prestiti; ossia separare il processo di creazione e distruzione di moneta dal business bancario. Un effetto collaterale sarebbe di rendere le banche più sicure e profittabili; ma l’effetto di gran lunga più importante sarebbe la prevenzione di successioni di grandi boom e depressioni, ponendo fine ai cronici cicli di inflazione e deflazione che sono stati sempre la maledizione dell’umanità e che sono nati, in genere, dall’attività bancaria».

Fisher era convinto che questa fosse la salvezza: «Sono giunto a credere che questo piano sia la miglior proposta mai avanzata per risolvere velocemente e in modo permanente i problemi delle depressioni, in quanto abolirebbe le cause sia dei boom, sia delle depressioni».

Come aveva infatti dimostrato scientificamente Fisher (e Keynes era d’accordo) la creazione di moneta dipende dalla doppia volontà di privati: dall’incontro del desiderio di indebitarsi da parte di chi chiede un prestito o un fido, con il desiderio della banca di prestare. In tempi di recessione, queste due volontà, per così dire, si allontanano.

Le imprese, davanti a prospettive di crescita e di profitti minori, hanno meno voglia di indebitarsi (e magari sono già super-indebitate); le banche, strapiene di crediti che stanno andando a male, hanno meno volontà di prestare.

Conseguenza: la massa monetaria cala, peggiorando la tendenza recessiva.

Al contrario, quando la prerogativa di creare moneta torna ad essere esclusiva dello Stato, e sono vietati tutti i sostituti monetari creati dall’ingegneria finanziaria, il controllo della massa monetaria diventa più  facile.  Lo Stato può allargare la massa in tempi di recessione.

Fisher e la scuola di Chicago (quella di allora) proposero una regola fissa per controllare la fornitura di moneta al sistema (2), onde scongiurare decisioni discrezionali della «politica» che tenderebbe ad alluvionare di liquidità per ragioni elettorali o clientelari, creando inflazione. Un altro economista, James Angell, dimostrò che il sistema proposto poteva essere effettivamente imposto ed applicato per legge.

Il Piano di Chicago fu effettivamente discusso durante il dibattito che portò alla Legge Bancaria (Banking Act) del 1935; e il ragionamento effettivamente portò alla separazione per legge fra l’attività bancaria commerciale (depositi e prestiti) e quella speculativa o d’investimento (riservata alle banche d’affari). Ma nel complesso, il piano fu respinto: ovviamente, le banche non volevano rinunciare agli immensi frutti - indebiti - che lucravano creando denaro dal nulla. E i politici stettero dalla parte della lobby bancaria, naturalmente: erano queste a pagare le loro spese elettorali.

Stupisce apprendere che persino Milton Friedman, il monetarista superliberista a cui si fa risalire la fase attuale di finanza senza regole, era a favore della riserva obbligatoria al 100 per cento, e la separazione fra l’attività bancaria di deposito e quella di investimento per l’attività di fidi.

Come Allais, anche Friedman appoggiò un sistema di regole fisse per mantenere la crescita della massa monetaria in linea con la crescita dell’economia reale, anche se per lui era auspicabile consentire un tasso d’inflazione moderato del 2% annuo, come «lubrificante».

Allais è più rigido, in quanto propone la «indicizzazione in valori reali dei rimborsi e degli interessi in base all’indice generale dei prezzi»: non vuole cioè che la speculazione possa approfittare dell’inflazione per spogliare i risparmiatori del potere d’acquisto.

Da anni Allais ha lanciato l’allarme contro le innovazioni finanziarie, come la cartolarizzazioni, i derivati e gli hedge fund speculativi, e ne propone il divieto per legge, perchè hanno solo paurosamente accresciuto il potere delle banche e della finanza di creare e distruggere moneta, con nessun vantaggio per l’economia reale.

Per lui, le Borse, dove si specula in operazioni finanziate con la creazione monetaria dal nulla, devono essere abolite; abolita la quotazione continua (basta una sola quotazione al giorno); aboliti i programmi automatici di vendita e di acqusito; vietate le speculazione sugli indici e sui derivati. Insomma, nè più ne meno, l’abolizione della finanza come la conosciamo. Con quali vantaggi?

Una crescita più moderata ma più stabile; le economie crescono per quanto il tasso di risparmio crescente lo permette. E soprattutto, «l’attribuzione allo Stato, ossia alla collettività, dei profitti provenienti dalla creazione di moneta (signoraggio) andranno destinati alla riduzione delle imposte attuali»:

Insomma: non potremo più comprarci la casa, o l’auto che non possiamo permetterci, nè la vacanza dei nostri sogni, accendendo un mutuo al 100 per cento; dovremo prima mettere da parte  i soldi. Ma in compenso pagheremo meno tasse. E il nostro posto di lavoro non sarà precarizzato.

Naturalmente, oggi non c’è nessuna possibilità che il Piano di Chicago venga accettato e quindi imposto dalle Banche Centrali, a cominciare dalla FED: queste sono ormai serve del sistema bancario, che le paga e ne nomina i governatori. Eppure due economisti notevoli (e con nomi islamici): Hossein Askari docente di Economia Internazionale alla Washington University, e Noureddin Krichene, del Fondo Monetario e consigliere della Islamic Development Bank, consigliano ancora oggi - anzi oggi più che mai - di riconsiderare il Piano di Chicago (3).

Oggi, dicono, la Federal Reserve - attraverso il Federal Open Market Committee - controlla (o pretende di controllare) solo i tassi d’interese. Ma quando fu creato nel 1935 dal Banking Act, la missione del FOMC era il controllo degli aggregati monetari: ossia quanto di più vicino era proposto dal Piano di Chicago, senza «turbare» la speculazione bancaria da credito frazionale.

E di fatto, tra il 1950 e il 1965 la FED controllò direttamente la quantità di moneta, agendo sull’obbligo di riserva bancaria anzichè sui tassi, ossia rialzando o abbassando la riserva obbligatoria che le banche dovevano detenere, così modulando la creazione monetaria privata secondo i bisogni dell’economia reale. Non è un caso che il periodo 1950-65 coincida con la crescita economica continua che in Italia si chiamò «miracolo economico».

Dal 1966, il FOMC abbandonò il controllo della massa - e quindi cessò di mantenere la stabilità finanziaria - e si diede come solo strumento la modulazione degli interessi, imitato da tutte le Banche Centrali. La BCE sta ancor oggi facendo lo stesso, nella vacua speranza di controllare l’inflazione. Ne seguì il prevedibile decennio di boom e recessioni, concluso con la fase invincibile di stagnazione più inflazione.

Nel 1979-82 il governatore della FED, Paul Volker, tornò con misure draconiane a controllare le riserve bancarie (fra gli strilli delle banche e dei debitori) ossia a controllare in modo diretto la massa monetaria: e riuscì a bloccare l’inflazione.

Ahimè, quel successo (pagato a caro prezzo da una generazione) ha ridato fiato alla speculazione più folle, e all’ideologia che la sottende. L’inflazione bassa - e tenuta bassa in modo artificiale - ha creato la convinzione (incisa nelle menti dalla propaganda, ossia dai media) che questa era «stabilità».

Se l’inflazione è bassa, vuol dire che la massa monetaria è sotto controllo: prima bugia. I risparmiatori sono stati convinti che, se i loro depositi non rendevano niente, era perchè i bassi tassi coprivano la perdita del potere d’acquisto dei risparmi: seconda bugia, nota a tutti gli italiani con un conto corrente.

Terza bugia: volete guadagnare di più? Eccovi delle proposte interessanti di «investimento»: Enron, Parmalat, prodotti derivati sofisticatissimi basati sull’indice della borsa vietnamita, sui bond argentini eccetera. Date i soldi a noi, ve li moltiplicheremo.

Ormai, dicono i due economisti dai nomi islamici, «la frequenza e l’intensità della instabilità finanziaria è divenuta schiacciante» e devastatrice: assistiamo a «vaste redistribuzioni di reddito (dai lavoratori ai miliardari: ormai 100 mila persone nel mondo detengono un quarto delle ricchezze mondiali)», «distorsione dei prezzi, gravi rischi del credito e del mercato». Ormai è perfino impossibile fare «ragionevoli previsioni sui prezzi e sulla produzione».

Come fa un imprenditore a pianificare qualcosa, quando il prezzo del barile, che era di 65 dollari nell’agosto 2007, è salito a 147 dollari nel luglio 2008, per ri-precipitare oggi a meno di 100 dollari? E le stesse selvagge fluttuazioni avvengono per materie prime come grani e metalli, per l’oro e i prezzi immobiliari, per non parlare dei tassi di cambio?

Se la speculazione è così folle da aver affondato giganti come Fannie e Freddie e Lehamn e AIG, non è solo colpa dei gestori di queste imprese. «Queste istituzioni finanziarie sono vittime di Banche Centrali che hanno applicato politiche sbagliate».
Queste hanno «giocherellato con i tassi d’interesse nella illusione di stimolare l’economia e l’occupazione (questo vale per la FED; la BCE si illude solo di controllare, attraverso i tassi primari, l’inflazione) ed hanno così creato bolle speculative, super-indebitamento, insolvenze, milioni di pignoramenti immobiliari e, a spese del contribuente, salvataggi che producono inflazione».

Quello che devono fare le Banche Centrali è invece controllare e modulare la massa monetaria, la stabilità è solo questa.

«Oggi più che mai occorre rispolverare il Piano di Chicago», dicono i due economisti. «E con realismo aggiungono: magari non con la sua piena applicazione, ma almeno accogliendo il suo principio di base, ossia la necessità di una politica monetaria stabile basata su regole stringenti».

Il Piano Chicago oppure il Piano Allais: il quale ha sempre richiamato alla necessità, oltretutto, di stabilire un sistema di cambi fissi internazionali, anche se revisionabili; cosa fattibilissima se la creazione di moneta è restituita agli Stati e sottratta ai privati produttori di pseudo-capitale di debito.
La nuova Bretton Wood, insomma.

Possiamo scommettere che il consiglio non sarà accettato?

Le Banche Centrali continuano a gonfiare di liquidtà gli speculatori, quando una semplice legge potrebbe abolirli. Cercano di prolungare ancora un giorno le puntate del gran casinò mondiale.




1) Maurice Allais, «La crise mondiale d’aujourd’hui», che si può leggere sul web qui:
http://etienne.chouard.free.fr/Europe/messages_recus/La_crise_mondiale_d_aujourd
2) «These indicators were fixed quantity of money M, fixed turnover MV, where V is the velocity, fixed price level, or fixed rate of increase in money supply in line with economic or demographic growth. The choice of any of these indicators would enable the government to control money supply and avoid booms and depressions endemic to the banking system that we have today».
3) Hossein Askari, Noureddin Krichene, «Dust-off the Chicago Plan»,  Asia Times, 17 settembre 2008.


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