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Comincia il Goldman’s Reich
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Un bellissimo gioco di prestigio: Goldman Sachs e Morgan Stanley diventano normali banche (1). Voilà: in America, non esistono più banche d’affari speculative. Lehman Brothers è fallita, Merrill e Bear Stearns si sono vendute a banche commerciali.

Le ultime due, Goldman e Morgan - i due grandi vascelli da corsa, protagoniste - hanno fatto domanda alla FED per un posto nella scialuppa di salvataggio del Titanic che hanno appena affondato.

Non è bellissimo? Mai più fusioni-acquisizioni, mai più spericolati leveraged-buy-out, mai più emissioni di confezioni sub-prime e prodotti strutturati di distruzione di massa; ora Goldman, con Morgan, giura di voler rilasciare libretti di risparmio, accettare depositi e fare piccoli prestiti.

I due grandi pirati superstiti diventano banche per uno scopo ovvio: accedere ai fondi del prestatore d’ultima istanza, cui prima (in teoria), in quanto non-banche,  avevano sbarrato l’accesso. In cambio, dovranno accettare le regole cui sono soggette le banche, fra cui i limiti entro cui possono indebitarsi.

Lehman, prima di fallire, aveva un rappprto debito-capitale da 30 a 1, ossia aveva preso in prestito 30 dollari per un dollaro di capitale proprio. Una banca commerciale come Bank of America ha un rapporto di 11 a 1; Citigroup 15 a 1.

Goldman Sachs è indebitata 22 volte il suo capitale, Morgan 30 volte. Proprio perchè potevano indebitarsi tanto, i loro profitti erano multipli di quelli delle banche regolari; ma ormai i profitti multipli li hanno tutti incamerati, e nel nuovo clima, chi farebbe ancora credito a Goldman e Sachs come prima?

«E’ la fine di Wall Street  come la conosciamo», strilla il Wall Street Journal. Nuriel Roubini (il docente dell’Università di New York) più precisamente dice: è una fine, che è l’inizio di un altro regime. E la autoliquidazione del «sistema bancario-ombra», del «mercato da 10 trilioni di dollari cresciuto al di fuori del business bancario tradizionale senza adeguata provvista di capitale». Adesso la Federal Reserve «è obbligata a diventare il soccorritore di ultima istanza di istituzioni non-di-deposito, che dunque non sorveglia nè regola». Con ciò, «La FED si accolla un rischio di mercato e di credito di entità sconosciuta» (2).

E conclude: «Non è compito della FED salvare dal fallimento istituzioni insolventi che non sono banche. Se deve proprio  farlo, questa è politica fiscale, che deve essere decisa dal Congresso, e dopo che gli azionisti principali sono stati spazzati via e i senior manager licenziati senza miliardi di liquidazioni d’oro».

Ecco il bello del nuovo gioco di prestigio: Goldman Sachs, ancora a dicembre, vantava profitti-record, che la FED non le chiede - ora che è una banca «normale» - di restituire. Nè chiede ai due co-presidenti, Gary Cohn e Jon Winkelried, di sputar fuori il bonus da 52 milioni di dollari ciascuno che si sono dati pochi mesi fa, in aggiunta al loro stipendio (600 mila dollari annui, modesto come quello di un assessore siculo). Nè richiede la restituzione dei «bonus» ai dipendenti, che ammontarono a dicembre a 20 miliardi di dollari (in media, 600 mila a testa: ma la divisione non era certo egualitaria). Quelli se li sono tenuti, perchè prima erano pirati e lupi; oggi sono agnelli, e tornano all’ovile dei prestiti garantiti dal contribuente (3).

Sicchè, Roubini mette il dito sulla piaga vera: questa non è «la fine di Wall Street». E’ la fine dello Stato di diritto, anzi del sistema costituzionale repubblicano, di ciò che chiamiamo «democrazia americana».

L’ha sostituita un golpe delle banche d’affari. Lo possiamo chiamare Goldman’s Reich.

Come nota Roubini, tutte le azioni d’emergenza prese da Ben Bernanke e dal ministro del Tesoro Paulson per salvare i banchieri-ombra dovrebbero essere approvate dal Congresso. Ma il Congresso, come un’ombra, ha ascoltato i due ed ha dato l’assenso per poi squagliarsi letteralmente; chiude il primo ottobre, e non tornerà ad operare davvero che dopo le presidenziali. A governare l’emergenza è il duumvirato, o meglio la junta Bernanke-Paulson.

I nostri lettori possono vedere qui applicato, in tutta la sua tremenda concretezza, il detto di Carl Schmitt: «Sovrano è chi decide lo stato d’eccezione».

Secondo la Costituzione USA, il sovrano è il popolo, che esercita la sovranità tramite i suoi eletti, i parlamentari e il presidente: ma in questo frangente, la finzione costituzionale repubblicana è caduta. Nell’implosione imminente del sistema finanziario, parlamentari e presidente non fanno che controfirmare, dando legalità formale, le decisioni della junta.

Sono i due ad esercitare la sovranità, a decidere ciò che va fatto nello stato d’eccezione. E infatti - come veri sovrani, mica burattini «democratici» - stanno violando ogni norma, ogni legge, ogni consuetudine legale, per non dire ogni presunta moralità del «liberismo di mercato».

La Banca Centrale dovrebbe salvare solo le banche commerciali, fornendo liquidità contro i ritiri in massa di depositi, e garantendo i depositi fino a 100 mila dollari. Invece, la FED ha salvato un’assicurazione (la AIG) e una finanziaria speculativa, la Bear Stearns, che il liberismo di mercato avrebbe dovuto lasciar fallire.

Poi hanno impegnato almeno 700 miliardi di dollari dei cittadini americani, contribuenti attuali e futuri, per creare il Resolution Trust che dovrà accumulare gli attivi tossici di cui il sistema bancario-ombra (e quello «normale») si sono riempiti.

Infine, prendono per buona la trasformazione di Goldman e Morgan in banche commerciali: tempo cinque giorni - tanto dura legalmente la metamorfosi da Lupo Cattivo a Cappuccetto Rosso - quelle potranno risucchiare quanti soldi vogliono dallo sportello di sconto della Federal Reserve.

Quanto? Si può solo indovinare. Perchè è indubbio che Goldman Sachs, per risolversi a un tale passo, deve avere buchi spaventosi nascosti fuori-bilancio. Lehman, la banca d’affari lasciata fallire, ha lasciato debiti per 600 miliardi di dollari, 400 miliardi di euro.

E’ stato notato che, per confronto, il debito dello Stato italiano, 105% del PIL, è 1500 miliardi di euro; dunque la più piccola banca d’affari ha lasciato un debito non pagato pari a un quinto di quello di uno dei sei-sette Stati industrializzati del mondo.

Goldman Sachs è almeno quattro volte più grande, il suo debito deve far impallidire quello italiano: ora, da privato, diventa debito pubblico, aggiunto a quello americano.

Il cambio di cappello (da banca d’affari a istituto di credito) ha anche un altro vantaggio per Goldman e Morgan: possono, ciò che prima era vietato, comprare banche normali. Banche vere, con sportelli e depositi dei risparmiatori. Sono quelli a cui puntano, ai soldi dei risparmiatori; e dato il crollo azionario, faranno incetta di banche sane a prezzi di sconto.

E la «Junta» glielo lascia fare. Anzi è lì per questo: non a caso, il ministro del Tesoro Paulson è stato capo della Goldman Sachs.

Come si vede, il nuovo Sovrano americano non eletto può permettersi tutto: infischiarsene di mostruosi conflitti d’interesse che porterebbero sotto processo (o sotto impeachment) ogni politico eletto, e imbastire un colossale azzardo morale tutto e solo a favore degli speculatori.

Questo è infatti il Resolution Trust. La speculazione, il sistema-ombra, ha creato prodotti (finanziari) che oggi nessuno vuole comprare, e quindi hanno prezzo zero; il Resolution Trust si sostituisce al mercato e compra - o meglio, obbliga i contribuenti a comprare - ad un prezzo che è sempre superiore a zero, allo scopo di mettere in tasca agli speculatori denaro liquido. Con il sottinteso: sopravvivete, e appena possibile, ricominciate il gioco. La prova?

Dopo la crisi del ’29 una legge, la Glass-Steagal Act, divise l’attività finanziaria in bancaria e speculativa, vietando alle banche noromali di possedere banche d’affari o di comportarsi come tali, rischiando il denaro dei depositanti. La Glass Steagall Act è stata praticamente cancellata nell’82.

Le «soluzioni» presunte terapeutiche operate dalla giunta finanziaria d’emergenza vanno in direzione esattamente contraria: ora le banche commerciali sono tutt’uno con le banche d’affari; e queste ultime sono coperte dalle garanzie pubbliche prima riservate alle prime.

E peggio: nessuno dei colpevoli viene punito, spogliato delle sue ricchezze indebite, messo sotto accusa. Anzi, i colpevoli governano attraverso i loro due fiduciari, accaparrandosi sussidi che in un New Deal dovrebbero andare ai poveri, ai disoccupati, ai pensionati di cui hanno incenerito le pensioni.

Goldman Sachs governa lo stato d’eccezione. Con poteri assoluti, che sospendono la costituzione, scavalcano il parlamento, e riducono il presidente a un figurante che dice sì. E tutto per salvare se stessi e la propria ricchezza rubata.

Perciò non si deve lasciar passare quel che dicono oggi i giornalisti servili: torna l’intervento pubblico in economia, in USA è in corso la nazionalizzazione del sistema, in fondo il Resolution Trust è come l’IRI.

Ma quale IRI, per favore. L’IRI incamerò banche e aziende e le gestì direttamente, onde risanarle e mantenerle vive nella Grande Depressione anni ’30; i gestori furono funzionari pubblici egregi; il Resolution Trust è solo un fondo, non un ente di gestione: è la pattumiera dei tossici. Chi li ha prodotti resta al potere nelle banche-lupo diventate banche-agnello.

L’IRI, inoltre, per comprare aziende da sanare - di fatto abbandonate dai capitalisti privati, incapaci - emise obbligazioni, insomma chiese denaro al risparmio, pagandogli un interesse; la Junta Goldman sequestra il denaro per il Trust dalle tasche dei cittadini, con la pressione fiscale di cui s’è impadronita.

L’IRI fascista, come l’economia hitleriana e (meno) il New Deal di Roosevelt, misero in mora, ed opposero ideologicamente, il sistema capitalista senza freni, che aveva portato alla crisi del ’29. La Giunta Goldman ha preso il potere per «conservare» il sistema contro ogni spinta popolare che lo minacci.

Lo scrive a chiare lettere il Telegraph: «La paura era che una crisi così simile al grande crack del ’29, potesse annunciare una ripetizione della Depressione degli anni ’30, con il desiderio di punire le banche e di rigore di bilancio, con la spinta (popolare) al protezionismo, all’autarchia, al fascismo. Ma questa volta i banchieri centrali hanno capito la lezione».

Insomma, la giunta degli speculatori prende il potere per prevenire che lo prenda il «fascismo» popolare. Un golpe preventivo.

E per constatare quanto sia umiliata la politica cosiddetta «democratica» dal nuovo Sovrano di fatto, basta vedere dove sono finiti i due candidati presidenziali: nelle pagine di gossip.

Essi vagano per l’America, senza proporre alcuna soluzione, senza azzardare un giudizio sulle azioni della junta Paulson-Bernanke, anzi balbettando assenso e vacuo gradimento. Tengono discorsi elettorali del tutto irrilevanti, qualunque cosa dicano. Il potere è altrove.

Da quei due non uscirà nessun Roosevelt.




1) Krishna Guha, «Goldman, Morgan Stanley to become regular banks», Financial Times, 22 settembre 2008.
2) Nouriel Roubini, «The shadow banking system is unraveling», Financial Times, 21 settembre 208. Roubini ha previsto con due settimane d’anticipo che anche Goldman e Morgan, le due ultime banche d’affari rimaste vive, sarebbero scomparse facendosi comprare da banche commerciali, o trasformandosi in istituti di credito.
3) Martin Sullivan, presidente della AIG, la compagnia assicurativa salvata (contra legem) dalla FED, l’anno scorso ha ricevuto compensi pari a 14,3 milioni di dollari. James Caynes, presidente esecutivo della defunta Bear Stearn, ha ricevuto 38,3 milioni di dollari. Richard Fuld, il capo della fallita Lehman Brothers, nel 2007 aveva preso 34,4 milioni di dollari. Daniel Mudd, responsabile della salvata Fannie Mae, 1,3 milioni di dollari. Lloyd Blankefin, capo supremo di Goldman Sachs, l’anno scorso ha preso quasi 70 milioni di dollari fra stipendi, bonus e stock options.


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