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I miti agnelli di Sion
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Centinaia di estremisti talmudici hanno assediato la casa di una famiglia araba nella cittadina di Akka, e cercato di linciare la famiglia Sha’aban che vi abita. La colpa della famiglia - che nella cittadina costiera, di popolazione mista, abita in un settore prevalentemente ebraico - era di «aver violato la santità dello Yom Kippur», in quanto avevano acceso il motore della loro auto (1). Lo Yom Kippur, infatti, è il giorno della penitenza, quando agli ebrei è proibito lavarsi, mangiare, avere rapporti sessuali, indossare scarpe di pelle, e ovviamente guidare.

«Gli estremisti pretendono che anche noi musulmani osserviamo lo Yom Kippur, e vogliono impedirci di condurre la nostra vita consueta da giorno feriale», ha detto Jamal Adham, uno dei tanti malmenati e feriti dai piissimi agnelli di Sion. Per loro, la festa è importantissima.

Nel Kippur infatti  le eterne vittime innocenti e perseguitate recitano il Kol Nidrè, la preghiera in cui si esentano in anticipo dal rispettare ogni contratto che stipuleranno nell’anno: «Tutte le promesse, i voti, gli impegni, i giuramenti ... che potremo aver pronunciato, o per i quali potremmo esserci impegnati, siano cancellati, da questo giorni di pentimento, fino al prossimo, la cui venuta attendiamo con gioia, in cui ci pentiremo».

Il pentimento celebrato consiste dunque nel pentimento preventivo di comportarsi con lealtà; i miti fedeli si assolvono da ogni obbligo, anche commerciale, e umano in genere (2). Gli arabi, che in quel giorno di alta spiritualità se ne vanno in giro per gli affari loro come niente fosse, offendono le anime pie giu**che.

Ad Akka, come ha spiegato un membro del consiglio comunale di nome Ahmed Odeh, i violentissimi disordini sono nati perchè i pii agnelli volevano imporre anche ai musulmani un coprifuoco totale in quel santo giorno. Odeh aveva ricevuto l’impegno della polizia israeliana che la città sarebbe rimasta aperta e la libera circolazione dei non-j** sarebbe stata assicurata.

Ma con sua gran sorpresa, il giorno della bella festa in cui gli ebrei si pentono di pentirsi, ha scoperto che tutte le strade di uscita e di entrata ad Akka, anche l’accesso alla città vecchia dove vivono tutti arabi, erano stati bloccati. E la promessa della polizia? Kol Nidrè. Del resto, a bloccare gli accessi con posti di blocco era un istituto privato di vigilanza, assoldato per la bisogna.

Non solo: quando qualcuno della famiglia Sha’aban ha fatto l’atto di mettersi al volante dell’auto familiare, decine di spirituali l’hanno bersagliata con sassate; poi, «un migliaio» di piissimi agnelli, sostenuto da forze di polizia in equipaggiamento anti-sommossa, ha assediato la casa della famiglia araba, cercando evidentemente il linciaggi: al grido di «Mabet le Arabim», ossia morte agli arabi.

A quel punto una quantità di giovani arabi hanno cercato di accorrere dai quartieri vicini per proteggere gli Sha’aban e venire alle mani coi talmudici; respinti dalla polizia Kol Nidrè con manganellate e gas (molti i feriti), si sono sfogati distruggendo auto e spaccando vetrine dei negozi ebraici.

Ad Haaretz, il capo della polizia locale, Avi Edri, ha detto che all’inizio si è trattato di un isolato «alterco», poi ampliatosi per l’intervento di «bande  giovanili arabe e ebraiche». Ed è diventato «un gravissimo incidente». In realtà, gli «animali parlanti» palestinesi erano stati messi in gabbia già qualche giorno prima.

Si celebrava infatti Rosh Ashanà, festa nazionale ebraica ed ora anche americana (a quando l’obbligo nell’Italia noachica), e «per tre interi giorni l’esercito israeliano ha chiuso tutti i posti di blocco ai palestinesi, compresi quelli attorno a Gerusalemme», scrive Joharah Baker, una israelo-americana: «ciò significa che anche i palestinesi dotati di permesso d’entrata in Israele sono stati respinti».

Il guaio è che la santa festa talmudica coincideva con Eid al Fitr, la fine del Ramadan, un giorno in cui gli arabi si dedicano a visitare parenti e amici. E praticamente tutti i palestinesi che hanno (ancora) il permesso di abitare a Gerusalemme hanno parenti  in Cisgiordania: quest’anno non hanno potuto farlo (3).

Pazienza. Israele aveva annunciato che il blocco sarbbe stato levato la notte del primo ottobre; siccome è ancora la festa del parentado musulmano (che dura tre giorni), migliaia di palestinesi si sono ammassati ai posti di blocco a mezzanotte, fidando nella parola ebraica. E invece... Kol Nidrè! Il glorioso Tsahal s’era pentito della promessa.

«Se non fosse per mia personale esperienza», scrive Joharah, «avrei detto che i palestinesi esagerano. Invece mi sono trovata al minaccioso posto di blocco di Qalandiya, o meglio a mezzo chilometro, avanzando di qualche metro ogni mezzo’ora (il posto di blocco non si vedeva nemmeno). Un amico che ha resistito due ore nella fila è solo arrivato al gruppetto di soldati israeliani indifferenti che gestivano la barriera, solo per sentirsi dire di andar via e tornare l’indomani».

Così è chiaro: i musulmani devono rispettare le feste ebraiche chiudendosi in casa, gli ebrei non devono rispettare le feste musulmane. E’ la giustizia talmudica, il cui simbolo non è la bilancia. Cambiamo Paese.

Yemen: il 17 settembre scorso, qualcuno lo ricorderà, un attentato terroristico avvenne nella capitale Sanaa, contro l’Ambasciata USA. Ci furono 18 morti, per lo più tra passanti e guardie di sicurezza. L’orrendo attentato fu rivendicato da un gruppo chiamato «Islamic Jihad», che proclamò la sua affiliazione con Al Qaeda.

«Noi, jihad Islamica», suonava la rivendicazione, «appartenente alla rete di Al Qaeda, ripetiamo la nostra richiesta al (presidente yemenita) Ali Abdullah Saleh di liberare i nostri fratelli detenuti entro 48 ore».

Ebbene: alcuni dei terroristi sono stati arrestati già una settimana dopo l’attentato, fra cui il loro capo, Abu Al-Ghaith al-Yamani. Ed ora, il presidente dello Yemen ha pubblicamente denunciato che «i sedicenti estremisti islamici  sono collegati con l’intelligence israeliano» (4). Ed ha promesso che il processo porterà alla conoscenza generale tutti gli indizi di questo collegamento.

Chissà, un bell’attentato islamico con strage di diplomatici USA poteva costituire una decente october surprise per favorire McCain. Igal Palmor, portavoce del ministero degli Esteri israeliano, s’è affrettato a definire «ridicola» l’uscita del presidente dello Yemen.

«Credere che Israele possa creare cellule islamiste in Yemen», ha detto, «è un’altra vittoria dei complottisti». Ah, questi complottisti. Come si fa a dubitare degli agnelli di Sion, nei giorni della loro festa più sacra? Nel giorno del Kol Nidrè?

Anche se nel 2005, al nostro amico Wayne Madsen, ben informato ex-agente del NSA con tanti amici nei servizi di vari Paesi, raccolse le dichiarazioni di Pierre-Henry Bunel, già dirigente dei servizi francesi in Giordania: «La verità è che non esiste un’armata o un gruppo terrorista chiamato Al Qaeda, e ogni agente dell’intelligence lo sa. C’è una campagna di propaganda per indurre il pubblico a credere alla presenza di una entità diabolica, sì che i telespettatori accettino una guida unificata internazionale per la guerra al terrorismo» (5).




1) «Jewish extremists attempt pogrom against arabs in Akka», Associated Press, 9 ottobre 2008.
2) Come attesta il Talmud, trattato Nedarim, 23a-23b: «E colui che desidera non sia valido alcuno dei suoi impegni presi durante l’anno prossimo, che si alzi all’inizio dell’anno e dichiari: ogni voto che io farò sia nullo».
3) Johara Baker, «We should all celebrate Rosh Hashanah», Palestine Think Tank, 6 ottobre 2008.
4) «Yemen seizes Israel-linked cell», BBC, 7 ottobre 2008.
5) Wayne Madsen «Al Qaeda - The Database», WayneMdsen Report, 18 novembre 2005.
«Shortly before his untimely death, former British Foreign Secretary Robin Cook told the House of Commons that ‘Al Qaeda’ is not really a terrorist group but a database of international mujaheddin and arms smugglers used by the CIA and Saudis to funnel guerrillas, arms, and money into Soviet-occupied Afghanistan».


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