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Vaticano ed ebraismo
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A) Sotto il pontificato di Leone XIII, «La Civiltà Cattolica», dietro ordine del Papa stesso, si occupò, per circa venti anni (dall’inizio del 1880 alla fine del 1890), della soluzione della questione ebraica, che aveva causato, secondo Papa Pecci, la rivoluzione e la secolarizzazione della società cristiana, partendo dalla Francia (1789) e arrivando sino a Roma (1870).
Leone XIII in persona rivedeva e correggeva, assieme alla Segreteria di Stato vaticana, gli articoli della prestigiosa rivista dei padri gesuiti.

Il primo articolo sulla questione ebraica è del 1884, a cura di padre Raffaele Ballerini, nato a Medicina in provincia di Bologna il 17 maggio 1830, morto a Roma il 14 gennaio 1907; ricevette da Pio IX, di cui era intimo amico, l’incarico di scrivere le memorie dei primi anni del suo Pontificato, permettendogli di consultare documenti segretissimi.
Il secondo articolo appartiene al padre Giuseppe Oreglia Di Santo Stefano (1); questi due primi articoli non hanno un titolo specifico, ma sono accorpati nella rubrica «Cronaca contemporanea».
Il terzo, ancora del Ballerini (1890), è intitolato «Della questione giudaica in Europa».
Il quarto (1893) di padre Francesco Saverio Rendina (1827-1897, amico personale e stimatissimo da Leone XIII), «La morale giudaica».
Il quinto, ancora del Ballerini (1897), «La dispersione d’Israele pel mondo moderno».

Secondo la Santa Sede e «La Civiltà Cattolica», esiste un problema ebraico.
Esso va cercato nella contraddizione tra l’Antico-Nuovo Testamento e il moderno giudaismo talmudico.
Tra la fede mosaico-cristiana e il rabbinismo farisaico.
Tra la morale naturale-cristiana e quella giudaico-rabbinica.
Il giudaismo post-biblico costituisce un popolo speciale, non assimilato e non assimilabile, il quale pretende di essere una razza superiore cui compete il pieno diritto di possesso sul mondo intero ed entra, quindi, in lotta contro tutti i popoli del mondo, ma specialmente contro il cristianesimo.

La soluzione pratica di questo problema non può essere, secondo il Vaticano, quella dell’odio (deportazione, persecuzione, violenza), ma quella che ha ispirato la civiltà cristiana da Costantino, Teodosio e Giustiniano, sino alla rivoluzione francese; ossia la «segregazione caritatevole» del popolo ebraico, tramite una legislazione che promulghi «leggi speciali», atte a reggere e governare il giudaismo come forestiero pericoloso e potenzialmente nemico in terra cristiana, bisognoso di un «freno speciale» che permetta ai non-ebrei di essere lasciati in pace e agli ebrei stessi di poter vivere tranquilli, senza suscitare reazioni, talvolta anche violente e brutali, al loro strapotere e sete di dominio. Le «leggi restrittive» proteggono anche gli israeliti dalla reazione certe volte eccessiva del popolo cristiano.

Non è lecita, dunque, sempre secondo il Vaticano, l’emancipazione, la parificazione, la libertà piena (civile, politica e religiosa) del popolo ebraico, concetti che sono la quinta essenza dei «diritti dell’uomo», dei «princìpi moderni» del 1789 e della costituzione degli USA, essi hanno disarmato la cristianità nell’autodifesa dai suoi nemici, aprendo a loro la porta della fortezza della civiltà europea.
Sino a che i principi della rivoluzione francese/anglo-americana e del liberalismo (che fa della libertà un assoluto, un fine e non più un semplice mezzo per cogliere lo scopo proprio dell’uomo)
non saranno rimossi, non è possibile una restaurazione della civiltà cristiana e una sua liberazione dal giogo talmudico.

Non è lecito dire «morte agli ebrei, ma fuori gli ebrei», che vivano pure, ma «separati da noi», concludeva la «La Civiltà Cattolica».
Non è lecita una soluzione finale fisica, ma è opportuna una «soluzione definitiva legislativa»; quella geografica, oltre a dover essere fatta umanamente, è pericolosa, poiché se fossero segregati tutti in un’unica nazione (già il Beato Duns Scoto francescano, nel 1300, pensava di inviarli tutti nel Madagascar) si rischierebbe di creare altri problemi (come è avvenuto in Palestina nel 1948) e di renderli ancora più nocivi per il mondo intero.
L’unica strada è, dunque, quella di «leggi restrittive e speciali», che (umanamente e senza ledere la carità), tolgano, con giustizia, senza odio e violenza, l’uguaglianza civile e politica al giudaismo.

B) Sotto il pontificato di Pio XI, «La Civiltà Cattolica» ritornò sull’argomento ebraico, con vari articoli: nel 1934 «La questione giudaica e l’antisemitismo nazionalsocialista» di padre Enrico Rosa s.j. [nato a Selve Marcone diocesi di Biella, il 17 novembre 1870; morto a Roma il 26 novembre 1938. Direttore de «La Civiltà Cattolica», aveva una rara formazione umanistica, un orientamento sicuro in campo filosofico e teologico; fedelissimo alle direttive del sommo Magistero, nei primi trenta anni del XX secolo divenne un leader molto ascoltato per sapere il da farsi nelle situazioni più spinose; confronta «Enciclopedia Cattolica», volume X, col. 1338];
nel 1936 «La questione giudaica» di padre Mario Barbera s.j. [nato a Mineo in provincia di Catania il 17 aprile 1872; morto a Roma il 5 novembre 1947; dotato di raro equilibrio, competenza e visione chiara, è stato uno dei più autorevoli scrittori di questioni pedagogiche; confronta « Enciclopedia Cattolica», volume. II, col. 824]; nel 1937 «La questione giudaica e il sionismo» dello stesso Barbera, come pure «Intorno alla questione del sionismo», nel 1938, del medesimo padre gesuita.
Padre Rosa sosteneva che occorreva «restringere la preponderanza ebraica» nella società, scorgeva nell’antisemitismo pagano-germanico l’odio contro la Roma dei Papi più che contro Israele, criticava (profeticamente) l’ipotesi del trasferimento degli ebrei in Palestina, poiché esso avrebbe preparato «giorni torbidi alla Palestina»; specificava che il problema ebraico andava affrontato con precisione, equilibrio, senza esagerazioni e pressappochismo, che avrebbero giovato alla tesi di coloro che sostenevano essere il complotto giudaico una montatura, frutto di fissazioni maniacali o uno stereotipo figlio di pregiudizi inveterati.
L’esito di tale campagna esagerata e fanatica «non sarebbe stata la soluzione del problema giudaico, ma una catastrofe».

In realtà, i gesuiti avevano visto bene: la vera «catastrofe» della seconda metà del XX secolo è proprio il culto della «shoah», parola ebraica che significa «catastrofe» (in base alla quale si giustificano tutti i crimini commessi dal sionismo contro la Palestina e dagli USA contro il mondo arabo non allineato a Israele), ma che è stata tradotta come «olocausto», per assurgere anche a dignità di religione che dovrebbe e vorrebbe rimpiazzare il Sacrificio olocaustico (= distruzione completa della vittima, sino alla morte e alla sepoltura) del Verbo Incarnato.
Inoltre, oggi è diventato molto difficile parlare di complotto giudaico, data la superficialità (tranne la corrente scientifica dell’esimio professor Nicola Pende) con cui negli anni Quaranta, se ne parlò a proposito e a sproposito.
Ogni eccesso è un difetto.

Padre Barbera scandagliava (nel suo primo articolo) il predominio giudaico sull’alta finanza iper-liberista (2) (più che sul capitale rurale o industriale) e sull’Internazionalismo comunista, due facce della stessa medaglia materialista del primato dell’economia.
Egli passava, quindi, alla soluzione pratica dell’annoso problema ebraico, escludendo:

1) l’assimilazione, come impossibile, data la inassimilabilità del giudaismo, che era nelle nazioni cristiane che lo ospitavano come l’olio in mezzo all’acqua, il quale pur stando nell’acqua non si mischia con essa, ma ne resta sempre separato e distinto;
2) il sionismo, data la riluttanza degli arabi a lasciarsi spossessare della Palestina; la esiguità del territorio palestinese ad accogliere tutti gli ebrei del mondo, e lo scarso entusiasmo degli ebrei americani a lasciare «l’America» (terra «materialmente santa» e soprattutto ricca) per una terra povera e piccola (anche se «spiritualmente» promessa).

«Restava, dunque, solo la soluzione tradizionale della ‘restrizione giuridica delle libertà del giudaismo’, tramite il ghetto e le leggi speciali di difesa del popolo cristiano, messa in pratica dal codice di Giustiniano e vigente sino alla rivoluzione francese. Occorreva , pertanto, trattare gli ebrei come un popolo straniero, nemico e pericoloso per l’identità della patria e della religione cristiana».

Abiurare e combattere tutti gli errori filosofici (umanesimo, illuminismo, comunismo) che avevano reso l’Europa cristiana schiava del talmudismo.
Ricostruire, infine, la società cristiana, restaurandola e instaurandola, contro le insidie della rivoluzione e dell’empietà giudaica.
Ideale difficilmente realizzabile in un’Europa laicizzata, ma non impossibile sino agli anni Trenta.

Nel suo secondo articolo del 1937, padre Barbera, specificava che «la soluzione del problema ebraico (naturalmente parlando) non poteva essere quella dell’eliminazione fisica, neppure quella della deportazione forzata e violenta, restava solo la ‘segregazione umana e caritatevole’, tramite apposita legislazione» (sulla quale dal V secolo si era formata la Cristianità europea), attendendo, soprannaturalmente parlando, la conversione di Israele a «Colui che ha trafitto», come Zaccaria (XII, 10) aveva vaticinato.
Solo questa sarebbe stata la vera, finale e definitiva soluzione del problema.

Nel suo terzo articolo, del 1938, il Barbera, si concentrava sul sionismo, mettendo in luce la sua doppia equivocità, come nazione e come religione.
In quanto nazione, Sion era equivoca, poiché, al tempo stesso, è se stesso (Stato nazionale d’Israele) e altro da sé (le nazioni che lo ospitavano, nel mondo).
In quanto religione, il giudaismo era stata l’unica vera religione, ma dopo il deicidio era diventata una contro-chiesa, la sinagoga di Satana (Apocalisse II, 9), corrotta dal talmudismo rabbinico-farisaico, essenzialmente anticristiano e anticristico.
Questa è la grandezza (passata) e la miseria (presente) del giudaismo religione.
Data l’ambivalenza del giudaismo, la soluzione del problema palestinese e sionista, era - secondo padre Barbera - «unicamente la partenza degli ebrei dalla Terra Santa» che già nel 1917 (Balfour) e 1922 («Libro bianco») avevano cominciato a mettere piede in Palestina con l’avallo ufficiale di
Gran Bretagna e ufficioso degli USA.

Infine, quando Mussolini, nel 1938, promulgò le leggi razziali, padre Rosa scrisse un articolo
«La questione giudaica e la Civiltà Cattolica», in cui ribadiva che il giudaismo aveva manovrato la Rivoluzione Francese e la Massoneria per spodestare la Chiesa di Cristo e secolarizzare la Cristianità; che la totale libertà ed eguaglianza civile, concessa dal liberalismo al giudaismo, era dannosa sia per gli ebrei che per i cristiani, dacché «la strapotenza alla quale il diritto rivoluzionario ha elevato gli ebrei, in realtà scava sotto i loro piedi un abisso, pari nella profondità all’altezza alla quale erano assurti».

Mai previsione fu tanto vera, e cosa mai bisognerebbe dire oggi?
L’altezza e pienezza di potere raggiunta dal giudaismo attualmente fa venire le vertigini se si pensa all’abisso che si sta aprendo (in ogni continente del mondo) per inghiottirlo, «rispetto al quale» quello del 1942-45 è soltanto una relativamente piccola falla.
La Santa Sede non criticava (come ho scritto nell’ultimo articolo «Razza e razzismo») la legislazione fascista (come l’aveva prospettata Nicola Pende) in quanto auto-difesa dal pericolo giudaico (anzi ne vedeva i numerosi lati positivi di preservazione dei popoli cristiani), ma in quanto «razziale», biologica e «tendenzialmente» materialista (quella parte di essa voluta da Landra-Almirante-Interlandi), anche se diversa da quella germanica che era «formalmente» materialista.
Occorreva, per «La Civiltà Cattolica», «un richiamo alla vigilanza e alla difesa», pacifica sì, ma efficace e non pacifista o utopistica [quando i cristiani erano ancora tali e non «cretini» come il (post) Concilio li ha resi in gran parte].

Soprattutto la Santa Sede denunciava la violazione del Concordato, ove le leggi razziali volevano interferire in materia sacramentaria (matrimoni misti con rito cattolico, e figli di un coniuge ebreo ma battezzati), spettante unicamente alla Chiesa.
Soprattutto, ancora una volta, metteva in guardia dall’estremismo fanfarone e fanatico, superficiale e inconcludente, che avrebbe recato più danni che vantaggi alla causa della soluzione reale e vera del problema ebraico.
Infatti, dopo alcune esagerazioni e imprecisioni delle leggi razziali del 1938, è molto arduo riproporre e parlare serenamente «oggi», anche solo «in teoria», su la questione di una legislazione seriamente ed equamente restrittiva (risalente al V secolo con il Codice giustinianeo) di auto-difesa dei popoli cristiani dall’empietà e perfidia talmudica, si rischierebbe di passare per «razzisti biologici», mentre tale tesi è squisitamente cristiana e su di essa si è formata la Cristianità europea.
Purtroppo ogni eccesso (neopaganesimo) è un difetto, e produce immancabilmente dei disastri, catastrofi o «shoah».

Ad esempio, la nascita e il trionfo politico-militare dello Stato ebraico è un frutto catastrofico di tale errore; come anche la nuova teologia di «Nostra Aetate» (1965) e dell’«Alleanza mai revocata» (1981) sono un frutto avvelenato del mito dell’olocausto (dacché distruzione totale della vittima – che è la definizione di olocausto - non vi è stata).
Occorre, perciò, per reagire alla cabalizzazione del mondo attuale, rifarsi scrupolosamente alla dottrina cattolica, senza lasciarsi sviare dai pasticci di uno Stato che vuol prendere il posto di Dio e della sua Chiesa.

Il problema ebraico è «essenzialmente» teologico, con «conseguenze» sociali, politiche ed economiche. Per risolverlo adeguatamente occorre una solida formazione teologica, che solo la Chiesa cattolica possiede.


I nazionalismi o i governi autoritari, con tutta la migliore intenzione, riescono solo ad intravedere le apparenze o le conseguenze di tale problema, e spesso finiscono per trattarlo e darne soluzioni approssimative, pasticciate se non addirittura erronee, dalle conclusioni catastrofiche.

C) Attualmente, occorre far attenzione ad un nuovo errore che si presenta sotto apparenza di verità, quello del «neo-conservatorismo» americanista, che propugna la difesa delle radici europee, che sarebbero giudaico-cristiane.
Esso equivoca sulla parola «giudaico», che qui non significa mosaismo o Antico Testamento, relativo a Cristo; ma talmudismo, nemico mortale di Cristo e del cristianesimo.
Onde, parlare di radici «giudaico-cristiane» dell’Europa è una «contraddictio in terminis», equivalente ad un anti-cristianesimo cristiano, una sorta di cerchio quadrato.
No, le radici europee affondano nel Codice giustinianeo, che discriminava il giudaismo talmudico come nemico pericoloso della «societas christiana».
In una società laicizzata, come è la nostra, la Chiesa non rinuncia alla tesi, ai principi (leggi speciali e restrittive); tuttavia non può chiedere allo Stato l’applicazione di essi, poiché non sarebbe ascoltata da uno Stato neutro se non ostile.
La via che segue la Sposa di Cristo è quella di riconvertire la società civile, partendo dall’individuo e dalla famiglia.
Infatti, la società è formata da più famiglie e, se le famiglie tornano ad essere cristiane, lo Stato sarà anch’esso cristiano e farà leggi cristiane.
Pio XI instaurò (nel 1926) la festa di «Cristo re» e lanciò la crociata della regalità sociale di Cristo per ri-cattolicizzare la società laicizzata dall’illuminismo, dalla rivoluzione francese e dal socialismo.
Il mondo non ha ascoltato il Papa e la società è sempre più secolarizzata.

Oggi, perciò, ci troviamo di fronte ad un baratro: da una parte lo strapotere dello Stato d’Israele, che destabilizza il vicino e Medio Oriente, con conseguenze su tutto il mondo.
Dall’altra la reazione sempre più montante del mondo arabo, che (dopo la guerra all’Iraq e la non-soluzione - voluta - della questione palestinese) si dirige verso l’estremismo musulmano.
L’Iran, con Ahmadinejad (profondo ideologo sciita discepolo di Alì Shariatì e fine conoscitore della dottrina del «Mahdi» o messia islamico che precede la fine del mondo), si sta forse dotando (ed è normale, dal suo punto di vista, che lo faccia) molto lentamente di armi atomiche e di fronte alla minaccia israelo-americana, non esiterà a utilizzarle, per affrettare la venuta del «Mahadi».

D) Il «cattolicesimo attuale» è fortemente inquinato da spirito liberale, filantropico e immanentista, è debole e i pastori (la maggior parte dei quali sono diventati «mercenari») non hanno la luce e la forza per condurre un gregge che sembra sbandato.
Vedasi il recente sinodo dei vescovi in Roma (ottobre 2008), in cui si è data la parola ad un «rabbinetto» di Israele, il quale ha detto di essere contrario alla beatificazione di Pio XII, e il «niet» rabbinico che ha portato all’annullamento della Messa di San Pio V che il cardinale Castrillon avrebbe dovuto celebrare in memoria di Papa Pacelli l’8 ottobre del 2008 e che è stata cancellata, (per motivi «diplomatici») il 7 ottobre di sera, in barba a molti fedeli che erano giunti a Roma dall’America Latina a loro spese.

Si veda inoltre lo «scandaloso» articolo del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni pubblicato su L’Osservatore Romano (8 ottobre  08) in cui scrive che come i cristiani non hanno bisogno dello «yom kippur» degli ebrei per salvarsi, così gli ebrei non hanno bisogno di Cristo.
«Nihil sub sole novi»: Gesù continua ad essere paragonato a Barabba e il «regista» è sempre lo stesso, riprendendo l’idea sostenuta già nel Natale del 2000 sulla prima pagina de L’Osservatore Romano dall’allora cardinale J. Ratzinger con l’articolo «Abramo un dono per Natale», in cui il porporato parlava di due vie di salvezza: per i cristiani Gesù e per gli ebrei il Messia della loro Alleanza con Dio, come se essa non fosse stata abrogata dalla Nuova ed Eterna Alleanza nel Sangue di Cristo.

Come chiamare costoro se non «mercenari» o «lupi vestiti da agnelli»?
Se il «Motu proprio» sulla Messa di San Pio V (7 luglio 2007) aveva suscitato qualche speranza, il discorso di Benedetto XVI ai giornalisti sull’aereo che lo portava in Francia (settembre 2008), in cui lo ha definito quale atto di «tolleranza della Messa antica e dei suoi nostalgici», lo ha reso un «caso chiuso».

E) Forse, Dio solo lo sa, la «Provvidenza» permetterà che noi cristiani siamo puniti (del nostro laicismo) oltre che dalla crisi economico-finanziaria volutamente globale di questi giorni, anche dai due grandi schieramenti che si apprestano ad affrontarsi in maniera definitivamente «atomica», oltre che «economica».

«Expectans expectavi... Regnavit a Ligno Deus».
Occorre bere l’amaro calice sino alla feccia per risorgere fino alle stelle.

Don Curzio Nitoglia



1) In realtà si tratta di una lunga serie di articoli, dal 1885 al 1897, a cura di padre Giuseppe Oreglia di Santo Stefano (1823-1895), per alcuni anni direttore de «La Civiltà Cattolica», grande specialista sul Talmud e l’omicidio rituale; egli ha scritto, tra varie altre cose, un libro prezioso, Giovanni Pico della Mirandola e la cabala, Cagarelli, 1894.
2) Essa oggi (come nel 1929 con l’aiuto statale teorizzato da Keynes, il quale la salvò dalla bancarotta totale) ha conosciuto il suo scacco ultimo, in quanto lo Stato in USA è dovuto intervenire per salvare il salvabile, dai danni dei privati speculatori i quali si sono rivelati fallibili, contrariamente al dogma (smentito dai fatti) del liberismo puro (Mises, Hayek, Einaudi e Friedmann), «libera economia, senza alcun intervento statale». Se si lascia l’economia nelle mani dei banchieri, i poveri risparmiatori - senza il controllo dello Stato - saranno immancabilmente truffati. Ma questo è un «peccato contro lo Spirito Santo», (raggirare il povero indifeso, il piccolo, il debole, la vedova e l’orfano) che «grida vendetta al cospetto di Dio» (il quale interviene a proteggere l’indifeso e castiga esemplarmente, già su questa terra, il prepotente, a monito per tutti: «quel che per te non vuoi, agli altri non fare». Come riconoscono gli studiosi di economia più seri, la crisi economico-finanziaria attuale, non è la fine del sano capitalismo (lavorare per accrescere onestamente il proprio patrimonio e dar lavoro anche agli altri), ma è la sconfitta di quel super-liberismo senza regole, che rifiuta ogni controllo statale e politico.



 
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