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I sacerdoti spezzano i loro idoli
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A che si deve l’esultanza delle Borse per il «salvataggio» di Citigroup? Esso, a rigore, dimostra che i «salvataggi» della FED e del Tesoro falliscono continuamente: Citi aveva ricevuto già 25 miliardi di dollari; gliene hanno dovuti dare altri 20, e garantire a nome dello Stato 306 miliardi di «attivi tossici» nella pancia di Citi.

Ma d’altra parte, l’entusiasmo si capisce: è quello di naufraghi che scoprono, nella nave rovesciata, una bolla d’aria: la morte è rimandata di mezz’ora.

Citibank è il terzo detentore mondiale di derivati: ne ha per 30 mila miliardi di dollari (30 trilioni nominali, oltre il doppio del PIL americano); il suo fallimento avrebbe causato perdite dirette sui derivati per 400 miliardi, e indirette per 1.500.

Naturalmente si poteva e doveva fare altro.

A portare Citi al fallimento sono gli speculatori-piranha che usano i Credit Default Swaps, ossia scommettono sul suo fallimento, e con ciò auto-realizzano la profezia. Il Governo avrebbe dovuto rescindere tutti i CDS detenuti o puntati contro Citi, magari compensando i giocatori con una modesta cifra nominale. Sarebbe costato anche meno, e avrebbe dato un segnale forte: il casinò è chiuso.

Ma l’ideologia vieta a Bernanke e Paulson anche il solo pensiero di questa misura. Il loro pensiero è salvare il sistema, non riformarlo.

Bloomberg segnala: lo Stato si impegna a prestare oltre 7.400 miliardi di dollari per soccorrere il sistema finanziario, calcolando i 2,8 trilioni già risucchiati dalla istituzioni finanziarie e gli impegni che la FED prende giorno per giorno: «La settimana scorsa la FED ha prestato 1.900 volte la media dei tre anni precedenti la crisi».

Persino Bloomberg si indigna: quei 7.400 miliardi sono la metà del PIL, sono 9 volte ciò che gli USA hanno speso finora nelle guerre in Iraq e Afghanistan, sono 24 mila dollari messi a carico di ogni uomo, donna e bambino in America. Perchè la FED paga a nome dei contribuenti americani; ma come farà il prelievo fiscale ad aumentare?

La FED di Philadelphia prevede che il PIL calerà del 2,9% nel quarto trimestre (una correzione tragica rispetto alla precedente, che prevedeva una esile crescita dello 0,7%). Tutte le cifre sono negative e in rosso, l’indice di occupazione è calato a -25, le condizioni industria -39. La depressione si è già instaurata, in realtà, da mesi.

Il peggio, dal punto di vista etico e politico, è che dei 7,4 trilioni che la FED sta già spendendo, solo i 700 miliardi voluti da Paulson per il primo salvataggio (fallito) hanno l’approvazione del Congresso: ogni finzione di democrazia è brutalmente accantonata, il potere si rivela in mano ad un golpe plutocratico - e per giunta incompetente.

«Possono fallire le Banche Centrali?», si domanda il Financial Times (1), con una ovvia allusione a quel che fanno gli incompetenti della FED, ma anche agli incompetenti della Banca Centrale Europea.

Le Banche Centrali stanno comprando tanti debiti marci dagli speculatori, che mettono a rischio la loro solvibilità. Se una Banca Centrale non ha più capitale sufficiente, da quale istituzione può essere ricapitalizzata? Il prestatore di ultima istanza ha un prestatore di ultima istanza a cui ricorrere?

La domanda ha un tono pseudo-religioso: c’è un Dio sopra Dio?

Gli speculatori del libero mercato mondiale hanno fidato nel loro dio, e lo scoprono impotente e mortale.

«La FED ha finito le munizioni», titola il Wall Street Journal, e l’articolo relativo dice verità aspre e mai prima udite da quel tempio del liberismo monetarista (2).

L’immobiliare americano ha perso finora 4 mila miliardi, il mercato azionario ne ha distrutti 9 mila (confrontate questa cifra di 13 mila miliardi di dollari, con l’impegno di 7.400 della FED: questa ultima cifra, per quanto mostruosa e impagabile, è solo la metà della ricchezza già persa). E’ evidente, dice il WSJ, che siamo «in un classico crollo da deflazione del debito, con prezzi calanti, mercati del credito congelati e attivi che si deprezzano» alla velocità della luce.

La fallimentare risposta contro questa devastazione, dice aspro il gionale finanziario, «smentisce la sapienza convenzionale degli economisti, anzi delle Banche Centrali: la fede che è impossibile avere una deflazione in un sistema basato sulla moneta creata dal nulla (fiat money)». Basta stampare moneta, e i prezzi risalgono.

Questa falsa idea, rincara il Wall Street Journal, viene «dalla interpretazione semplicistica della Grande Depressione fornita dal monetarista Milton Friedman e insegnata a generazioni di studenti di economia da allora. Questa interpretazione sosteneva che la Grande Depressione sarebbe stata evitata se la Federal Reserve avesse stampato più attivamente moneta. Ma l’esperienza del Giappone negli anni ’90, deflazione persistente che non rispondeva al tassi d’interesse zero, doveva insegnarci che non c’è una via facile per uscire da una deflazione con l’inflazione».

Il fatto è, spiega (adesso) il giornale, è che la FED può aumentare la fornitura di moneta, ma «non può controllare la velocità della circolazione monetaria».

Le cartolarizzazioni sono ridotte a zero, il che ha frenato potentemente  la circolazione; nessuno compra più obbligazioni basate sui debiti vari (mutui, rate per le auto, carte di credito), nessuno ne emette più.

La FED ha pompato centinaia di miliardi di dollari nelle banche, ma queste non hanno interesse ad altri prestiti (nè i clienti a chiedere altri prestiti), e con quella fiat money a fiumi non fanno che «finanziare le posizioni esistenti».

E ancora: «il monetarista Bernanke ha sempre attribuito la recessione giapponese agli errori della Bank of Japan; ma ora si accorge che le ginnastiche monetarie non sono così efficaci come voleva credere».

Il Wall Street Journal arriva a citare con onore Irving Fisher, il vero, grande economista dimenticato, che negli anni ’30 aveva proposto l’abolizione del credito frazionale, la riserva obbligatoria alle banche del 100%, perchè «l’eccesso di investimenti e l’eccesso di speculazione diventano gravissimi, se vengono fatte con denaro preso a prestito».

Da quanti anni il Wall Street Journal non citava Fisher?

Oggi invece dichiara «semplicista» il monetarismo assoluto di Milton Friedman: ma a Friedman è stato dato il Nobel, tutta l’economia speculativa è basata sui suoi libri sacri, ogni critica al sistema veniva respinta dal Wall Street Journal con ampie citazioni di Friedman.

E’ uno spettacolo agghiacciante, a suo modo: i fedeli di Mammona sputano sui grandi sacerdoti del Tempio, spezzano le statue dei loro idoli, spaccano i loro altari, fondono i vasi sacri del sacrificio.

Bernanke ha portato i tassi a termine vicini allo zero; la sua prossima mossa, che ha annunciato in discorsi del 2003, sarà di abbassare i tassi a lungo, «in pratica la FED comprerà i Buoni del Tesoro a lungo termine», dice il Wall Street Journal.

Ed ecco la sua conclusione: con ciò, Bernanke otterrà «che la crisi atuale in Occidente finirà per screditare il monetarismo meccanicista, e con esso il sistema della moneta ex-nihilo in generale, in quanto lo standard del dollaro di carta (senza copertura), messo in atto da Nixon quando si staccò dal tallone aureo nel 1971, finalmente si disintegrerà.

La svolta avverrà in questo modo: i creditori esteri rifiuteranno il dollaro e si rifugeranno nell’oro. Questo infine porterà all’ammissione, a livello globale, della necessità di un sistema finanziario molto più disciplinato; un sistema in cui l’oro, questa «reliquia barbarica» spregiata dai più moderni banchieri centrali, avrà di sicuro una parte».

Mai a mia memoria, sul giornale dei banchieri e degli speculatori, ho letto una simile rivalutazione dell’oro, e un simile disprezzo per la moneta ex-nihilo (3). E’ come se il Papa, dal balcone fatale, confessasse pubblicamente che il vero dio è Osiride, e che il culto autentico e la preghiera vanno resi al Bue Api (Vitello d’Oro).

Spaventoso.

Eppure, bisogna ammirare la rapidità con cui i più fedeli al dogma anglo-americano sono i più pronti a rovesciare gli idoli.

Il governo britannico taglia l’IVA in modo decisivo, dal 17,5% al 15%: ciò si tradurrà in un immediato calo dei prezzi e in un alleviamento subitaneo per le imprese, ossia per l’economia reale; e siccome il taglio è temporaneo, la prospettiva di un rialzo futuro incita gli individui a comprare ora quei beni che presto rincareranno (siano auto o frigoriferi o mobili), e le imprese a investire al più presto in beni capitali (impianti, macchine utensili, materie prime).

E’ una vera e decisiva misura anti-inflazione: oltretutto benefica per la parte povera della popolazione, su cui le tasse indirette pesano proporzionalmente di più. E l’erario non ci perde - o non perde più di quel che la caduta dell’economia reale non gli farebbe perdere in mancati introiti fiscali da crisi, comunque.

Ad esitare vilmente sono gli ultimi arrivati nella fede liberista, la ex-agente della Stasi Angela Merkel, il parvenu Sarkozy.

E l’Italia? Taglia l’IVA, forse, dell’1%. La mezza misura, inutile, dei cacasottto. Ma hanno paura di non aver abbastanza denaro per pagare gli stipendi delle Caste.




1) William Buiter, «Can central banks go broke?», Financial  Times, 16 novembre 2008.
2) Christopher Woods, «The FED is out of ammunitionas, Wall Street Journal, 24 novembre 2008.
3) Le «sinistre» stataliste di ritorno ci risparmino il mantra sulla «fine della reaganomics». Ronald Reagan ebbe ragione sia a smantellare certe rendite di posizione (i controllori di volo, i sincacalizzati) e a tagliare le imposte ai ricchi, perchè allora il prelievo sullo scaglione più alto di reddito era del 73%, e lui lo ridusse al 45%. E’ stato Bush e la sua accolita neocon a fare una caricatura della reaganomics, tagliando le tasse ai più ricchi al 25 per cento%: un mostruoso incentivo all’arricchimento con ogni mezzo, e alla irresponsabilità sociale.


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