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Presenza Reale
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Mi ha mandato l'ultimo dei suoi libri, «Islam» (Electa, 20 euro): che ho sfogliato attratto dapprima soprattutto dalle interessanti illustrazioni. Ma vi ho scoperto notizie che mi hanno stupito, e su cui dovrebbero riflettere anche i musulmani.
Anzitutto le illustrazioni stesse.

Scopro che le immagini d'uomini e di animali sono vietate solo nei luoghi di preghiera; ma l'arte islamica, specie sciita persiana e turca, pullula di quadri e affreschi diciamo profani, più esattamente «storici», pieni d'uomini; anche Maometto è raffigurato, spesso ma non sempre con il viso coperto da un fazzolettino. L'iconoclastia è dunque meno rigorosa di quella che prescrive il retrivo wahabismo saudita.

Un'altra scoperta: nel 621, Maometto viene invitato a Medina (Yathrib) da una delegazione di notabili medinesi «perché, a causa dell'immigrazione di cattolici fuggiti dai territori bizantini perché perseguitati dagli ortodossi», a Medina «si è rotto l'equilibrio di potere socio-economico tra arabi, ebrei e cristiani».

Sicchè i delegati chiedono a Maometti di andare a Medina «in veste di coordinatore socio-politico». Interessante, mi pare, per molti versi (fra cui noto i cattolici perseguitati dagli ortodossi, che si sentono più sicuri a Medina), ma curioso soprattutto questo: Maometto come mediatore culturale in una società insieme tribale ma dove sono a contatto genti di fedi diverse.
Non è un compito che i notabili di Medina avrebbero affidato a un fanatico privo di senso del compromesso e della conciliazione.

Fatto è che l'Islam nasce fin da subito in un ambiente umano dove convivono, certo non senza tensione e conflitti, fedi diverse, e ci si sforza di andare d'accordo chiamando un noto «mediatore culturale». Non c'è molto integrismo né purismo.

Lo conferma anche la varietà e il numero prodigioso delle mogli di Maometto: alcune sposate di sicuro per costituire «legami di sangue» (politici) con le tribù arabe, altre per passione, come la giovanissima Aisha, l'unica ancora vergine perché non reduce da un precedente matrimonio.

Un'altra, Zaynab bint Jahsh, divorziò volontariamente dal primo marito per sposare Maometto, «di cui pare fosse innamoratissima»: fatto dove, più della libertà di costumi, mi stupisce l'autonomia delle donne in quel primo mondo musulmano.

Del resto anche Khadija, la prima moglie, la ricca vedova padrona di una «carovana» ossia di una linea commerciale, fu lei a mettere gli occhi sul giovane carovaniere. Fu lei a scegliere lui.

Maometto sposò anche un'ebrea. E sposò una cristiana, Maria la Copta, che rimase sempre cristiana e a cui non fu imposto di convertirsi. Da Maria Maometto ebbe un figlio, Ibrahim: non fosse morto a due anni, chissà quali interessanti complicazioni avrebbe portato nella storia delle religioni.

Ma tutti i figli maschi di Maometto morirono, come se fosse scritto che non dovesse restare una «dinastia» profetica.Restarono le femmine, e le trame che le troppe mogli (Aisha in specie) subito tramarono per la successione e che subito degradarono l'Islam in divisioni e sedizioni.

Spicca la figura del genero, Ali: nella battaglia di Uhud ruppe la spada e il profeta gli donò la propria, di nome Dhu alFiqar, «quella a due punte». Segno di predilezione, ma gli intrighi di Aisha sottrassero ad Ali il legittimo califfato: ingiustizia su cui si basa lo scisma degli sciiti, seguaci e devoti di Ali. Del resto il califfato implicava la trasmissione dei soli poteri temporali; il dono profetico moriva con Maometto.

Ma su un punto mi preme soffermarmi, sul Corano. Dice Mandel, lucido e chiaro: «Il suo corpus rappresenta per i musulmani ciò che il 'corpo di Cristo' rappresenta per i cristiani». Dunque, è di Presenza Reale che si tratta, per gli islamici. E dunque, si capisce che cosa fanno quei soldati americani che ad Abu Ghraib o a Guantanamo, come tortura aggiuntiva ai prigionieri islamici, in loro presenza gettano il Corano nei cessi.

Ma loro non possono nemmeno capire: vengono da una «religione» protestante, che per principio ha rifiutato la Presenza Reale cristiana, l'Eucarestia.

Questa è la differenza cruciale: quando una religione non ha la Presenza Reale o, come l'ebraismo, l'ha persa (1), si riduce a sermoni, moralismi, elucubrazioni, talmudismi orizzontali. Non è più una religione, o è una religione vuota, un cibo che non nutre. Perché la religione, come dovremmo sapere noi cristiani, prima che un sistema di dogmi o di libri, è anzitutto Nutrimento: pane e vino. E «chi non mangia la Mia carne e non beve il Mio sangue, non entrerà nel Regno dei Cieli».

Potete non credere al Corano, ma come cristiani non potete gettarlo nel cesso: per i musulmani è il nutrimento, ciò che ne fa, dopotutto, qualcosa di più di una precettistica e di un insieme di norme legalistiche.

Non è nemmeno possibile rendere pan per focaccia ai soldati americani: cosa potremmo gettare nel cesso per offenderli nella loro fede? La foto di Jerry Falwell, o di un altro dei loro telepredicatori?

Basta immaginarlo per capire che, da cattolici, siamo più lontani dai protestanti che dagli islamici. Noi, come loro, abbiamo - crediamo di avere - la Presenza Reale. Dio fra noi.

E' alla Presenza Reale che ci rivolgiamo intimamente volgendoci al tabernacolo di una qualunque chiesa; ad Essa parliamo intimamente, ci confessiamo peccatori, chiediamo aiuto e grazie; noi LA mangiamo, i musulmani la recitano.

Proviamo a pensare che i nostri nemici ci gettassero nel cesso l'Eucarestia, se siamo credenti, come vivremmo questo gesto.

Perciò noi, e non i luterani e gli altri fanta-protestanti che pullulano in USA, possiamo rispettare il Corano: rispettiamo almeno la sacra intimità a cui credono gli islamici, la Presenza a cui si rivolgono. E «non fate agli altri quello che non vorreste essere fatto a voi».

Immagino che, adesso, riceverò le solite mail che mi danno del filo-islamico; di quell'Islam che perseguita i cristiani, eccetera (i 650 mila morti iracheni dei protestanti ci pesano meno, non vi vediamo una persecuzione).

Un lettore mi ha esortato ad abbandonare questo filo-islamico, e mi assicura che le altre fedi «sono tutte schifezze»: lui è padrone di crederlo, ma gli faccio notare che il suo atteggiamento è proprio quelli dei Talebani, non dei cristiani ed europei.

Questa animosità che cresce e che è indotta dai media, mi domando se non venga poi da una scarsità nella nostra fede e nel nostro Nutrimento.

Certo viene da paura e paranoia contro l'Islam, il nemico storico «che ci aggredisce» e che «ci vuol convertire». Padronissimi; quanto a me, cerco di attenermi al comportamento delcoraggioso e del soldato. Se ci sarà da combattere, si combatterà. Ma per intanto, si può bere il tè offerto dall'ospitale nemico, ed ascoltare da lui le storie per niente puriste della sua cultura, e stupirsi dei modi diversi in cui gli uomini si «nutrono».

Naturalmente anche in questo atteggiamento ci sono dei rischi di cui occorre essere consapevoli.

Lo suggerisce un reperto imbarazzante che Gabriel Mandel espone a pagina 89. Si tratta della croce pettorale rinvenuta nella tomba, risalente al 1301, del padre provinciale dei Templari per la zona di Alicarnasso, tomba trovata davanti alla chiesa templare sulla costa egea, vicino ad Efeso.

Sulla croce c'è un volto barbuto, con il turbante tipico dei muftì: è forse il «Bafometto» che i Templari furono accusati di adorare, corruzione del nome Maometto?

Questa testimonianza, oggi conservata ad Ankara nel deposito dei beni archeologici del ministero dei Beni Culturali turco, dice Mandel, «renderebbe attendibile l'accusa, e forse per ciò si preferì non pubblicare mai questo reperto prima d'ora».

Un duro colpo, per un ammiratore dei Templari. In ogni caso, ecco, non si farà così.

Ad ognuno la sua Presenza Reale, senza commistioni ed «essoterismi».

La nostra, è Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo.

Maurizio Blondet

(articolo pubblicato il 15 ottobre 2006)



1) Per gli ebrei, nel Tempio di Gerusalemme vigeva la Presenza Reale (di Dio Padre), e siamo tenuti a crederlo anche noi cattolici. Quando Cristo dice: «Sarà lasciata la vostra casa deserta», è  all'abbandono del Tempio da parte della Presenza Reale che allude. Coi loro lamenti al «muro del pianto», lo sappiano o no, gli ebrei lamentano la scomparsa della Presenza Reale in mezzo al loro popolo, il fatto che la loro religione è diventata vuota, che non «giustifica» (santifica) più; tutto il resto, il proliferante Talmud e il ballare attorno alla Torah, sono surrogati illusorii del vero cibo, che non placano nessuna fame. Lo sanno tanto bene, che ora che hanno riconquistato Gerusalemme, molti ebrei si preparano a ricostruire il Tempio e a rifare il rito dell'agnello, per «costringere» la Presenza Reale a tornare; già annunciano la nascita della giovenca rossa, animale essenziale per il rito, ottenuta con manipolazioni genetiche. Se un giorno il rito avverrà nel Tempio ricostruito, sarà dunque un altro atto di violenza ottenuto con la magia e la necromanzia (tale è la manipolazione dei geni), una hubrys inaudita contro la Presenza Reale.


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