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Lo spettro Argentina
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La parola proibita, finalmente, l’ha detta il ministro Sacconi: «Peggio della recessione, è il rischio bancarotta dello Stato». E poi: «non possiamo permetterci nemmeno lontanamente che vada deserta un’asta di titoli di Stato: non ci sarebbe liquidità per pagare pensioni e stipendi, sarebbe come l’Argentina».

Tremonti ha detto quasi la stessa cosa, alla opposizione (la più cretina del pianeta) che gli rimproverava l’insufficienza delle spese eccezionali per il «rilancio». Mica possiamo «fare i fenomeni», con il debito pubblico che abbiamo.

«Il nostro debito sarà in competizione con le emissioni crescenti fatte da altri Paesi a sostegno della ricapitalizzazione delle banche».

Vero è che poi sia l’uno che l’altro hanno attenuato (Tremonti: «Il debito italiano è solido»: un atto dovuto). Ma il dubbio è concreto: chi ci comprerà i 220 miliardi di Bot e di titoli pubblici in scadenza nel 2009, nell’orribile restringimento mondiale del credito, e quando gli altri Paesi europei – meno indebitati del nostro – emetteranno 2 mila miliardi di nuovi BOT?

Il costo per assicurare i compratori del debito italiano è passato da 20 a gennaio, a più di 170 in questi giorni: ciò significa che veramente gli investori danno possibile la bancarotta della repubblica italiana.

Il costo del debito inglese è salito anch’esso, e la Gran Bretagna, col 7% del PIL che dipende dalla «industria» bancaria speculativa, e le famiglie indebitate, sta oggettivamente peggio di noi.

Per non parlare degli Stati Uniti: l’attuale «forbice» tra i junk-bonds e i Buoni del Tesoro USA implica che gli investitori assegnano allo Stato americano il 21% delle probabilità di fallire; più che durante la Grande Depressione.
Però, i possessori di capitale nel panico compreranno prima i BOT anglo-americani rispetto a quelli italiani.

Il perchè lo dice Evans-Pritchard con chiara brutalità: «Nel dubbio (l’investitore) si stringe a quei Paesi con una democrazia radicata, un forte senso di solidarietà nazionale, uno Stato di diritto a tutta prova – e con portaerei a disposizione. USA e Gran Bretagna non sembrano messe male dopotutto» (1).

Addio libero mercato: nel valutare la «solidità» di uno Stato-debitore, di colpo, entra questa considerazione: ha o non ha portaerei? Può insomma rapinare ad altri le ricchezze che gli mancano?

Vediamo dunque il tipo di guerra che ci aspetta, questa guerra di nuovo tipo: come vi si preparano gli USA, come vi si prepara l’Europa, e se siamo preparati noi (senza portaerei, senza forte solidarietà nazionale, con uno Stato di diritto tipo magistratura di Catanzaro).

Per cominciare: solo tra il 2000 e il 2008, l’indebitamento globale è raddoppiato, passando dal 58% al 120% del prodotto interno lordo globale. Il mondo, Stati, imprese, famiglie, si è indebitato per 60 mila miliardi di dollari. Tutto sta a vedere che percentuale di questi 60 mila miliardi, crediti divenuti dubbi o irrecuperabili, saranno distrutti nel grande processo di liquidazione in atto. O detto altrimenti: quanta parte del debito l’economia reale sarà in grado di sopportare e di «servire»?

La profondità e durata della depressione che ci è balzata addosso dipende dalla risposta. Ma è già sinistramente chiaro che, dato l’effetto congiunto della svalutazione dei beni finanziati a credito (vedi immobili con mutui subprime) e della recessione che si profila severissima, una grossa parte di questi «attivi» di carta non conserverà il suo valore attuale.

La conseguenza di questa immensa liquidazione (deflazione) del credito sarà un rincaro e una rarefazione di nuovi crediti per avversione al rischio, con tutti gli effetti a cascata: calo degli investimenti, dei redditi, dei consumi – che a loro volta auto-alimentano la svalorizzazione ulteriore degli attivi. La riduzione dell’attività economica provocherà inoltre la caduta degli introiti fiscali degli Stati, e così via, in spirale discendente.

Ciò che le Banche Centrali stanno facendo, è tentare di rallentare questa distruzione di «valori» finanziari (i crediti, che sono i debiti di qualcun altro): comprano a man bassa attivi che nessuno più vuole sul mercato e dunque sono deprezzatissimi, nel tentativo di sostenerne il prezzo; e intanto ricapitalizzano le banche nella speranza che tornino a prestare. Fino ad oggi, con poco successo. Non riescono a porre fine alla spirale deflazionista e recessiva in corso.

Nè il taglio drastico dei tassi primari, nè le garanzie di Stato sui prestiti, riescono a innescare un ritorno al credito. Al contrario, tutto il denaro creato abbassando i tassi, e distribuito a piene mani, le banche lo mettono in Buoni del Tesoro, per pura paura.

Ma perchè dovrebbero prestare alle imprese? Nessuno sa quante delle imprese che hanno bisogno di fidi saranno ancora vive alla fine del tunnel depressivo; e perchè dovrebbero fare mutui? Non possono sapere quanto varranno davvero gli immobili ipotecati, fino a quando i loro prezzi non smetteranno di scendere; e non smetteranno di scendere finchè l’economia non riprenderà, i salari aumeneranno, i disoccupati diminuiranno.

Il cane si morde la coda.

Le leve classiche del liberismo monetarista – essenzialmente, il calo dei tassi primari – non funziona più. In USA non funziona perchè la FED ha già raggiunto praticamente il tasso zero, in Europa, perchè i tagli della BCE arrivano in ritardo, quando la recessione e lo scoraggiamento psicologico indotto s’è già instaurato: chi ancora l’anno scorso non temeva di indebitarsi per il mutuo-casa al 6%, ora non ha ha voglia di accendere nemmeno un mutuo al 2%.

Il guaio è che quei 60 mila miliardi di debiti sono più del PIL mondiale; dunque nè gli Stati nè le Banche Centrale, da cui ci si aspetta che guidino una liquidazione controllata di quel debito immane, dispongono dei mezzi finanziari adeguati a questo compito.

Finchè il processo di liquidazione degli «attivi» irrecuperabili non sarà arrivato alla fine, il costo reale del rischio resterà superiore ai fondi che Stati e Banche Centrale garantiscono o distribuiscono.

Che fare?

In termini di dottrina del mercato, si possono lasciar morire le banche e le imprese gonfiatesi di promesse irrealizzabili, e dunque stare a guardare l’impoverimento dei lavoratori, lo schiacciamento delle famiglie indebitate per la casa, e alla fine, il crollo dell’economia generale.

Oppure, si può cercare di acquistare a piene mani i «crediti» più discutibili, allo scopo di rallentare la deflazione e la distruzione di «valori» irreali, onde scongiurare l’inaridimento totale del credito, con il conseguente blocco dell’economia come la conosciamo.
Hanno scelto questa seconda strada. Ma con quali soldi comprano, le banche e i ministeri del Tesoro, le carte tossiche prive di valore?

Devono emettere titoli di debito pubblico, ossia prendere a prestito: è la soluzione classica. Ma sta per giungere al suo limite: le fila di compratori si assottigliano, mentre l’offerta di debito pubblico esplode.

Allora, resta la seconda via: finanziare il debito con l’emissione di moneta dal nulla. In pratica e tecnicamente, la Banca Centrale compra i titoli di Stato e i titoli di debito delle imprese con denaro che crea al momento, quel che si dice «stampando moneta».

Come nota il sito francese ContreInfo, questa soluzione è lo scacco finale del monetarismo, e contravviene a tutte le regole occhiutamente imposte dalle Banche Centrali. Imposte, si capisce, con estrema severità ai salari (che non dovevano aumentare, altrimenti si creava inflazione), ma mai invece imposte agli speculatori che inflazionavano il credito e gli «attivi» sottostanti, creando bolle sopra bolle, sotto lo sguardo benevolo dei banchieri centrali, da Draghi a Bernanke a Trichet (2).

Bernanke ha preso di carriera questa strada, che porta all’inflazione (3).

Per adesso però non ancora: tutto il fiume di moneta profuso dalla Federal Reserve non basta a compensare la enorme distruzione di moneta scritturale, di moneta-debito, attualmente in corso. Ma presto o tardi, l’inflazione si instaurerà, magari anche l’iper-inflazione, mentre la moneta sarà svalutata di fatto (il dollaro) e i redditi da lavoro «dilavati» insieme ai debiti. La Cina pagherà molto caro, in quanto è strapiena di crediti in dollari.

E l’Europa?

Qui si mostra il tragico e ridicolo dell’aver fatto l’euro prima della Europa politica. La moneta è comune, i tassi sono eguali per tutti, quelli decretati dalla BCE; ma l’emissione del debito resta responsabilità dei singoli Stati, e – nonostante il tasso uguale in teoria – la «forbice» fra i BOT italiani o greci e spagnoli (il Club Med) e quelli tedeschi si sta divaricando. Gli stessi BOT in euro devono offrire più dei Bund in euro, se vogliono trovare compratori.

In teoria, la BCE potrebbe – il suo statuto lo consente – fare come Bernanke, comprare titoli di debito di Stato sul mercato, creando moneta dal nulla. Ma la Germania ha posto il veto: perchè non vuole pagare, lei operosa formica, i debiti delle  cicale del Club Med (finirebbe per pagarlo sotto la forma della conseguente inflazione e perdita di solidità dell’euro).

Ha ragione la Germania? Ha torto?

Certo è che bisogna constatare ancora una volta la assoluta «impoliticità» tedesca, quella che ha sempre impedito a questa nazione, nonostante tutte le sue virtù, di «comandare» in Europa: perchè comandare non è solo il potere di imporre a decine di Stati di varie misure e debolezze, la sua moneta (l’euro è, di fatto, il marco tedesco); comandare è anche assumersi la responsabilità che viene con questo atto di forza, ossia condividere i destini degli altri.

E’ la mancanza del «forte senso di solidarietà nazionale» che Evans-Pritchard constata presente in Gran Bretagna (speriamo per i britannici che abbia ragione). La UE non ha nè questa solidarietà – come si vede alla prima seria prova – nè una democrazia profondamente radicata (anzi, ha solo un deficit democratico), nè uno Stato di diritto a tutta prova, e men che meno dispone di portaerei da usare in proprio, come un tutto unico.

Ecco perchè Sacconi ha ragione a dire che teme per noi un destino argentino, e Tremonti ha ragione ad essere prudentissimo con i piani di rilancio keynesiani: ci dobbiamo battere in questa guerra del debito disponendo di una moneta straniera su cui non abbiamo alcun potere, e senza sperare che gli altri soci, e men che meno i detentori della moneta straniera, possano aiutarci.

L’Argentina andò in bancarotta perchè volle agganciare la sua moneta al dollaro, moneta straniera, senza essere parte degli USA; l’aggancio si spaccò, e l’Argentina precipitò in anni di miseria.

Il taglio dei tassi della BCE non avrà nessuna funzione. La BCE, con tutta la sua autonomia, non ha la libertà politica della FED, che agisce in stretta relazione (o combutta con il Tesoro del suo Stato, ancorchè fallimentare).

Il risultato: l’Europa avanza nella tempesta colpita da paralisi. Non può inflazionare, e rischia la deflazione, mentre la coesione monetaria rischia di spaccarsi da un momento all’altro, e noi – insieme al Club Med – rischiamo di essere sbattuti fuori dal sistema.

Nel frattempo, siamo in bilico, e non si può fare veramente nulla – nemmeno la Germania. Siamo in bilico tra inflazione e deflazione, e lo si vede: tempo fa, a giovani coppie che compravano la casa, consigliavo il tasso fisso (visto che il loro salario era fisso); oggi dovrei scusarmi, dire che ho sbagliato. Oggi, chi ha il tasso variabile, lo vede diminuire agganciato al tasso BCE, mentre che ha il tasso fisso lo sente schiacciante.

Ma chi può dire se c’è uno sbaglio? Solo pochi mesi fa, era il tasso variabile ad essere schiacciante. Per consigliare il tasso giusto, bisognerebbe sapere se la BCE prenderà politiche inflazioniste per contrastare la orrenda deflazione degli attivi in corso, oppure no.

Il nostro futuro è appeso ad una decisione, o da un incidente, da cui dipenderà il futuro assetto sociale.

Se prevale l’inflazione, tutti i debitori (Stati, imprese, famiglie) vedranno il loro debito «dilavato» e ridotto; se s’installa la deflazione, all’uscita della crisi ad essere più forti saranno i detentori di capitali, i creditori, i redditieri e (un pochino) quei redditieri minimi che sono i pensionati.

Ma per ora, anche se da noi i segni puntano alla deflazione, come in USA all’inflazione, è impossibile anticiparlo.




1) Ambrose Evans-Pritchard, «World stability hangs by a thread as economies continue to unravel », Telegraph, 1 dicembre 2008. L’amministrazione USA ha qualche dubbio sul «forte senso di solidarietà» della società americana, visto che ha dispiegato sul territorio nazionale 20 mila soldati, sottraendoli alle sue guerre esterne. Ma anche questo è un modo di usare la forza militare, le «portaerei» ci sono anche per questo, disciplinare il proprio popolo con la forza.
2) Sam Jones, «If all else fails, devalue the dollar», Financial Times Alphaville (il blog), 18 novembre 2008.
3) «Monétisation de la dette, ou la transgression du tabou de l’argent», ContreInfo, 3 dicembre 2008.


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