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Casta canta. E se la ride
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La riforma Gelmini è già sfiatata, ridotta ed edulcorata: l’insegnante unico è diventato «prevalente», e soprattutto «facoltativo». I genitori, se vogliono, possono tenersene tre per classe. Questo dovrebbe dirci com’è difficile, in Italia, ridimensionare gli interessi costituiti e i parassiti del denaro pubblico.

Le cosche opposte della magistratura si combattono usando l’una contro l’altra i mandati di comparizione come i picciotti di Al Capone usavano i mitra nella notte di San Valentino, le cosche lucane (pardon, «toghe lucane») sparano alle toghe salernitane a difesa dei loro affari probabilmente sporchissimi con i politicanti locali, ma guai a parlare di riforma: allora tutti accusano Berlusconi di volere il golpe, e il CSM, l’organo che dovrebbe giudicare ed eventualmente disciplinare i togati, è li per coprirli: Cosa Nostra e Napolitano per primo a coprire lo scandalo.

Le provincie da abolire, come da programma? Si oppone la Lega che ha firmato il programma; anzi vuole ancora più provincie; la Lega frena anche sui magistrati da riformare, e anche sulle insegnanti plurime alle elementari. Bossi vuole andare d’accordo con la sinistra e coi giudici, perchè vuole «il federalismo»: ossia ulteriore, e colossale, spesa pubblica inutile.

Questa complicità della Lega coi parassiti pubblici va denunciata, anzitutto ai suoi elettori. Essi hanno votato il partito padano perchè prometteva una qualche pulizia, una qualche riduzione delle caste pubbliche e parapubbliche da gran tempo debordate dai limiti della legalità, un ritorno alla missione originaria che le giustifica, appunto il servizio pubblico. C’era l’idea del «vento del Nord» onesto e lavoratore, capace di moralizzare un apparato pubblico corrotto fino al midollo.

Ora, anche gli elettori leghisti vedono che Bossi vuole esami facili, se non altro per strappare il pezzo di carta al figlio scemo: comportamento inequivocabilmente «terrone». Vedono, o dovrebbero vedere, che l’opposizione leghista alla cancellazione delle provincie è un’adesione alla corruzione: moltiplicare le fonti di clientelismo al Nord, moltiplicare posti e poltrone per i parassiti «loro», ecco lo scopo. Dovrebbero dunque prevedere cosa sarà il «federalismo» della Lega: un’altra fonte di spesa pubblica incontrollata e inadempiente.

Insomma da «Roma ladrona», passare a «Padania ladrona», a «Bergamo ladrona» (Milano, con la Compagnia delle Opere, è già ladrona da vent’anni): non mi pare un gran progresso, nemmeno dal punto di vista padano.

La crisi che metterà sul lastrico un paio di milioni di lavoratori specie al Nord, dovrebbe essere l’occasione per far dimagrire quei grassi parassiti che succhiano il sangue ad un popolo impoverito e precarizzato.

La Lega avrebbe dovuto essere all’avanguardia di questa battaglia. La troviamo invece dall’altra parte, dalla parte della corruzione, delle categorie pubbliche inadempienti. Perchè?

Anzitutto, perchè è la linea di minor resistenza: le caste sono potenti, sono numerose, sono pericolose perchè hanno in mano le leve dei poteri, che sono disposte ad usare - per il proprio interesse - senza alcuno scrupolo morale: vedi magistrati, vedi farabutti Alitalia. Ci vogliono le palle, per contrastarle. E i leghisti non ce le hanno.

Ci vuole una coscienza di classe, sapere che questa è lotta di classe - sfruttati contro sfruttatori; che richiede durezza ed energia, forse una guerra civile. La sola guerra civile che, oggi, valga la pena di combattere.

Ma è ovvio: quando si comincia a prendere 22 mila euro mensili per il solo fatto di essere stati messi in Parlamento dal partito, senza alcun obbligo di contropartita, si sta dalla parte degli sfruttatori. Anima, corpo e portafoglio. Si vuole solo perpetuare lo status quo corrotto e corruttore, perchè ci si guadagna.

Infatti, i comici di sinistra si guardano bene dal deridere Bossi; non lo distruggono nè lo additano al ludibrio come hanno fatto con la Gelmini e Brunetta; i media di sinistra lo trattano con simpatia e rispetto, il PD lo liscia per il suo verso, lo sa capace di passare dalla sua parte. E naturalmente, per chi passa dall’altra parte, ci sono i soldi. I soldi pubblici, lì a disposizione come res nullius.

Sapete come finirà? Che a causa della crisi si farà la sola riforma contro cui le caste non si oppongono: la «riforma delle pensioni». Ossia: rubare più soldi ai poveri, perchè bisogna pagare i privilegi delle caste, e quelli - crisi o non crisi - devono restare tal quali.

Persino gli economisti sedicenti liberisti alla Giavazzi sono d’accordo: la spesa delle pensioni è «insostenibile», è una delle voci di maggior passivo sul prodotto interno lordo. Se occorrono soldi per sostenere i cassintegrati prossimi venturi (e occorrono), bisogna portarli via ai pensionati.

Vediamo: dal 1995 al 2006 la spesa pensionistica totale è passata dal 14,68% al 15,16% del PIL; significa che in un decennio il peso dei pensionati sulla nazione è aumentato di meno di mezzo punto (0,48%; lo 0,048% annuo). E anche se il numero dei vecchi e quindi dei pensionati è aumentato, si vede che il loro costo unitario è diminuito. Le pensioni hanno perso, nel decennio il 31,5% del potere d’acquisto. La Casta ne ha guadagnato il 34%.

Vogliamo fare qualche confronto?

La RAI: tra il 2002-2007, in cinque anni, le spese della RAI per l’acquisto di servizi esterni è cresciuto del 20,29%, al ritmo del 4% l’anno. Stiamo parlando di 820.211 milioni di euro (in vecchie lire, 1.640 miliardi) l’anno. In servizi esterni. Ma per quale motivo la RAI ha bisogno di comprare all’esterno tanti «servizi», quando ha al suo interno 1.700 giornalisti, ossia il quadruplo di Mediaset? Giornalisti il cui numero è aumentato nell’ultimo esercizio di 187 unità, ossia del 10%?

Tenete sempre presente il costo dei pensionati: 0,48% annuo.

I dirigenti della Regione Lazio si sono aumentati gli stipendi d’oro del 7,6%. I direttori di dipartimento sono passati da 196 mila a 211 mila euro l’anno, i direttori regionali da 144 a oltre 155 mila. La giustificazione ufficiale: «Si tratta di scatti automatici, in base al contratto di lavoro». Alzi la mano il privato, l’operaio della Thyssen, o il pensionato, che gode di scatti automatici del 7,6% su stipendi netti di 8-12 mila euro al mese.

Casta canta, Casta tripudia e sguazza. Mica ha sul collo la concorrenza dei lavoratori cinesi, la Casta; mica deve competere. Ha il monopolio del potere. Per la Casta, la crisi non c’è. Non ci sarà mai.

Altro esempio: le università, per difendere le quali sono scesi in piazza studenti, ricercatori cinquantenni e precari, furbetti e sindacati e sinistre unite dietro Vladimir Luxuria. Nei cinque anni tra il 2001 e il 2006, il costo del personale è aumentato da 5,5 ad 8 miliardi di euro, 16 mila miliardi di lire annue. Un aumento, ad occhio e croce, del 30%, il 6-7% annuo.

Tenete sempre a mente i pensionati: il loro costo aumenta dello 0,48% l’anno.

E quale servizio pubblico rendano queste università (ne abbiamo oltre 250), lo ha detto un recente articolo di Gian Antonio Stella: in 33 di queste cosiddette università, non si è iscritta l’anno scorso nemmeno una matricola. In 42 atenei  gli studenti nuovi sono meno di cinquanta: c’è una facoltà a Caltagirone con 11, a Pescopagno (e dov’è?) con 12, a Trani con uno solo, a Corigliano Calabro con 4. Il «polo universitario di Agrigento», metastasi universitario-tumorale di Palermo, ha 17 corsi di laurea, di cui uno con un solo studente. C’è una università a Bivona (dove si trova?), in «Tecniche erboristiche»:  studenti 25, non c’è internet e nemmeno una biblioteca. C’è un corso universitario a Sanluri (8.519 abitanti nel Campidano sardo): studenti numero 41. A Spoleto, a Città della Pieve, a San Casciano in Val di Pesa: uno studente per ciascuno. Celano, sulla Marsica, ha voluto un corso di «Ingegneria Agro-Industriale»: professori 7, matricole 17. Un paese in Sardegna, chiamato Sorgono – 1.949 abitanti, più che un paese è una frazioncina - ha un corso di laurea in Informatica: 38 studenti, e nessun immatricolato nuovo.

Non siamo in grado di dire, nè di sapere dove si tengono, i corsi per lauree in «Etologia degli animali d’affezione», in «Scienze e tecnologie del Fitness», in «Scienze del Fiore e del Verde». Possiamo dire che nel Nord-Est le aziende richiedono disperatamente semplici diplomati di istituti tecnici, e non ne trovano; ma che in compenso, per volontà di parlamentari, presto, il diploma di conservatorio avrà valore di laurea: laureato in controfagotto, prossimo imbucato in qualche scuola con insegnante triplice, «facoltativo». A stipendio fisso, certo e sicuro, mica come quello degli operai privati.

Questi corsi non fanno nemmeno finta di essere dei servizi al pubblico. Per ogni nuovo iscritto, le università statali italiote spendono 8.032 euro l’anno, contro i 15 mila dell’Austria e i 23 mila della Svizzera. Tutto il resto, va in spese per il personale, fancazzisti, cattedratici del parassitismo (1).

Ma è persino troppo per un pezzo di carta qualunque, anche in «Scienze e tecnologie del Fitness», che però - avendo valore legale - consentirà di partecipare a concorsi truccati, e (con qualche raccomandazione) di diventare un membro della Casta parassitica, con posto fisso, e stipendio sicuro che aumenta «per scatti automatici» dell’8% o del 15% l’anno.

Le caste sono forti, invincibili. Già avevano dalla loro tutta la «sinistra» trans e sindacale e veltroniana; adesso sappiamo che hanno dalla loro anche la Lega. Se c’è da tagliare, si tagli ai  pensionati. Loro sì, che pesano troppo sul PIL.

Specie ai pensionati «ricchi» e qui lasciatemi fare un po’ di Casta da me stesso: i pensionati  INPGI (giornalismo) hanno la pensione tassata in media oltre il 40%. Già, è giusto, prendiamo troppo.

Ma facciamo un ultimo confronto: gli «investimenti in titoli di Stato e azionari», insomma di quelli che vivono di rendita con un portafoglio di azioni, staccando le cedole, sono tassati del 12,5%. Gli Agnelli, gli Elkann, per dire, sono tassati meno dei pensionati «ricchi».

Ma se bisogna far soffrire qualcuno, che siano i lavoratori privati a 1.000 euro al mese.

Non importa: tutti i soldi alla RAI! Tutto per i procuratori, gli insegnanti, i docenti di «Scienze del Fiore e del Verde»! Tutto per le provincie nuove da creare al Nord perchè la Lega deve avere la sua parte nelle malversazioni e nelle concussioni! La Lega vuola la sua  quota di posti, di dirigenti regionali a 211 mila euro annui!

La Casta canta e ride, nella tempesta che incombe. Perchè ha tanti difensori, e noialtri nemmeno uno. Padania ladrona aggiunta a Roma Ladrona, ecco il nostro destino.




1) Qui, come mi segnala l’amico professor Giampietro, si constata la ferrea riconferma della Legge di Parkinson: «In ogni burocrazia, il numero degli impiegati aumenta in modo invariato, sia che la mole di lavoro cresca, diminuisca, o addirittura scompaia». La legge porta il nome di Sir Cyril Northcote Parkinson (1909-1993), che la scoprì  per primo. Lo fece studiando le statistiche della Marina militare britannica. Tra il 1914 e il 1948 (finita l’epoca delle guerre), la Royal Navy ridusse il numero delle grandi navi da 62 a 20 (-67,74%); il numero dei marinai e ufficiali (il personale utile) diminuì del 31,5%. In compenso, il numero dei funzionari e impiegati dell’Ammiragliato, ossia i burocrati, crebbe da 2 mila a 3.569, ossia aumentò del +78,45%. Il ministero britannico delle Colonie conobbe la stessa evoluzione: nel 1935, quando aveva le colonie, contava 372 dipendenti; nel 1954, persa anche l’ultima colonia, aveva 1.661 dipendenti. Come nella scuola italiana: il numero degli scolari diminuisce, ma il numero degli insegnanti aumenta; e lotta per aumentare ancor più. Il numero dei parassiti pubblici tende all’asintoto: mille insegnanti per ogni alunno. Legge di Parkinson.


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